Palestinesi dal dominio ottomano all’israeliano.

I palestinesi sono vissuti per quattro secoli sotto il dominio ottomano, ma con la 1° Guerra Mondiale, il forzato sostegno ai turchi è precipitato e, ormai sicuri del promesso appoggio britannico, le aspirazioni arabe sembravano raggiungibili come non mai. La realtà scopre una situazione affatto diversa. Tre anni dopo la Prima Guerra mondiale, nel  2017  Arthur Balfour, Segretario agli affari esteri della Gran Bretagna, dichiara l’impegno “di favorire l’insediamento di ebrei in Palestina, luogo sicuro, dove nessuno potrà pregiudicarne le necessità civili e religiosi né il loro status meglio di qualunque altro Paese”. Le tensioni iniziano a montare in Palestina quando arrivano ondate di ebrei provenienti dall’Europa e comprano terre, costruiscono insediamenti, uno dei quali è Tel Aviv, e utilizzano solo la lingua ebraica. Nel 1947 le neonate  Nazioni Unite si accordano per la spartizione della Palestina in un territorio arabo e uno ebreo e questo genera ulteriore ostilità tra i vicini arabi di Israele. Quando Israele dichiara l’indipendenza nel 1948, la guerra scoppia. Israele ne esce vincitore ma la Palestina  vivrà da quel momento la costante  condizione di conflitto. Tramite le  guerre (1956, 1967, 1973) il territorio dello Stato di Israele si espande  e i palestinesi sono ridotti a profughi  (da 711.000 nel 1950 a oltre cinque milioni di registrati nel 2015 in Giordania, Striscia di Gaza, Cisgiordania Siria e Libano) oppure (2 milioni contro 6 di ebrei)  a vivere in regime di apartheid come denuncia Amnesty International: “ Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti. Abbiamo riscontrato che le crudeli politiche delle autorità israeliane di segregazione, spossessamento ed esclusione in tutti i territori sotto il loro controllo costituiscono chiaramente apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire”.