Luci e ombre di Report.

Report, condotto su RAI 3 da Sigfrido Ranucci, nel servizio su Solvay del 2 dicembre 2019 di Adele Grossi, al quale ho collaborato, può aver deluso se lo si considera concluso e non una prima puntata di una più ampia investigazione, tipica del giornalismo che caratterizza la trasmissione. Aver concentrato, come prologo,  in una unica serata la rappresentazione di tre territori – Alessandria, Livorno e Ferrara – devastati da Solvay, infatti non poteva evitare il rischio di superficialità e inconcludenza  soprattutto per Spinetta Marengo (AL). Qui, infatti, il servizio giocoforza si è limitato per grandi linee a raccontare ai telespettatori più ignari la fotografia della catastrofe sanitaria e ambientale, marcando dunque due grandi limiti di visibilità. Il primo riguarda il tragico passato: non sono emerse le responsabilità di coloro che hanno provocato il disastro, eppure esse hanno nomi cognomi precisi che per 50 anni chi scrive [1] ha, urbi et orbi su giornali e libri,  denunciato e documentato (e incassato rappresaglie), responsabilità di morti  e malattie – passate e future –  che vanno oltre Montedison/Solvay e che investono direttamente sindacati, magistratura, arpa, asl, comune, provincia e regione. Il secondo limite della trasmissione, che deriva dal primo ma che è fondamentale, concerne il tragico futuro: è un dovere etico e morale, anche dei giornalisti di Report, non solo del sottoscritto, scongiurare nuove  criminali azioni  volte a incrementare inquinamento e morti. Il buco giornalistico non dubito che verrà con urgenza colmato scovando l’Indagine epidemiologica che Solvay riesce a nascondere nei cassetti della Regione, e tramite una documentata denuncia del tentativo in corso di Solvay Speciality Polimers Italy  di far approvare dalla Provincia di Alessandria l’AIA Autorizzazione Integrata Ambientale per  “Estensione della produzione ed uso di cC6O4” nello stabilimento di Spinetta Marengo. Questa operazione Solvay sta cercando di concretizzare da un lato  ricattando con minacce di licenziamenti  il silenzio-assenso dei sindacati, dall’altro cercando di opporre un fantomatico “segreto industriale” ovvero chiedendo alla Provincia di censurare sulla richiesta di AIA, con 56 omissis, informazioni essenziali che ci consentirebbero  la valutazione dei potenziali effetti ambientali del cancerogeno C6O4 soprattutto per quanto riguarda il quadro emissivo. Addirittura Solvay chiede e ottiene dalla  Provincia, complici  Regione e Comune, di allontanare dalla Conferenza dei Servizi il rappresentante di Legambiente nazionale onde  occultare i drammatici dati Arpa. Stante questo scandalo, è stato annunciato esposto anche alla Procura di Vicenza dove è avviato il processo Miteni (fornitrice di Solvay) sulla catastrofe ecosanitaria in Veneto procurata dai PFAS, di cui appunto il  C6O4. [2]. Su questo pericoloso scandalo, con ricadute nazionali, attendiamo, a breve, la prossima puntata di Report. Al quale si chiede  il ruolo di investigatore, non certo di comminare sentenze: queste competono ai tribunali che, ahinoi, come confermerà prossimamente la Cassazione, per l’avvelenamento doloso delle falde di Alessandria assolvono gli imputati principali dei reati più gravi e per i reati minori condannano i piccoli imputati a lievi pene in prescrizione.

Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.

[1] “Ambiente Delitto Perfetto” di Barbara Tartaglione e Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia.

      “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”

[2] Comunicato stampa 19/11/19 del “Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro”. Clicca qui.

[Nota]. I PFAS-PFOA-C6O4 sono oggi una emergenza ecologica nazionale. Il C6O4, Pfas a catena corta, nei nostri esposti alla Procura della Repubblica di Alessandria (e a tutte le Istituzioni locali e nazionali)  già dieci anni fa era  stato additato, presente nel sangue,  come sospetto cancerogeno in sostituzione del PFOA contro il quale avevamo lanciato una campagna nazionale che ne aveva decretato la scomparsa nella lavorazione dello stabilimento di Spinetta Marengo.  Ma non nelle acque e nel sangue dei lavoratori e dei cittadini, ancora oggi privati di ogni tutela Asl Arpa!

Per le  responsabilità storiche dell’Arpa, ad esempio, si possono consultare, nella colonna “Argomenti” del Sito www.rete-ambientalista.it,  102 “post”  alla voce “Arpa” ovvero 24 “post”  alla voce “Maffiotti”; a tacere dei quasi 400 “post” alla voce “Solvay”.

Continua il Processo per i Sei ex Dirigenti Solvay

Gli impianti Solvay di Ferrara, costruiti all’inizio degli anni cinquanta, hanno prodotto PVC fino al 1998.
La Produzione avveniva grazie alla lavorazione di un gas altamente cancerogeno, il CVM.
Un tema di cui si è parlato poco, sia sulla stampa locale, sia in ambito politico.
Nel 1985 l’allora assessore alla Sanità del Comune di Ferrara, Giancarlo Crociani, pubblicò un dossier dal titolo“Ambiente e tumori”.

Nel documento venivano avanzati interrogativi riguardo il più basso indice di vecchiaia, nella media comunale, della circoscrizione Barco – Pontelagoscuro e l’elevatissima mortalità per tumori.Nel 2007, Legambiente invitava a Ferrara l’allora pm Felice Casson, che si occupò del caso di Porto Marghera, per parlare del suo ultimo libro, “La fabbrica dei veleni”.
Casson oggi è senatore del Partito Democratico.
Il suo disegno di legge sulle “Norme a tutela dei lavoratori esposti ed ex – esposti al cloruro vinile monomero (CVM) e polivinilcloruro (PVC)” non è ancora stato preso in esame dal 13 maggio 2008, giorno in cui è stato presentato alla Commissione Lavoro del Senato. Casson si è sempre battuto, prima come magistrato e poi come parlamentare, per l’adozione di regole di sicurezza negli impianti chimici e per il risarcimento dei danni fisici ai loro lavoratori.
il 19 febbraio 2009 il tribunale di Ferrara al termine di un’istruttoria durata 7 anni ha rinviato a giudizio sei ex dirigenti Solvay (Claude Yves Marcel Loutrel, August Arthur Gosselin, Cyryll Van Lierde, Gerard Michael Davis, William Arthur Barnes e Pierre Vigneron).
Nell’inchiesta, per le morti tra gli esposti al CVM e l’inquinamento di acqua e terreni, è emerso che fin dagli anni ’60 l’azienda sapeva della tossicità del CVM.
A detta dei Magistrati se la multinazionale avesse provveduto subito a dotare gli operai di maschere e di maggiori protezioni, avrebbe sicuramente salvaguardato la loro salute dagli effetti dannosi già noti, prevenendo anche i più gravi e irreversibili effetti successivamente scoperti, cioè malattie gravi e tumori. Sempre secondo la magistratura, i miglioramenti impiantistici introdotti dopo il ’74-’75 sono stati consapevolmente tardivi, rimasero figure molto esposte come i pulitori manuali delle autoclavi.
È inoltre emerso che nel 1986 un’ispezione dell’Asl avrebbe rivelato gravi carenze sulle forniture di maschere in caso di fughe di CVM e insufficienti cautele adottate durante le operazioni di manutenzione.La sfilata dei testimoni davanti ai carabinieri del Nucleo operativo di Ferrara ha ricostruito, almeno in parte, la storia della lavorazione del CVM e dell’inquinamento prodotto dalla Solvay.
I verbali delle testimonianze degli ex addetti Solvay hanno fornito riscontri su come si lavorava nei reparti a rischio, prima e dopo il 1974, descrivendo episodi a volte illuminanti sulla divaricazione tra teoria e pratica quotidiana.
Nel dicembre 2009 il processo è entrato nel vivo della fase dibattimentale.
Il tribunale di Ferrara si trova a valutare la correlazione tra l’epatocarcinoma e l’esposizione alle polveri di cloruro vinile monomero (CVM).Sono stati ammessi come parte civile oltre ad alcuni ex lavoratori malati anche Legambiente, il Comune e la Provincia di Ferrara, l’Inail e i sindacati dei chimici di Cgil-Cisl-Uil ma solo in relazione al capo d’imputazione di omissione di misure di sicurezza.
In questa fase del processo è emerso che nella seconda metà degli anni ’80, per tre anni, si registrarono oltre 450 perdite di CVM. Vale a dire all’incirca una ogni due giorni.
La possibilità di una sentenza di condanna nei confronti della Solvay costituirebbe un precedente in Italia, dove il gruppo industriale belga è ancora ben radicato e ha guai giudiziali in tutti tribunali in cui hanno sede i suoi stabilimenti.L’8 febbraio 2010 nell’aula B del tribunale di Ferrara si è svolta l’udienza dedicata ai consulenti dei pm secondo i quali esiste una elevata probabilità di correlazione tra esposizione al CVM e l’insorgenza della malattia.
Il 22 febbraio il processo proseguirà con gli esami degli esperti, chiamati dai pm, l’epidemiologa Maria Pirastu e Pietro Comba.

Qui di seguito riportiamo alcuni aneddoti emersi dalle testimonianze degli ex lavoratori Solvay.
PESCI SFORTUNATI.
Oggi vicino alla portineria non si vede più niente, tutto coperto da un parcheggio per i camion. I lavoratori più anziani, però, si ricordano bene che lì, in faccia alla recinzione che dà su via Marconi, c’erano due fontane alimentate dai pozzi artesiani che pescavano dalla falda al di sotto dello stabilimento. Nelle due fontane sguazzavano un bel po’ di pesci, e negli uffici non erano pochi gli appassionati di acquari che si preoccupavano di loro. Fino ad una brutta mattina, alla fine degli anni ’70, quando i primi operai in turno hanno visto galleggiare i pesci in superficie: tutti morti, una strage. I testimoni hanno raccontato cosa successe dopo. La Solvay fece chiudere subito i due pozzi, e cercò di recuperare le pompe che li alimentavano. Non vi riuscì, perché le giunture erano “mangiate” e i pezzi dispersi in acqua. Cosa era successo? I risultati di laboratorio non si conobbero mai, ma immediato è il collegamento con l’attuale inquinamento della falda da clorometani.
ANDARE A MANICHE.
Dicevano così e tutti i manutentori sapevano cosa significava. Qualcuno si dava malato, altri si rifiutavano. Voleva dire infilarsi nel posto peggiore della fabbrica, il disseccatore del PVC, dove c’erano centinaia di filtri a maniche sospesi a cinque o sei metri di altezza. Ogni tanto se ne inceppava qualcuno, e bisognava cercarlo palpando i filtri uno ad uno, camminando sospesi su una passerella, in mezzo ad una nuvola di polvere sottile come borotalco, che s’infilava ovunque. Gli uomini uscivano bianchi dalla testa ai piedi, sputando polvere per giorni. Pagava doppio, la Solvay, ogni minuto passato lì dentro, ma non esiste prezzo per un lavoro del genere.
LE PIOGGE BIANCHE.
Le autoclavi da 25 metri cubi sono pentoloni giganti. Lì dentro il CVM veniva trasformato in minuscoli granuli di PVC, ma quando qualcosa andava storto il capoturno doveva gettarci dell’inibitore, per interrompere la reazione. Capitava che il capoturno ritardasse fino all’ultimo l’operazione, per non perdere tutto il carico, e così succedeva l’incidente. Per impedire una esplosione catastrofica, il materiale veniva spruzzato fuori attraverso un condotto di emergenza (prima che l’azienda si decidesse a recuperare il costoso semilavorato) e innaffiava di minuscole goccioline le prime case del Barco. Su quel villaggio sono finite per anni le polveri uscite dalle maniche dell’impianto di essiccazione, e qualche operaio ricorda che i bambini delle scuole del Barco venivano a riportare in portineria i sacchetti pieni di polvere bianca, raccolti nei cortili delle scuole e delle case. Dopotutto, era roba della Solvay.