Veneto, oltre 90 comuni chiedono lo stop alla produzione di Pfas.

Chi l’ha già approvata, chi ha messo in calendario la proposta. Sono già oltre 90 i Comuni che hanno accolto la mozione che le associazioni stanno spingendo: chiedere al Parlamento una legge per bloccare la produzione di Pfas. La produzione di Pfas avviene ad opera della Solvay a Spinetta Marengo (Alessandria), dove l’inquinamento aria-acqua-suolo sta tuttora provocando un disastro anche sanitario. Non intervenendo il sindaco, autorità preposta, a fermare con ordinanza le produzioni inquinanti (non solo di Pfas), preso atto del fallimento ultradecennale dei procedimenti penali, i comitati e le associazioni di Alessandria intraprendono in sede civile azione inibitoria per bloccare d’urgenza il comportamento illecito che lede l’ambiente e la salute pubblica (Legge 262-2005).
 
Con il caso Miteni, proprio tra le province di Vicenza, Verona e Padova i Pfas hanno generato la più grande contaminazione dell’acqua d’Europa, finendo nel sangue di 300mila residenti.
 
Il problema Pfas è mondiale,  tanto che in questi giorni in Brasile, alla Cop 30 (il vertice tra gli Stati firmatari della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici), si parla anche di acqua e inquinamento. Per l’Italia c’è la vicentina Michela Piccoli, delle Mamme No Pfas, a sensibilizzare.

La truffa del “biomonitoraggio di massa”.

Non ci siamo mai stancati di denunciare la storica complicità della Regione Piemonte con Solvay per rinviare all’infinito, ben oltre il fatidico 2026, il monitoraggio di massa delle popolazioni a rischio: “pistola fumante” del crimine in corso. Al punto che fummo costretti a provvedere ad analisi private tramite l’Università di Liegi (con risultati angoscianti! e ora in aumento!).
 
La provincia di Alessandria conta 405.288 abitanti. Fra i quali, la Regione Piemonte, tramite Asl, finalmente nel 2024 ha sottoposto a biomonitoraggio PFAS il sangue di… 29 cittadini. Pari allo 0,0071% della popolazione a rischio. Si “ascende” allo 0,31% se si considera solo il comune di Alessandria (90.952 abitanti), ma sarebbe fuorviante perché i Pfas del sobborgo Spinetta Marengo sono stati rilevati anche negli altri comuni della provincia: in atmosfera, acque sotterranee, acquedotto, fino al fiume Bormida e dunque al Po.
 

Soprattutto al medico: seconda lettera aperta. Sollecito.

Adriano Di Saverio ha partecipato alla riunione con i Comitati e le Associazioni promossa dalla europarlamentare verde Cristina Guarda.
Nell’occasione, ci chiediamo: si sarà reso conto che la sua replica https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/21/rispondo-come-medico-e-politico/, non aveva convinto nessuno  come medico e come Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, quando non aveva risposto puntualmente alle questioni poste nella lettera aperta (https://www.rete-ambientalista.it/2025/05/30/fermare-subito-le-produzioni-inquinanti-di-solvay/)?
 
Eppure, nell’occasione, Di Saverio ha letto i 12 punti del Piano di azioni che si sono proposti Comitati e Associazioni per scongiurare con urgenza la tragedia dei Pfas in Alessandria (clicca qui). E che riassumiamo.
 
1) Addivenire in sede civile ad azione risarcitoria collettiva, patrimoniale e non, per le Vittime fisiche di Solvay: cittadini e lavoratori. 2) Intraprendere in sede civile azione inibitoria collettiva in materia ambientale per bloccare il disastro ecosanitario del sito industriale Solvay (su questa azione è programmato un esame congiunto il 5 novembre con lo Studio legale internazionale). 3) Verificare il riesame della formulazione, come dolo, dei processi penali di Alessandria e Vicenza alla luce delle notizie di reato sopraggiunte. 4) Verificare la richiesta alla Procura di Alessandria di riformulazione dei capi di accusa da colposi a dolosi. 5) Ribadire la mancanza da parte del Comune di Alessandria di ordinanza di fermata delle produzioni della Solvay inquinanti dentro e fuori il comune, come imporrebbe il principio di precauzione, esercitando le prerogative di legge che derivano al sindaco nella sua veste di massima Autorità Sanitaria Locale. 6) In forza anche delle Mozioni Popolari presentate, basate sui principi della prevenzione e della precauzione / “limiti zero”, ribadire al Parlamento la richiesta della messa al bando dei Pfas in Italia, della loro produzione e utilizzo, ovvero della fermata delle produzioni inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo quale pregiudiziale “conditio sine qua non” del fattuale divieto di Legge. 7) Respingere alla Solvay ogni proposta alle parti civili fisiche di Patteggiamento, che strozzerebbe il processo locale, nonché la stessa Legge nazionale basata sui principi della prevenzione e della precauzione / limiti zero. 8) Diffidare le Istituzioni locali e nazionali a intraprendere contrattazioni di patteggiamento con Solvay, che strozzerebbero il processo di Alessandria e la legge nazionale. 9) Invitare in particolare il sindaco di Alessandria a recedere dal patteggiamento intrapreso. 10) Ingiungere al Governo di destinare immediatamente risorse tecniche, economiche ed umane adeguate al monitoraggio ambientale e sanitario dei Pfas in Italia, a maggior ragione in Veneto e Piemonte dove già urge provvedere a idonee misure cautelari e interventi di bonifica. 11) Incalzare la Regione Piemonte, nel cui territorio i ritardi dei monitoraggi ambientali e sanitari sono ancora più evidenti, di non rallentare ulteriormente l’opaco monitoraggio del sangue della popolazione alessandrina. Va da sé, escludendo ogni patteggiamento con Solvay. 12) Costruire un tavolo di lavoro quale strumento a livello europeo di elaborazione di pratiche, di studio di mezzi legali per chiedere la messa al bando UE dei PFAS.
 
Quando li ha letti questi 12 punti (27 settembre scorso) si è espresso meno che genericamente. Poi che li ha riletti, ora, egregio Di Saverio, medico e Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, non le corre l’obbligo di essere più esplicito nei confronti della popolazione? In particolare, sulla “spada di Damocle” dei Patteggiamenti? In particolare, come Presidente, non ritiene che il Comune di Alessandria debba recedere dal patteggiamento intrapreso? A maggior ragione come medico, avendo in mano, tra i tanti, questi terribili dati epidemiologici (clicca qui), che da soli, per il sacrosanto principio di precauzione, indurrebbero un sindaco ad esercitare le prerogative di legge in veste di massima Autorità Sanitaria Locale, ad emettere ordinanza di fermata delle produzioni della Solvay inquinanti? Nota bene: quegli studi sono stati richiesti dalla Procura della Repubblica di Alessandria nell’ambito dell’inchiesta per inquinamento ambientale.

Regione Veneto sotto accusa. CGIL: anche i lavoratori a rischio. La procura indaga. Contaminati i fiumi.

A due mesi dalle condanne in Corte d’Assise a Vicenza per il disastro provocato dalla società Miteni, si scopre da un documento della giunta regionale del Veneto, rimasto fino ad oggi segreto, che 3 milioni di metri cubi di terre e rocce di scavo della superstrada Pedemontana Veneta, contenenti Pfas da qualche decina a 2.000 nanogrammi per litro secondo i risultati delle analisi Arpav, sono stati disseminati in una ventina di siti di discariche del Veneto, in particolare nella provincia di Vicenza, in alcuni casi anche in siti vicini a fonti idriche.
Non è la sola polemica contro la Regione. Aveva già suscitato polemiche la decisione della Giunta Zaia di realizzare uno studio epidemiologico sulla presenza del Pfas nella popolazione. Una ricerca sollecitata da dieci anni che arriva a un mese e mezzo dalle elezioni.
Clicca qui e qui: la Procura di Vicenza indaga sulla realizzazione della Pedemontana. Cgil e Fillea regionali: “Agire da subito per mettere in sicurezza aree, popolazione e lavoratori coinvolti” clicca qui.
 
Inoltre, i recenti report indicano contaminazioni  nei pesci di fiumi e canali, con un record negativo nella Fossa Molesana a Tribano e pessime situazioni anche nel Tergola a Vigonza e a Codevigo: clicca qui.

L’autodifesa dai Pfas: ridurre l’esposizione domestica.

Non si può certo aspettare che la lobby politica-industriale metta al bando la produzione e l’uso dei tossici e cancerogeni pfas. Meglio, d’urgenza, provvedere personalmente ad eliminarli, come possibile, nelle nostre case. Ad esempio:
 
Padelle antiaderenti. Anche le versioni “senza PFOA” non sono del tutto sicure: indicano solo l’assenza di una specifica categoria di Pfas, ma non di tutte. La soluzione migliore è sostituirle con pentole in acciaio inox, ghisa o ceramica naturale, che non rilasciano sostanze tossiche.
 
Imballaggi alimentari. Sostituire carta oleata, contenitori per il take away, cartoni della pizza e pellicole, con barattoli in vetro o acciaio e contenitori riutilizzabili.
 
Frutta e verdura. Preferire quella fresca, biologica, lavarla accuratamente per limitare l’assunzione indiretta di pesticidi contenenti pfas.
 
Cosmetici. Scegliere solo quelli naturali o linee certificate “PFAS free”.
 
Carta igienica.   Orientarsi su marchi ecologici.
 
Vestiti. Soprattutto per bambini: evitare gli antimacchia e impermeabili, scegliere tessuti naturali come cotone e lana, e marchi che dichiarano esplicitamente l’assenza di Pfas.
 
Detergenti per la casa.  Optare per prodotti ecologici o, ancora meglio, affidarsi a soluzioni naturali come acqua calda, aceto o bicarbonato.

Quello che la Regione Piemonte e la CGIL Piemonte non hanno fatto. Quello che potrà fare il sindacato.

La Giunta Regionale del Veneto ha approvato l’avvio dello “Studio di coorte residenziale sulla contaminazione ambientale da PFAS nel territorio dell’ULSS 8 Berica”, realizzato dall’Azienda ULSS 8 in collaborazione con il Servizio Epidemiologico Regionale (SER) di Azienda Zero e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che fornirà supporto metodologico e nella valutazione dei risultati.
Si tratta di un’indagine epidemiologica retrospettiva che ricostruirà la storia di esposizione delle comunità interessate e ne valuterà gli effetti sulla salute, con un approccio integrato ambiente-salute. Lo studio sarà focalizzato sulle aree maggiormente colpite dalla contaminazione idropotabile e permetterà di stimare i rischi legati a diverse patologie, consolidando le evidenze scientifiche a supporto delle politiche di prevenzione. Questo studio si aggiunge agli approfondimenti epidemiologici condotti finora, integrando i dati della sorveglianza sanitaria avviata nel 2017 e gli studi sulla mortalità.
Cgil Veneto: “Finalmente, ma non basta”.
 
“Abbiamo avanzato continue richieste al presidente e agli assessori competenti. Finalmente, quindi, ma non basta: riteniamo necessario che la nuova indagine epidemiologica debba coinvolgere anche tutti i lavoratori ex Miteni, che, come è noto, hanno i valori di Pfas nel sangue più alti in assoluto”.
Non solo. Su patrocinio della CGIL, nel maggio 2025 una sentenza storica: il Tribunale di Vicenza ha stabilito un nesso tra l’esposizione ai PFAS e la morte di un ex operaio, riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità ai suoi eredi. Anche l’INAIL ha riconosciuto 19 lavoratori come affetti da malattia professionale a causa dell’accumulo di PFAS nel sangue, stabilendo un precedente importante, sebbene questo non implichi un risarcimento diretto.  A sua volta, invece, la sentenza penale di Vicenza non soddisfa assolutamente i danni e i risarcimenti degli ex lavoratori Miteni.
 
Perciò, ora resta al sindacato veneto di avviare azione risarcitoria, class action, per tutti i lavoratori ex Miteni. Magari implicando le responsabilità di Solvay (che, a differenza di Miteni, è solvibile).
Per tutti i lavoratori Solvay,  dovrebbe farlo anche il sindacato piemontese, liberandosi finalmente dalle palle al piede.
 
Soprattutto perché gli enormi valori PFOA nel sangue dei lavoratori Solvay di Spinetta Marengo sono stati denunciati e documentati nell’esposto (il primo dei 20) di Lino Balza alla Procura della Repubblica di Alessandria. Ma dal lontano 2009 il sindacato non si è mosso.
Attualmente, la CGIL di Alessandria è costituita parte civile nel processo (il 2°) contro Solvay e, ufficialmente per bocca del segretario della Camera del Lavoro, dichiara di rifiutare il Patteggiamento avviato dalla multinazionale per strozzare il processo. Tale patteggiamento è stato accettato, suscitando scandalo fra i Comitati e le Associazioni, dal Comune di Alessandria; mentre la Regione Piemonte -anche se ben lontana dalle indagini epidemiologiche della Regione Veneto- dichiara, per bocca dell’assessore alla sanità, che non accetta il Patteggiamento. Il Ministero dell’Ambiente non ha preso posizione ufficiale.
Dunque, sarebbe una aspettativa delusa se la CGIL non partecipasse alla class action risarcitoria che Comitati e Associazioni stanno preparando a favore della popolazione alessandrina. 

Birra, zanzare e pfas.

Che le zanzare possano essere vettori dei Pfas sembra una ipotesi scientifica azzardata. Non è certo quello che hanno dimostrato i ricercatori dell’Università Radboud di Nimega, nei Paesi Bassi, che hanno compiuto un singolare esperimento sul campo. Cinquecento persone hanno effettuato il test e la differenza è risultata piuttosto netta: i bevitori di birra erano 1,35 volte più attraenti per le zanzare dei non bevitori di birra.
 
Di qui, una serie di sillogismi fantascientifici. Nelle birre sono state rilevate alte concentrazioni di pfas. I bevitori di birra presumibilmente hanno nel sangue maggiori concentrazioni di pfas. Le zanzare assumono i pfas e li trasmettono pungendo altri individui.
 
L’unica cosa verosimile è che per evitare di attrarre le zanzare è meglio non bere birra. Per il resto, alle zanzare, la cui diffusione è allarmante, non è imputabile, almeno per ora, altro che malaria, febbre del Nilo occidentale, chikungunya e dengue.  

L’avvocato della difesa che fa tremare Solvay.

Con uno scoop, abbiamo pubblicato il documento “La verità’ sul caso Miteni/Solvay che nessuno ha raccontato” (clicca qui) che l’avvocato Luca Santa Maria, punta di diamante del collegio di difesa della Solvay nei precedenti processi penali, ha trasmesso alle Procure della Repubblica di Alessandria e Vicenza. Ad esso fa seguito il deposito di questo esposto (clicca qui) che approfondisce l’accusa di come Miteni di Trissino non sia stato che “l’esecutore di un disegno pianificato da Solvay e Dupont” nel provocare i disastri ambientali e sanitari dei Pfas. Dei quali il filo conduttore è il pfas cC6O4 della Solvay  Syensqo.
Si tratta di documenti esplosivi (per inciso: l’avv. Santa Maria è stato da Syensqo denunciato alla Procura della Repubblica di Milano per rivelazione di segreto), in sé sono notizie di reato, in condizione di rimettere in discussione lo svolgimento del processo Miteni in primo grado di Vicenza (sentenza di dolo, ma senza Solvay) e del processo Solvay-Syensqo (il 2°) avviato ad Alessandria (imputazione di colpa piuttosto che di dolo). Non si può escludere, dopo indagini collegate tra le due Procure, la riunificazione dei due processi con l’accusa di dolo: dolo intenzionale o diretto o almeno eventuale. Né clamorosi riflessi internazionali. A tacere le responsabilità pubbliche di Comuni, Regioni, Province, Ministero dell’Ambiente: ex art. 40 del Codice penale.
 
I suddetti documenti dell’avvocato Santa Maria sono al vaglio, oltre che delle Procure, anche dei collegi legali delle Parti civili, dei Comitati e delle Associazioni che stanno mettendo a punto il piano di azioni  per scongiurare la tragedia dei Pfas, clicca qui.

Piano di azioni per scongiurare la tragedia dei Pfas.

Foto ricordo.
Il 2026 può essere l’anno che sancisce la immane tragedia sanitaria dei PFAS, paragonabile a quella dell’amianto. In altre parole, fisserebbe la vittoria in Italia della lobby chimica diretta dalla multinazionale Solvay (Syensqo): costruita su quattro assai controversi terreni: sul versante della debole magistratura di Alessandria, sul versante delle compromesse istituzioni politiche locali, e sui versanti delle asservite forze parlamentari italiane ed europee.
 
La tragica vittoria, invece, può essere ancora scongiurata tramite 12 concrete azioni dei Comitati e delle Associazioni che stanno discutendo di mettere in campo.
 
1) Coordinare Alessandria con Vicenza, affinchè, per conto dei Comitati e delle Associazioni, gli studi legali intraprendano urgenti procedimenti giudiziari in sede civile di azione risarcitoria collettiva, patrimoniale e non, per le Vittime fisiche (cittadini e lavoratori) dei disastri ecosanitari dei siti industriali Solvay di Spinetta Marengo ed ex Miteni di Trissino.
 
2) In Alessandria, i Comitati e le Associazioni per impegnare i propri studi legali a verificare di intraprendere urgenti procedimenti giudiziari in sede civile di azione inibitoria collettiva in materia ambientale per bloccare il disastro ecosanitario del sito industriale Solvay di Spinetta Marengo.
 
Continua cliccando qui.

Smettere di mangiare e bere oppure mettere al bando i Pfas? Fermare la Solvay.

Non so se c’è una fabbrica di birra nella Fraschetta alessandrina e immaginarmi le preoccupazioni dei proprietari e i risarcimenti da chiedere a Solvay. Viene in mente, ai tempi delle falde inquinate da cromo esavalente, che né Paglieri profumi né l’allevamento di mucche della Perderbona entrarono come parti civili nel primo processo.
 
I Pfas, tossici e cancerogeni, famigerati come sostanze chimiche eterne, non risparmiano neanche la birra. A lanciare l’allarme è stata un’analisi coordinata dai ricercatori dell’American Chemical Society che ha mostrato come il 95% delle birre prese in esame e prodotte in diverse aree degli Stati Uniti contengano questi inquinanti, con le concentrazioni più elevate riscontrate nelle aree in cui è noto ci sia una contaminazione delle acque. I risultati, apparsi sulla rivista Environmental Science & Technology dell’Acs, evidenziano quindi come l’inquinamento delle risorse idriche possa infiltrarsi in prodotti, anche quelli più comuni, sollevando preoccupazioni sia per i consumatori che per i produttori di birra.
 
Sebbene i birrifici generalmente dispongano di sistemi di filtraggio e trattamento dell’acqua, questi non sono progettati per rimuovere i Pfas. Circa il 18% dei birrifici statunitensi si trova in aree in cui è rilevabile la presenza di Pfas nell’acqua potabile comunale.  I ricercatori hanno modificato il metodo usato dall’Agenzia per la Protezione Ambientale (Epa) degli Stati Uniti, e testato un totale di 23 birre nazionali e internazionali: il 95% delle birre testate (sebbene gli autori non abbiano fatto nomi) conteneva Pfas, tra cui il perfluorottano solfonato (Pfos) e l’acido perfluoroottanoico (Pfoa), famigerati per le patologie al sistema immunitario ed endocrino, la fertilità e l’incidenza di neoplasie.
 
 

Chi dalla birra vorrebbe rifugiarsi nel vino, conosce già possibili i Pfas nel vino 100 volte superiori rispetto all’acqua potabile, in particolare grazie al TFA. Peccato perchè il nostro Paese è il primo produttore di vino a livello globale, e il Monferrato è un’eccellenza.

Vabbè, torniamo all’acqua. Non ci fidiamo dell’acquedotto, come ha già dimostrato Greenpeace. Ricorriamo all’acqua imbottigliata? Dalla padella alla brace. Greenpeace aggiorna: la nostra nuova indagine ha rivelato la presenza di PFAS nell’acqua in bottiglia di 6 marche su 8, tra le più diffuse nel nostro Paese: Ferrarelle, Levissima, Panna, Rocchetta, San Benedetto, San Pellegrino, Sant’Anna, Uliveto. Luce verde solo per Ferrarelle e San Benedetto Naturale, rossissima per acqua Panna.
La sostanza rilevata nelle bottiglie analizzate è il TFA, l’acido trifluoroacetico, ovvero il PFAS più diffuso sul pianeta. Clicca qui
C’è una sola soluzione. Fermare subito le produzioni Pfas (monopolio della Solvay a Spinetta Marengo) e far seguire una “legge zero-PFAS” che ne vieti del tutto l’utilizzo in tutti i settori. Solo così possiamo sperare di tutelare la nostra salute: non c’è altro tempo da perdere.

Attorno alla Solvay nascosto il TFA.

Arpa Piemonte, che monitora l’unica produttrice di pfas in Italia, Syensqo Solvay, tuttora NON cerca il pfas TFA in atmosfera, nelle acque e nel suolo.  Eppure, nello scarico di Solvay s Spinetta Marengo ci sono fino a 198 microgrammi per litro di Tfa già nel 2021, secondo le analisi condotte dal Consiglio nazionale delle ricerche nel 2024. In Veneto, invece, il Tfa è stato cercato nelle acque già nel 2021 (fino a 110 microgrammi per litro) e viene monitorato periodicamente. Ad Alessandria è tutto nascosto.
 
Tfa è uno dei pfas meno conosciuti, ma tra i più pericolosi e presenti nell’ambiente, perchè contenuto in molti pesticidi, e quindi nei terreni e negli alimenti, come ad esempio il vino (pensiamo ai Doc del Monferrato). Sebbene i rischi legati a questa sostanza siano emersi a fine anni Novanta, ad oggi manca ancora una normativa che ne regoli la presenza e l’utilizzo. E l’assenza di norme e limiti specifici è il frutto di una negligenza delle autorità, indotte quanto mento dalla scarsa trasparenza delle lobby chimiche negli ultimi 25 anni.
 
Già nel 1998 il Comitato scientifico per le piante dell’Unione Europea aveva denunciato i rischi ambientali e sanitari del Tfa. Silenzio. Nel 2007 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha indicato il Tfa come un metabolita delle colture che entra direttamente nella catena alimentare.
 
Silenzio. Nel 2014 l’Efsa ha rilanciato l’allarme legato ai pesticidi. Silenzio. Nel 2017 l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha chiesto ai produttori i dati tossicologici completi. Nel 2021 si è aperto il vaso di Pandora. Malgrado il fuoco di sbarramento di Solvay, Echa ha proposto a tutti gli Stati membri di indicare il Tfa come tossico per la riproduzione, primo step per la sua classificazione come sostanza pericolosa e tossica. Da allora, negli anni successivi diversi Stati hanno imposto limiti e divieti, sia per la presenza del composto nei cibi, sia nelle emissioni industriali.
 
La direttiva è stata ratificata dall’Italia ed è prossima all’entrata in vigore, impone un limite di 10 microgrammi di Tfa per litro. Tuttavia, manca una messa a bando mondiale per tutti quei 39 pesticidi che lo contengono, non ci sono limiti agli scarichi e di emissioni in atmosfera.
 
L’acido trifluoroacetico (TFA) è fra i Pfas il contaminante ambientale emergente che desta crescente preoccupazione a causa della sua ubiquità nelle matrici ambientali e delle sue proprietà chimico-fisiche, tra cui elevata solubilità in acqua, stabilità chimica e persistenza. Ma Solvay fa muro.

Scandalo Pfas: l’inchiesta che svela i legami nascosti fra la lobby degli inquinanti eterni e la società di consulenza dell’Ue.

Basandosi su documenti e registri ufficiali dell’UE, il Financial Times ha reso noto che società di consulenza Ramboll, dal 2020 incaricata dall’ECHA di fornire consulenze strategiche sui PFASavrebbe fornito consulenze sia all’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) sia ai produttori stessi di queste sostanze. Apparirebbe dunque sempre più concreta la conseguenza che le decisioni europee sono in qualche modo “pilotate” dalle lobby. Infatti, ciò avviene proprio mentre l’Unione Europea sta lavorando a una proposta di divieto di migliaia di sostanze sintetiche note come PFAS. Per ciò, la decisione di mantenere in uso certi PFAS invece di proporne un divieto immediato, tipo le deroghe decennali per le schiume antincendio.
 
È chiaro che le forti pressioni esercitate dalla lobby chimica sarebbero un evidente conflitto di interesse in un dossier di grande rilevanza per la salute pubblica e l’ambiente. Si tratta ovviamente di una situazione preoccupante, che rischierebbe di minare la credibilità dell’intero processo regolatorio.
Chissà se L’Unione Europea riesce a svincolarsi dalla morsa della Lobby chimica di Solvay & C. almeno dopo che i risultati dei test condotti su 24 alti funzionari della UE hanno rivelato la presenza anche ogni limite di PFAS in tutti leader provenienti da 19 paesi.  L’iniziativa è stata promossa dal Ministero danese dell’ambiente, in collaborazione con l’Ufficio europeo per l’ambiente (EEB) e l’organizzazione ChemSec.
 
D’altronde oltre 100 organizzazioni europee hanno lanciato il manifesto “Stop PFAS”, chiedendo ai leader europei di sostenere la proposta di restrizione universale. L’appello evidenzia che un divieto parziale non basta: serve una strategia decisa per fermare l’inquinamento e tutelare la salute pubblica, oggi e per le generazioni future. Clicca qui.

Neppure il tribunale di Vicenza ha fatto giustizia sui Pfas.

La sentenza del tribunale di Vicenza può essere definita “storica” perché per la prima volta, a differenza dei tribunali di Alessandria, ha condannato gli inquinatori di Pfas per “dolo”: avvelenamento dell’acqua e disastro ambientale (141 anni di carcere). Ma non ha fatto giustizia fino in fondo. Non ha condannato Solvay (si legga il documento dell’avvocato Santa Maria). Si è limitata a risarcire 300 parti civili: 15mila euro sarebbero un risarcimento per le mamme che hanno trovato livelli enormi di PFOA nel sangue dei loro figli, sapendo che non esiste un limite minimo innocuo?
 
E gli altri bambini avvelenati? E gli altri 300.000 abitanti tra Padova, Verona e Vicenza? contaminati da Pfas “sostanze chimiche eterne” che evidenzieranno i loro effetti tossici e cancerogeni (al sistema immunitario e riproduttivo, disfunzioni tiroidee ecc.) nel corso degli anni, anche fra dieci, venti anni, come per l’amianto? A tacere le bonifiche che non verranno.

I bambini a rischio dei Pfas.

I PFAS si accumulano nel corpo umano già dalla nascita, entrando in circolo già durante la gravidanza e continuando poi attraverso l’allattamento, l’alimentazione, l’acqua potabile o l’aria inquinata. Un nuovo studio dell’Università dei Paesi Baschi rivela ancora una volta la loro diffusione nei bambini. La ricerca, pubblicata su Enviromental Research e condotta nell’ambito del progetto INMA (Infancia y Medio Ambiente), ha analizzato i campioni di plasma di 315 bambini tra i 4 e i 14 anni, raccolti tra il 2011 e il 2022 nelle aree di Goierri e Urola, territori baschi caratterizzati da una forte presenza industriale.
 
Nei bambini più piccoli prevalgono i cosiddetti PFAS “classici” come PFOA e PFOS, sottoposti a restrizioni a partire dal 2006. Negli adolescenti, invece, si riscontrano con maggiore frequenza i nuovi PFAS emergenti, introdotti sul mercato come sostituti dei composti più vecchi: il cC6O4 di cui ha il brevetto Solvay.
 
Il team dei ricercatori avverte: “Per i Pfas non esistono limiti di sicurezza definiti per l’uomo, anche quando oggi non riscontriamo concentrazioni preoccupanti o danni in atto, non possiamo escludere che diventino un problema tra dieci anni, ciò che non sembra rischioso ora potrà esserlo in futuro”.
Va da sé che in Italia analoga ricerca NON è stata fatta per l’area di Spinetta Marengo per la Solvay, unica produttrice italiana dei Pfas.

I bambini sono i più a rischio per i Pfas.

I pediatri della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (Simri), in convegno a Verona, allarmano i danni da smog e Pfas per la salute respiratoria dei bambini, e sopraggiungono a confermare la nostra ripetuta denuncia che il rischio maggiore delle emissioni, pfas e non solo, della Solvay di Spinetta Marengo avviene in atmosfera (dalle ciminiere) ancor più che nelle acque profonde e superficiali (Bormida).
 
Stefania La Grutta, presidente Simri: “L’inquinamento e le sostanze tossiche come PFAS influiscono sullo sviluppo polmonare sin dai primi giorni di vita. I bambini sono particolarmente vulnerabili: assorbono più inquinanti in rapporto al peso corporeo, hanno un sistema respiratorio immaturo, una limitata capacità di termoregolazione e una maggiore sensibilità alle infezioni“.
Giacomo Toffol, pediatra di famiglia: “Le microplastiche ritrovate nel sangue, nei polmoni e persino nella placenta, possono trasportare sostanze tossiche come PFAS e metalli pesanti, con rischi per lo sviluppo fetale, il sistema endocrino e il metabolismo”.

I Pfas non si possono distruggere.

Piuttosto che mettere al bando i Pfas e fermare le fabbriche che li producono e usano, c’è chi confonde le idee illudendo su invenzioni che distruggerebbero i Pfas. La ditta Spuma cerca sponsor per Il bioadditivo che consente ai PFAS di emergere sulla superficie dell’acqua inquinata con le bolle di risalita e catturarle come spugna molecolare. Poi… basta incenerirle… creando Pfas.
 
Più seriamente, si può cercare di mettere una toppa. Ad esempio, l’installazione di filtri a carboni attivi in grado di bloccare la presenza di Pfas ed evitare che entrino nell’acquedotto. I costi sono sbalorditivi anche per piccoli impianti, fermo restando che i filtri poi… bisogna incenerirli.
 
 Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma (Legge di Lavoisier).
Altri ricercatori hanno introdotto batteri capaci di accumulare PFAS nell’intestino di alcuni topi: dopo due giorni di esposizione al PFNA (acido perfluorononanoico ), i microrganismi lo hanno accumulato rapidamente con gli PFAS ingeriti dai topi, che poi li hanno espulsi con le feci. Poi si devono incenerire le feci… con le carcasse dei topi.

Pfas vietati in Usa, ma non in tutti gli States.

Mentre il Decreto Legge italiano ha messo la testa sotto la sabbia per non scontrarsi con Solvay, la legislatura della California vota per eliminare le “sostanze chimiche eterne” PFAS in pentole antiaderenti, prodotti per la pulizia, filo interdentale, sciolina da sci, imballaggi alimentari e alcuni prodotti per bambini, dopo aver limitato, con più di una dozzina di altri Stati, tessuti, schiume antincendio e cosmetici. Tutti gli States sono concordi che l’esposizione ai PFAS è collegata a numerosi effetti negativi sulla salute, tra cui, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, il cancro ai reni e ai testicoli, danni al fegato e ai reni e danni al sistema nervoso e riproduttivo.
 
Evidentemente non tutti, se si parla di “scandalo New Mexico” (come si parla di “scandalo Italia “). In quello stato, da anni tra i più contaminati degli USA, la situazione è  grave, come è emerso anche da un rapporto pubblicato nel mese di agosto, esito del New Mexico PFAS Blood Testing Project. Lo studio è finalizzato alla presenza dei Pfas nel sangue delle persone che lavorano o risiedono vicino alla base aeronautica militare di Cannon; la quale ha infatti rilasciato, per anni, tonnellate di schiume antincendio, che hanno contaminato le falde acquifere, compresi cento pozzi privati e almeno uno pubblico, quello di Clovis, che serve una cittadina da 40mila abitanti. Anche con concentrazione di PFAS pari a 27mila volte quella considerata massima dalla Environmental Protection Agency (EPA).
 
Il risultato dell’analisi del sangue di 628 persone ha così confermato che nel 99% dei casi erano presenti PFAS (PFOS, PFOA, PFHxS e PFNA) con concentrazioni anche tre volte la media nazionale. Secondo l’Environmental Working Group una situazione simile si ritrova in molte zone contaminate dalle schiume antincendio, e cioè, oltre alle basi militari, in quelle vicine alle caserme dei pompieri e a industrie che, per vari motivi, le usano. E’ quello che per i vigili del fuoco è successo in Italia, dove per anni si è fatto finta di nulla.

Quanti PFAS rilascerà il ponte di Messina?

La Calabria è una delle regioni con le più alte percentuali di campioni di acqua potabile positivi ad almeno un PFAS, 92% contro 79% della media italiana. E quando si decideranno a fare un biomonitoraggio sui calabresi, troveranno Pfas in almeno il 95% del sangue degli abitanti.  Per quanto riguarda i siciliani, uno studio dell’Università di Catania aveva dimostrato la presenza di PFAS in tutti i 61 bambini di età 6-11 anni studiati, in quantità che suggerivano un’estesa esposizione a queste molecole. Per i calabresi non siamo a conoscenza di studi che abbiano analizzato il loro sangue alla ricerca dei PFAS.
 
Ma perché dobbiamo preoccuparci tanto dei PFAS e cosa c’entrano con il ponte sullo Stretto? Ce lo spiega il dottor Vincenzo Cordiano, ISDE Medici per l’Ambiente, uno dei maggiori esperti in materia. Clicca qui.

Mucche diventate animali velenosi.

Non solo le fabbriche, esempio Solvay che scaricano in atmosfera e nelle acque, ma per la catena alimentare umana il suolo agricolo è una grande fonte di PFAS.
 
L’inchiesta in Usa, nel Maine, quando si è appurato che una fattoria, convinta di produrre biologicamente, stava invece allevando mucche avvelenate dai Pfas. Hanno scoperto che decenni prima i campi erano stati fertilizzati con fanghi di depurazione contaminati da Pfas (devastante pericolo ancora non controllato in Italia). Dunque, le mucche si erano avvelenate pascolando il foraggio avvelenato, avvelenato al pari di frutta e verdura (in particolare a foglia larga), e ovviamente delle uova del pollame. Dunque, il latte delle mucche era contaminato e neppure la carne di manzo macellata era commestibile, pericolosa come cancerogena soprattutto per i bambini. Così dichiararono gli scienziati del Dipartimento dell’Agricoltura. Dunque l’allevamento fu chiuso.
 
Lo Stato del Maine sta testando sistematicamente le aziende agricole per rilevare l’eventuale presenza di PFAS. Uno studio del 2021 ha stimato che il mangiare anche solo un ravanello coltivato in un terreno con dei livelli elevati di PFAS potrebbe significare superare il limite di esposizione giornaliera prevista dalle linee guida.

Rischi o pericoli del biossido di titanio.

Da dove proviene il Biossido di titanio TiO2, ubiquitario che contamina le acque e i terreni, da lì arriva agli esseri viventi? I derivati di vario tipo (rutilo, anatasio, ilmenite, titanite, pseudobrookite) sono stati rilevati in quasi tutti i campioni di latte materno, animale o industriale analizzati: in forma liquida, anche in polvere, biologico o meno, pastorizzato o no. Il colorante classificato come E171 in Europa è stato vietato per gli impieghi alimentari dal 2022 perché considerato cancerogeno in cibi e caramelle.
 
Secondo gli autori delle ricerche, la contaminazione proveniente dagli alimenti non può spiegare una presenza così massiccia del minerale nell’ambiente: il TiO2 deve arrivare da fonti finora non individuate con certezza, presumibilmente industriale, visto che è tuttora molto utilizzato in rivestimenti, vernici, plastiche, cemento, materiali di vario tipo, come filtro UV nei prodotti solari, cosmetici, fondotinta, ciprie, farmaci (il pigmento  bianco era praticamente componente di tutte le pastiglie).
 
L’indagine potrebbe partire dal complesso chimico di Spinetta Marengo (AL) dove fu chiuso il più grosso impianto italiano di Biossido di Titanio.
 

Il 2026 è alle porte. Snodo cruciale per i Pfas della Solvay.

IL GRANDE FRATELLO SOLVAY

Proprio temendo il contagio di una sentenza al processo Miteni, che -“storica”-  a Vicenza c’è davvero stata pur con luci e ombre  *1 (clicca qui), da Bruxelles, casa madre Solvay, l’amministratrice delegata di Syensqo, Ilham Kadri, aveva fissato con tutto il management l’imperativo de “il grande fratello”:  fermare il mondo,

“arrêter le monde”, attorno allo stabilimento di Spinetta Marengo, fino alla fatidica data del 2026.
Sul versante della magistratura,

ad Alessandria la Procura, malgrado le urgenze dei nostri esposti-denuncia, ha avviato il processo-bis SOLO nel 2024 e con un rinvio a giudizio che NON contempla il reato di dolo. A sua volta, Solvay ha ritardato le udienze con espedienti: ricusazione del “Giudice dell’udienza preliminare”, cambio dello staff legale. Poi, la mossa determinante è stata la proposta strategica di Patteggiamento *2 (clicca qui), incentivata dal Sindaco e incentivata dal Sindaco e  agevolata dal GUP con lo slittamento di un altro anno. E Solvay ha così traguardato il 2026 senza che in concreto sia iniziato il processo (dal quale peraltro avrebbe poco da temere considerati i blandi capi di imputazione): procedimento penale che -ammesso e non concesso che non sia strozzato da rito alternativo- durerebbe comunque tutto un decennio, fino alla Cassazione. Insomma, il classico  Delitto Perfetto *3 (clicca qui e qui) del rito penale, celebrato nell’ambito della “giustizia di classe” che premia l’inquinatore.

Sul versante della politica locale,

dove, con i lavoratori usati come scudi e la subalternità dei Sindacati, vanno in onda l’ennesima parodia dell’Osservatorio ambientale comunale, la “melina” ostruzionistica in Conferenza dei Servizi per il rinnovo dell’AIA Autorizzazione Integrata Ambientale, e soprattutto lo scandalo del Patteggiamento. Insomma, a livello locale il traguardo del 2026 è ormai superato.  D’altronde, era del tutto ipotetico il pericolo che il Sindaco, quale massima autorità sanitaria locale, agisse con una ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti. E, difatti, pretestuosamente il “primo cittadino” ha preferito eclissarsi dietro il Parlamento e dietro la Regione Piemonte; anzi, ha fatto di peggio: da apripista ai Patteggiamenti con Governo e Regione. *2 (clicca qui).

D’altronde, la Regione Piemonte continua a temporeggiare *4 (clicca qui), in particolare a oscurare i monitoraggi sanitari, ad eclissare l’emblematica “pistola fumante” del crimine, a rallentare -al limite del “surplace- il biomonitoraggio ematico di massa della popolazione provinciale.  Anche se proprio il micro biomonitoraggio in atto nel Comune di Alessandria, per quanto truccato nei tempi e nella dimensione, già dimostra che 9 residenti su 10 hanno i Pfas nel sangue (e non solo). Completamente trascurati restano  gli altri Comuni (Piovera, Cassine, Castellazzo Bormida, Frascaro, Sezzadio, Basaluzzo, Bosco Marengo, Capriata d’Orba, Frugarolo, Castelspina, Casal Cermelli) i cui abitanti erano pur risultati avvelenati nel sangue dai Pfas C6O4 e ADV a seguito del “mini monitoraggio sperimentale” della Regione 5 *(clicca qui

D’altronde, nel favorire lo stallo produttivo e politico della Solvay, la Regione Piemonte fa inevitabilmente mancare i soldi anche per i monitoraggi dell’ambiente in atmosfera e al suolo. 6* (clicca qui).  Al punto che l’Arpa pubblicamente ne paventa addirittura lo stop, malgrado che i picchi dei prelievi stanno confermando il costante aumento di cC6O4, ADV, PFOA e GEN-X, tanto nei Sobborghi che nel Capoluogo e nei Comuni alessandrini.

Tale e quale è questo scandalo piemontese 5* (clicca qui)  che  avviene dopo i pozzi privati chiusi nel Comune di Alessandria dentro e fuori lo stabilimento, dopo la chiusura dell’acquedotto del Comune di Montecastello, dopo la tardiva chiusura di altri due pozzi  del Comune di Alluvioni – Piovera,  dopo che abbiamo denunciato la mancata chiusura dei pozzi dell’acquedotto di Alzano Scrivia, Guazzora e Alzano Scrivia, dopo che  allarmano  le analisi  su dieci pozzi dell’acquedotto di Alessandria,  dopo che  il Bormida è di nuovo inondato da masse di schiume, dopo che traboccano  di schiuma le vasche di raccolta dentro lo stabilimento, dopo che l’azienda addirittura è costretta a fermare un reattore dell’impianto più importante, dopo che perfino la complice Provincia è costretta a fingersi minacciosa con una ordinanza di bonifica eccetera.

Sul versante del Parlamento,

il 2026 è stato praticamente traguardato. I Parlamentari emanano leggi manovrate dalla potente lobby multinazionale Solvay. Infatti, in Senato il pericoloso Disegno di Legge (Crucioli) di messa al bando della produzione e dell’uso dei Pfas è stato definitivamente collocato in soffitta; mentre invece, come previsto  7* (clicca qui) nella complice bonaccia della politica italiana,

il recente decreto legislativo ispirato da Solvay ha ignorato Spinetta Marengo:

è stato cucinato sulla pelle della popolazione di Alessandria.

In quanto, 1°) lo stabilimento di Spinetta Marengo è l’unico in produzione in Italia dei perluoropolimeri, fluoroelastomeri e fluidi fluorurati; 2°) l’inquinamento di Spinetta Marengo non riguarda solo i Pfas, che ne rappresentano appena la punta dell’iceberg; e 3°) la contaminazione da Pfas in atmosfera è ancora più grave di quella sulle acque di superfice e di falda: in atmosfera dalle 72 ciminiere dolosamente continuano sulla provincia a ricadere -in aria terra acqua- 21 veleni tossici e cancerogeni (tra cui  i vecchi e i nuovi Pfas), respirati, disciolti nella nebbia, nella pioggia, nel pulviscolo atmosferico, nelle polveri sottili.

Che l’atmosfera di Alessandria è avvelenata dalla Solvay non  solo politicamente ma anche chimicamente 8* (clicca qui) l’abbiamo dimostrato più volte e, con l’esposto del 7 aprile 2023 via PEC avevamo proprio chiesto alla Procura di intervenire. A sua volta, il DDL Crucioli avrebbe fermato le produzioni Solvay in Italia e nell’immediato il progredire di malattie e morti fra le popolazioni del territorio, sacrificate invece dal recente Decreto legislativo ispirato da Solvay  9* (clicca qui) e 10* (clicca qui).

Per il resto, il decreto riguarda la qualità delle acque destinate al consumo umano: (a prescindere dai tempi e dai costi dei servizi pubblici) il limite introdotto resta ben lontano dai valori più cautelativi per la salute inseriti da altri Paesi europei; si affianca, dal 2026, a quello previsto dalla Direttiva Europea, il quale però a sua volta non è ritenuto da Efsa sufficiente a tutelare la salute dei cittadini. Insomma, a livello europeo, si discute ma non si conclude, per veto della lobby chimica, una efficace restrizione universale dei PFAS proposta da diversi stati membri. Insomma, non ci sarà la dichiarata stretta sui Pfas prima del 2026, gli appelli sono caduti nel vuoto, vincono le lobby industriali e vieppiù militari (i “forever chemicals” sono  indispensabili nel mercato della guerra in auge *11 (clicca qui).

Insomma, il decreto -modello Meloni-  è la longa manus della lobby chimica trasversale nel Parlamento italiano dove sono state presentate perfino dalle minoranze compromettenti Mozioni *12 (clicca qui).

Addirittura, il decreto è funzionale anche ad accontentare quanti, nei pressi dell’ambientalismo, lo considereranno “un piccolo passo in avanti, un segnale positivo”, dimenticando che, come pur sottolinea Greenpeace, “quando si parla di sostanze cancerogene non esiste alcuna soglia di sicurezza diversa dallo zero tecnico». 

Ma “Arrêter le monde “c’est impossible

In conclusione. Solvay ha vinto? Nel 2026 è concepibile, in pieno centro abitato, questa fabbrica ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale, di cui i Pfas sono la punta dell’iceberg tossico e cancerogeno? Niente affatto. Ormai è impossibile per Solvay oscurare l’entità della letteratura scientifica biomedica internazionale sui Pfas: essa è proporzionale alla crescita di attenzione e di preoccupazione dovuta al combinato-disposto della loro pericolosità ambientale e sanitaria, la loro diffusione globale, nonché la persistenza che caratterizza l’esposizione umana. 

Si tratta di un numero enorme di composti resistenti alla degradazione chimica, biologica e ambientale dovuta alla forza del legame carbonio-fluoro: rimangono nelle matrici ambientali per tempi lunghissimi (da decenni a secoli), si bioaccumulano nel sangue e nei tessuti di esseri umani e animali, l’esposizione umana riguarda praticamente tutta la popolazione mondiale, inclusi feti e neonati, con micidiali effetti sulla salute, anche a basse dosi: il loro quadro complesso e preoccupante cresce col progredire degli studi. Per essi, ci avvaliamo di questa esaustiva Relazione del dottor Fabrizio Bianchi, componente del Comitato scientifico di ISDE Italia.   *13 clicca qui.

Resto convinto che, di fronte a questa immane tragedia sanitaria ed etica, “arrêter le monde” fermare il mondo sarà impossibile anche per “il grande fratello” Solvay. Però gli è possibile -come abbiamo finora esaminato- ritardare, sull’altare dei profitti, la fermata delle produzioni inquinanti dello stabilimento di Spinetta Marengo. Gli è possibile sfruttando le leggi, chi le fa, chi le applica e chi neppure le applica.

In radicale alternativa alla strategia Solvay, resto convinto, e impegnato, che noi possiamo accelerare l’urgenza del salvifico processo di chiusura.

Tramite azioni collettive di lavoratori e cittadini. Possiamo superare l’inidoneità delle sedi penali a fare Giustizia, ricorrendo alle sedi civili: con la class action risarcitoria alle Vittime (come stimolò il Procuratore Generale della Cassazione: “toccate Solvay nel portafoglio”), e con la determinante l’efficacia dell’azione inibitoria collettiva ambientale: quanto mai in linea di principio allineabile alla recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di danni climatici e protezione dei diritti umani *14 (clicca qui).  In USA, per i Pfas gli inquinatori sono toccati nel portafoglio per milioni di dollari *15 (clicca qui).

In Italia, made in Alessandria, avvocati di parte civile (ahimè, anche quelli che patrocinano associazioni ambientaliste e persone fisiche) spingono al patteggiamento piuttosto che alla sentenza di condanna: massimo guadagno di parcella col minimo sforzo, una manna per se stessi, ma a danno etico e morale della Giustizia e delle Vittime, a notevole danno, perché no? anche patrimoniale delle Vittime. 

Lino Balza –  Movimento di lotta per la salute Maccacaro.

1* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/09/luci-e-ombre-nel-processo-pfas-di-vicenza/

2* https://www.rete-ambientalista.it/2025/04/09/il-comune-ha-fatto-da-bulldozer-colpo-di-spugna-della-solvay-sul-processo-e-sulla-messa-al-bando-dei-pfas-premio-miliardario-alla-presidentessa-syensqo/

3* http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3077:le-vittime-non-ottengono-giustizia-nei-tribunali-penali&catid=2:non-categorizzato

3* https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/27/scandalizza-i-comitati-e-le-vittime-il-processo-solvay-di-alessandria/ 

4* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/09/un-altro-dei-tanti-rinvii-pfas-della-regione-piemonte/

5* https://www.rete-ambientalista.it/2024/05/09/altri-pozzi-di-acquedotto-chiusi-ad-alessandria-per-i-pfas-ma-lasl-fa-il-gioco-di-solvay/

6* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/fanno-mancare-i-soldi-per-monitorare-aria-suolo-falde-e-fiumi/

7* https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/21/solvay-manovra-da-sempre-il-parlamento-italiano/

8* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/17/latmosfera-di-alessandria-avvelenata-dalla-solvay/

9* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/il-decreto-legislativo-ispirato-da-solvaysulla-pelle-dellapopolazione-di-alessandria/

10* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/limiti-zero-pfasin-italia-perfinogli-ambientalisti-balbettano-2/

11* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/09/in-piu-la-partita-dei-pfas-va-ben-oltre-la-sentenza-di-vicenza/

12* https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/21/longa-manus-di-solvay-sulla-politica-dalla-destra-alla-sedicente-sinistra-2/

13* https://www.rete-ambientalista.it/2025/08/28/impossibile-oscurarela-letteratura-scientifica-biomedica-internazionale/

14* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/la-cassazione-sulla-tutela-dei-diritti-umani-fondamentali-dei-cittadini-minacciati-dallemergenza/

15* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/per-i-pfas-pagheranno-875-milioni-di-dollari/

La truffa del “biomonitoraggio di massa” a colpi di “task force”… al rallentatore.

alla Regione Piemonte.
Non ci siamo mai stancati di denunciare la storica complicità della Regione Piemonte con Solvay per rinviare all’infinito, ben oltre il fatidico 2026, il monitoraggio di massa delle popolazioni a rischio: “pistola fumante” del crimine in corso. Al punto che fummo costretti a provvedere ad analisi private tramite l’Università di Liegi (con risultati angoscianti! e ora in aumento!).
 
La provincia di Alessandria conta 405.288 abitanti. Fra i quali, la Regione Piemonte, tramite Asl, finalmente nel 2024 ha sottoposto a biomonitoraggio PFAS il sangue di… 29 cittadini. Pari allo 0,0071% della popolazione a rischioSi “ascende” allo 0,31% se si considera solo il comune di Alessandria (90.952 abitanti), ma sarebbe fuorviante perché i Pfas del sobborgo Spinetta Marengo sono stati rilevati anche negli altri comuni della provincia: in atmosfera, acque sotterranee, acquedotto, fino al fiume Bormida e dunque al Po.
 
Ebbene, nel sangue di tutte le 29 persone sono stati accertati i Pfas, per 22 addirittura con valori fino a 20 microgrammi/litro e per 6 nientemeno superiori a questo limite di estremo pericolo per la salute: Da anni gli studi scientifici hanno dimostrato che l’esposizione a questi livelli di PFAS può portare a: – Effetti riproduttivi come diminuzione della fertilità o aumento della pressione sanguigna nelle donne in gravidanza. – Effetti o ritardi sullo sviluppo nei bambini, tra cui basso peso alla nascita, pubertà accelerata, variazioni ossee o cambiamenti comportamentali. – Aumento del rischio di alcuni tumori, inclusi quelli della prostata, dei reni e dei testicoli. – Ridotta capacità del sistema immunitario del corpo di combattere le infezioni, inclusa una ridotta risposta ai vaccini. – Interferenza con gli ormoni naturali del corpo, tiroide. – Aumento dei livelli di colesterolo e/o rischio di obesità. [fonte: Environmental Protection Agency USA].
 
Si consideri, poi, che tali patologie tossiche e cancerogene dei Pfas non esplodono in fase acuta bensì erodono il corpo umano in tempi medi e anche lunghi, perchè si immagazzinano nel sangue e negli organi e di lì non si degradano e non si eliminano: sono stati ribattezzati “forever chemicals” “sostanze chimiche eterne”. Appunto, la Regione è stata giuridicamente costretta ad annunciare, per le 29 Vittime accertate, l’attivazione di “un sistema di sorveglianza sanitaria con la possibilità da parte di pediatri e medici di famiglia di sottoporre -tutti gli anni, per anni e anni, vita natural durante- la popolazione esposta alle analisi del sangue periodiche e gratuite, per individuare precocemente gli effetti sulla salute generale dell’organismo”.
 
Per le 29 Vittime accertate!! E per le altre 405.259 potenziali Vittime?? Quanto meno per le altre 90.923?? 
Potenziali? più che potenziali: se si esaminano le storiche analisi epidemiologiche che riproducono le patologie scientificamente attribuibili ai Pfas, a tacere le altre 21 sostanze tossiche cancerogene dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.
 
“Task force” alla piemontese
 
Allora, la Regione Piemonte, a smentire la reiterata accusa di complicità con Solvay per aver rinviato all’infinito il monitoraggio di massa delle popolazioni a rischio, ha avviato nel 2024 nientemeno che una “task force regionale”. E dopo “appena” un anno, l’assessore regionale Federico Riboldi può sciorinare in pompa magna i dati: “Mercoledì 16 luglio 2025 la task force regionale valuterà i risultati in forma aggregata delle analisi sui primi 300 [sic] maggiorenni residenti entro i tre chilometri dal polo chimico di Spinetta Marengo. Lunedì 21 luglio alle 21 all’Auditorium del Marengo Museum di Spinetta Marengo, ci sarà un incontro pubblico per approfondire il tema e illustrare le modalità di ritiro dei referti e di adesione al biomonitoraggio. A oggi, hanno già effettuato il prelievo oltre 450 [sic] cittadini, e oltre 700 [sic] hanno completato la preadesione online”.
I risultati sono presentati col sorriso sulle labbra. Il 9% (tra cui bambini ma in prevalenza maschi, ultrasessantenni e in pensione, cioè ex dipendenti) ha nel sangue oltre 20 ng/ml di Pfas, dieci volte più della “prima soglia” di 2 ng/ml. Qualcuno si avvicina a 40; solo il 4% è “sottosoglia”. Insomma, il 96% dei residenti li ha nel sangue. Per Pfas si intendono il vecchio Pfoa e i nuovi (a suo tempo né dichiarati e autorizzati) ADV, C6O4, GenX. L’assessore Riboldi ha nominato a capo della cosiddetta task force tal professor Luigi Castello     che parla di “soglie”, come se ci fossero limiti più o meno tollerabili di cancerogeni nell’organismo umano, mentre l’unico parametro è LIMITE ZERO. Per lui, sulle televisioni, invece i dati “non sono allarmanti”: tesi antiscientifica assai cara a Solvay sui media e nei tribunali. Cosa volete che sia se oltre 9 persone su 10 registrano nel sangue la presenza degli “inquinanti eterni”? E per il candido Castello basta… non consumare prodotti a chilometro zero. Mica chiudere i Pfas (a tacere gli altri 20 cancerogeni).
 
Con la faccia di tolla che lo contraddistingue (imitando la Meloni che sciorina un “modello italiano” al giorno), l’assessore Riboldi ha suscitato l’ilarità dei presenti: “L’importante azione messa in campo a Spinetta Marengo è ormai diventata un esempio non solo regionale, ma nazionale (sic). Con determinazione e trasparenza la Regione Piemonte sta portando avanti una serie di iniziative che, proprio partendo dalla frazione alessandrina, puntano alla tutela della salute della popolazione piemontese: da un lato con un biomonitoraggio capillare (sic) della popolazione residente nei pressi di un polo chimico e dall’altro con l’istituzione di un Osservatorio per la riduzione dei Pfas per garantire la protezione ambientale”.
Va da sé che il monitoraggio di massa avrà bisogno di tempi lunghi e dunque l’imbonitore ha promesso “un ulteriore livello di monitoraggio pluriennale non solo per i Pfas ma anche per gli altri 20 contaminanti ambientali tossici e cancerogeni”. “L’obiettivo della Regione è arrivare a monitorare 2.400 persone entro tre anni, il 30% della popolazione”. La quale, se la matematica non è una opinione, ammonta in provincia di Alessandria conta 405.288 abitanti, non a 8.000. Comunque: 8.000 in 9 anni. Tutto al rallentatore.
 
Ovviamente, “campa cavallo” anche per la loro eliminazione dal territorio e la successiva bonifica, non si parli di chiusure di produzioni: “Ci affidiamo al dialogo, al   cronoprogramma di interventi da parte dell’azienda”. Bontà loro.
E con noi Riboldi osa affermare “La vostra battaglia è anche la mia”. Vade retro ribaldi. Riboldi, tramite il rallentatore di far mancare soldi per monitoraggi sanitari e ambientali, altro non fa che attuare la strategia atta a favorire Solvay (detta “ralenti” a Bruxelles).

Fanno mancare i soldi per monitorare aria, suolo, falde e fiumi.

Per favorire lo stallo produttivo e politico della Solvay, la Regione Piemonte fa mancare i soldi sia per il biomonitoraggio della popolazione, che per i monitoraggi dell’ambiente.
 
Arpa (il dipartimento di Alessandria diretto da Marta Scrivanti) ha comunicato ai sindaci che è finita la fase sperimentale riguardante il monitoraggio ambientale messo in atto dal 2021: cioè i controlli sui filtri Pm 10 che vanno a cercare i Pfas presenti nel particolato atmosferico (quello che respiriamo), nonché sui deposimetri che misurano i Pfas al suolo e sulle coltivazioni derivanti dalle emissioni di polveri e pioggia.
 
Bisognerebbe passare dalla fase sperimentale ad un controllo continuo, eppure Arpa non ha la forza economica per sostenere 280 mila euro all’anno (costo che, peraltro dovrebbe essere addossato a Solvay).
 
Il controllo dell’ambiente rischia lo stop proprio mentre le analisi già dei primi tre mesi del 2025 hanno fatto registrare la presenta di Pfas nell’aria con picchi importanti soprattutto nella zona di Spinetta Marengo (via Genova e Strada Bolla). Il campione di C6O4 a febbraio-marzo 2025 ha evidenziato la concentrazione maggiore dell’intera serie storica (da marzo 2022). Un range che va da 0,476 a 8.365 ng/m3.
 
I campioni del periodo gennaio-maggio 2025 hanno confermato la presenza costante di cC6O4, nonché di ADV, PFOA e GEN-X nel sobborgo di Spinetta, ma anche di C6O4 nel capoluogo di Alessandria (stazione via Volta) e nel sobborgo di Lobbi (in un range da 0,1 a 0,244 ng/m3): entrambi neppure sottovento, e addirittura da 0,019 a 0,14 ng/m3 nel distante Comune di Montecastello (dove è stato chiuso l’acquedotto).

La Cassazione sulla tutela dei diritti umani fondamentali dei cittadini minacciati dall’emergenza.

Contro chi inquina, l’importanza dell’azione legale in sede civile, piuttosto che in sede penale, è stata evidenziata dalla recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel merito della causa avviata, contro ENI davanti al Tribunale di Roma, da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini.
 
Nel merito lo storico verdetto stabilisce la giurisprudenza del giudice ordinario civile per definire i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici provocati consapevolmente dalle aziende, in questo caso dal colosso italiano del gas e del petrolio.
 
La fondamentale sentenza della Suprema Corte rafforza il diritto -“La Giusta Causa”- dei cittadini ad agire di fronte a un giudice civile per la tutela dei loro diritti ambientali e sanitari, indica la strada per le azioni giudiziarie e avrà sicuro impatto di principio su tutte le cause legali in corso o future in Italia in materia di danni climatici e protezione dei diritti umani. Si pensi all’emergenza dell’azione inibitoria nei confronti di Solvay per il disastro ecosanitario di Alessandria. 

Io, contaminata dai Pfas, ho avuto quattro aborti e due tumori. E ora per mia figlia niente test.

“Io ho abitato 39 anni nella ‘zona rossa’ Pfas della Miteni, mia figlia di 12 anni è nata in una ‘zona gialla’ ma io l’ho allattata per un anno, se sono contaminata io, lo è anche lei. Invece, secondo l’Asl non ha diritto al monitoraggio”.
 
Questa è la testimonianza di Emanuela Franceschetti, che si batte per tutelare la prevenzione della salute della figlia.
 
Al piano di sorveglianza sanitaria regionale per conoscere la concentrazione di Pfas nel sangue: è esclusa sua figlia, che è nata in zona gialla (considerata di minor concentrazione) ma che lei ha allattato. E l’allattamento è, secondo tutti gli studi, il primo veicolo di trasmissione dei Pfas!
 
Stiamo parlando di qualcosa in più che di “sospetti”: l’Oms Organizzazione Mondiale Sanità ha inserito i Pfas tra le sostanze cancerogene e gli studi degli endocrinologi (es. Carlo Foresta) indicano infertilità e poliabortività come effetti direttamente collegati alla contaminazione da Pfas.

Impossibile oscurare la letteratura scientifica biomedica internazionale.

L’inarrestabile crescita dell’archivio della letteratura scientifica biomedica sui Pfas è proporzionale alla crescita di attenzione e di preoccupazione dovuta al combinato-disposto della loro pericolosità ambientale e sanitaria, la loro diffusione globale, nonché la persistenza che caratterizza l’esposizione umana. 
Si tratta di un numero enorme di composti resistenti alla degradazione chimica, biologica e ambientale dovuta alla forza del legame carbonio-fluoro: rimangono nelle matrici ambientali per tempi lunghi (da decenni a secoli), si bioaccumulano nel sangue e nei tessuti di esseri umani e animali, l’esposizione umana riguarda praticamente tutta la popolazione mondiale, inclusi feti e neonati, con tanti effetti sulla salute, anche a basse dosi. Il quadro complesso e preoccupante è completato dalla numerosità e varietà di effetti avversi sulla salute, che crescono col progredire degli studi.
 
Per essi, ci avvaliamo della seguente esaustiva relazione del dottor Fabrizio Bianchi, componente del Comitato Scientifico di ISDE Italia.
“Le conoscenze includono, con diverso grado di persuasività, una lunga serie di danni al sistema immunitariodisfunzioni endocrine (tiroide, ormoni sessuali, sviluppo puberale), malattie metaboliche (dislipidemie, obesità, diabete), tumori a reni, testicoli e altri organi. Si ricorda che PFOA è stato classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, la IARC, in classe 1 – cancerogeno per l’essere umano, e PFOS in classe 2B – possibile cancerogeno.
 
Di primario interesse anche le perturbazioni del sistema riproduttivo (alterazioni del ciclo mestruale, basso peso alla nascita, infertilità) e gli effetti neuropsicologici come i disturbi cognitivi, il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), l’autismo e l’ansia nei bambini.
La preoccupazione per la salute prenatale e infantile è alta anche in considerazione della vulnerabilità di feti e neonati a causa della immaturità delle barriere placentare e cerebrale.
 
Fortunatamente gli studi sugli effetti sulla salute delle esposizioni a PFAS in utero e durante i primi anni della vita sono in forte crescita. Tra questi ne voglio richiamare brevemente tre molto recenti su aspetti diversi della salute in età precoce e evolutiva.
 
Uno studio sull’esposoma infantile relativo all’esposizione a sostanze chimiche ha identificato alcune relazioni tra dose e effetti sulla salute nei bambini. Sono state individuate 78 relazioni tra sostanze chimiche ed effetto sulla salute classificate con livello di evidenza “probabile” o “molto probabile”. Tra le relazioni dose-risposta emerse tra 20 sostanze e 17 esiti di salute, tre riguardano l’associazione tra PFAS e il sistema immunitario, il peso alla nascita, gli aborti e deficit comportamentali.
 
Un recente studio di coorte basato sul registro nazionale svedese delle nascite ha messo in evidenza l’associazione tra esposizione fetale alla somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nell’acqua potabile e le malformazioni del sistema nervoso, le anomalie cromosomiche e del sistema urinario. Sebbene sia opportuno rafforzare i risultati e studiare in profondità i meccanismi tossicologici sottostanti, i risultati accrescono la preoccupazione per la salute prenatale e infantile.
 
Mi soffermo maggiormente su un’ampia rassegna sistematica che si è dedicata all’esposizione prenatale e postnatale a PFAS e il potenziale impatto sullo sviluppo cognitivo, comportamentale, linguistico, motorio e sociale del bambino.
 
La revisione ha incluso 61 studi condotti in Nord America, Europa e Asia tra il 2008 e il 2024. La maggior parte delle ricerche ha valutato l’esposizione prenatale tramite sangue materno o cordonale, mentre l’esposizione postnatale è stata stimata attraverso sangue infantile o latte materno. Gli strumenti di valutazione neuropsicologica comprendevano i test standardizzati classici utilizzati in età infantile.
 
Sullo sviluppo precoce (0-3 anni) sono emersi segnali congruenti da parte di numerosi e diversi studi: 17 studi hanno esaminato l’associazione tra esposizione prenatale e tappe evolutive nei primi anni. Il più ampio, condotto a Shanghai ha rilevato associazioni negative tra alti livelli prenatali di PFOS, PFNA, PFDeA, PFUnDA e punteggi cognitivi, linguistici e motori a 2 anni e anche le analisi di miscele hanno confermato un impatto negativo cumulativo per 9 PFAS. Uno studio canadese ha riscontrato effetti avversi di PFHpA e PFDoA sui punteggi cognitivi e socio-emotivi a 6 mesi. Uno studio tramite ASQ (questionario per lo screening dello sviluppo utilizzato per monitorare la crescita dei bambini da 2 a 60 mesi) utilizzato su tre coorti cinesi, ha evidenziato che PFOS, PFHxS e il sostituto 6:2Cl-PFESA erano associati a peggiori abilità comunicative e motorie fino ai 24 mesi di vita.
 
Studi sulle funzioni cognitive in età scolare (6–12 anni) hanno collezionato risultati meno univoci. Sulla possibile relazione con deficit del linguaggio e di memoria si registrano pochi studi. Anche sulle abilità motorie vengono analizzati solo 3 studi, due non hanno identificato associazioni con PFOA e PFOS mentre uno studio europeo ha identificato una relazione tra concentrazioni di PFAS in miscela e peggiore coordinazione motoria fine.
Molto articolato e complesso appare il quadro sul comportamento e le funzioni esecutive. Uno strumento di valutazione delle funzioni esecutive, il BRIEF, è stato usato in sette studi. Alcuni di questi hanno associato PFOS e PFHxS a maggiori problemi di regolazione comportamentale e meta-cognizione, mentre altri non hanno riscontrato associazioni. Studi basati sulla scala per la valutazione del comportamento adattivo, con altri strumenti e questionari per genitori e insegnanti su difficoltà comportamentali ed emotive, hanno mostrato risultati non congruenti. Un solo studio ha associato PFOA a sintomi di iperattività. Sull’ADHD, disturbo neuropsichiatrico che colpisce l’attenzione, l’impulsività, l’iperattività motoria, 11 studi hanno osservato risultati in diverse direzioni, che seppure interessanti necessitano molti approfondimenti. I risultati sull’autismo e le disabilità dello sviluppo sono considerati dagli autori limitati e incoerenti.
 
Interessante notare che alcune analisi delle miscele e dei fattori mitiganti hanno indicato che le combinazioni di PFAS risultano più predittive di effetti negativi rispetto ai singoli composti, e suggerito l’allattamento al seno, la dieta materna (pesce, noci) e l’educazione e stimolazione cognitiva domestica come potenziali fattori protettivi.
 
In generale, gli studi sugli effetti a lungo termine nel periodo adolescenziale risultano ancora scarsi e i sostituti dei PFAS sono poco studiati, nonostante la loro potenziale neurotossicità.
 
Infine, non si può che condividere la necessità di realizzare studi basati su campioni ben dimensionati ai fini della potenza statistica e che considerino adeguatamente i possibili fattori confondenti, in primo luogo lo status socioeconomico e la presenza di sottogruppi vulnerabili.
 
In sintesi, l’evidenza finora acquisita, sebbene ancora limitata, suggerisce che l’esposizione precoce a PFAS è associata a numerosi effetti avversi e gli esiti identificati sono già sufficienti a indirizzare le politiche ambientali verso la protezione dalle PFAS in generale e anche mirata alla fase precoce della vita.
Se da una parte c’è bisogno di ulteriori studi, soprattutto con disegno longitudinale e focalizzati su nuove generazioni di PFAS e su popolazioni vulnerabili, dall’altra non ci possiamo affidare unicamente agli studi ma occorre molto altro.”
 
Difatti, il dottor Bianchi, sembra rispondere al quesito etico: nel 2026 è concepibile, in pieno centro abitato, questa fabbrica ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale? E così anche ISDE concorda con noi: “c’è da chiedersi se e quanto la sede penale sia idonea a dare Giustizia e non siano necessarie anche azioni inibitorie e risarcitorie in sede civile, e una continua mobilitazione civile per bloccare ulteriori vittime e realizzare le bonifiche.

Quanti Pfas sono nei soft drink dentro il tuo frigo.

I Pfas, sostanze perfluoroalchiliche dette inquinanti per sempre, connesse a diverse gravi patologie, sono ormai onnipresenti nell’ambiente e nei prodotti agroalimentari di consumo quotidiano. Diversi studi e test di laboratorio le hanno rilevate anche in alcune bevande. Già nel 2023, una class action negli Stati Uniti era stata avviata dopo che nei succhi Simply Tropical Fruit Juice della Coca-Cola, in indagini indipendenti, erano stati trovati Pfas nonostante il succo fosse pubblicizzato come “naturale”.
 
Il test di agosto del Salvagente ha rilevato Pfas in soft drink acquistati nei supermercati italiani delle marche Sprite, Coca-Cola, Pepsi, Schweppes, Oransoda, San Benedetto allegra, Sanpellegrino, Fanta, Lurisia, Fuze tea, Estathè, Sant’Anna Tè, san benedetto thè e San Bernardo tè.
 
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Cotture antiaderenti senza rischiare la salute.

A più di vent’anni da quando in giro per l’Italia rischiavo querela dai produttori – diffidando l’uso delle “straordinarie” pentole antiaderenti grazie al Teflon (ptfe, pfoa, pfas, catene di atomi di carbonio fortemente legate a atomi di fluoro) – la maggior parte delle padelle oggi in commercio riporta l’indicazione “PFAS-FREE”. Ma recentemente sta avanzando una pubblicità di un rivestimento antiaderente tramite una tecnica che consiste nell’aggiungere minuscoli gruppi -CF₃ (un atomo di carbonio legato a tre atomi di fluoro) alle estremità delle catene molecolari del polidimetilsilossano (PDMS), un polimero siliconico.
 
Il gruppo -CF₃ è il più corto tra i PFAS esistenti, sarebbe con una quantità di fluoro drasticamente inferiorenon si accumulerebbe nei tessuti umani come le sue controparti a catena lunga. Il composto tenderebbe a degradarsi in acido trifluoroacetico, una sostanza che l’organismo eliminerebbe facilmente e che presenterebbe una tossicità molto più bassa sia per gli esseri umani che per la fauna acquatica.
 
Stante tutti questi verbi al condizionale, stante appunto che gli esperti avvertono che anche i PFAS a catena corta come il -CF₃ non possono essere dichiarati innocui, sarebbe appunto perfino azzardato considerare il -CF₃ una “soluzione transitoria” al bando totale dei Pfas. I quali, corti e lunghi, scientificamente sono associati alla contaminazione ambientale e sanitaria: tumori, effetti negativi su fegato, sistema endocrino e riproduttivo, difetti congeniti già sui feti ecc.
 
Dunque, è più salutare affidarsi a sistemi tradizionali ed efficaci: padelle in ceramica, acciaio inox, alluminio anodizzato, oppure materiali da forno come il Pyrex, si può utilizzare un velo d’olio distribuito con carta da cucina, oppure cuocere in umido, usando brodo, acqua o anche succo di limone. Funzionano bene anche gli ingredienti naturalmente ricchi d’acqua, come le verdure, che aiutano a creare un ambiente più umido e favorevole alla cottura.

Le concerie inquinano Pfas peggio della Miteni.

Dal 2016 ci si interroga se l’inquinamento delle acque del fiume Fratta sia o meno causato dall’attività industriale della Sirp spa, l’azienda conciaria che ha lo stabilimento a Cologna Veneta. Ora arriva finalmente la risposta dell’Università di Padova tramite la sentenza del Consiglio di Stato: «Seppure la Sirp utilizzi nel proprio ciclo produttivo acque già contaminate (a monte) dalla falda inquinata dalla Miteni, lo scarico (a valle) delle acque emunte dal pozzo contiene Pfas che contribuiscono all’inquinamento della falda acquifera». Cioè Sirp durante il trattamento biologico aumenta addirittura l’accumulo di Pfas.
 
Le concerie fanno un uso considerevole di Pfas nelle loro lavorazioni. Miteni nel 2018 si difendeva accusando: “I conciatori di pelle inquinano le acque centinaia di volte più di noi”. Sono oltre 500 le industrie dell’Alto vicentino, secondo il censimento fatto dalle stesse organizzazioni di categoria, che nel ciclo lavorativo utilizzano Pfas come leganti o additivi per la concia di scarpe, vestiti, guanti e altri accessori. Forti concentrazioni di concerie sono anche in Toscana.
La soluzione è la messa al bando dei Pfas, chiudendone a monte l’unico sito produttivo in Italia: Solvay di Spinetta Marengo. 

Spandimento di Pfas nei fanghi agricoli.

In Francia, nelle Ardenne e nella Mosa, 17 comuni sono appena stati inseriti nella lista nera per inquinamento da PFAS. L’acqua del rubinetto supera fino a 27 volte lo standard normativo. A Villy, il contatore ha raggiunto il record di 2 nanogrammi per litro. Un triste record nazionale. Non si tratta di un complesso chimico, né di una zona aeroportuale. Ma di un’area rurale dove l’acqua potabile rifornisce tre Comuni.  Cosa hanno in comune queste comunità, a volte distanti venti chilometri l’una dall’altra? Hanno lo spandimento di fanghi industriali, in particolare provenienti dall’ex cartiera di Stenay. Questo sito, da tempo di proprietà del gruppo Ahlstrom-Munksjö, beneficia dal 2017 di autorizzazioni prefettizie per “recuperare” i propri rifiuti attraverso lo spandimento agricolo. Almeno 2000 tonnellate di fanghi sono state quindi scaricate nei pascoli intorno a Villy.
 
Di fronte all’emergenza, la prefettura della Mosa ha già vietato il consumo di acqua del rubinetto in quattro comuni. Un decreto simile è previsto nelle Ardenne nei prossimi giorni. Gli amministratori cercano disperatamente di ottenere acqua potabile, a qualsiasi costo: “Pagheremo 60 euro all’anno per farci portare l’acqua dalle cisterne, non resisteremo a lungo”. E intanto, i residenti continuano ad assorbire, giorno dopo giorno, sostanze impossibili da eliminare: secondo gli scienziati, anche se l’acqua venisse sostituita domani, i PFAS rimarrebbero nell’organismo per anni: “Si tratta delle sostanze più tossiche mai create dall’uomo”. Una tossicità lenta, insidiosa e irreversibile, cancerogena.

I Pfas nei cantieri edilizi.

Il regolamento UE ( Regolamento (UE) 2019/1021 sui POP (Persistent Organic Pollutants) vieta l’uso produttivo del PFOA, e non esistono deroghe generali per il suo impiego in edilizia. Senza un’autorizzazione specifica e motivata, tale pratica risulterebbe in contrasto con la normativa europea, con possibili conseguenze legali e ambientali rilevanti. L’utilizzo di acqua contaminata da PFOA per operazioni di miscelazione o altre fasi del lavoro nei cantieri non può essere considerato neutro dal punto di vista normativo.
 
Non risulta che i PFAS — PFOA o altri — siano impiegati abitualmente come acceleranti di presa nei cementi o nei calcestruzzi, ma studi segnalano la presenza di PFAS in massicci cementizi o in asfalti come possibile fonte di contaminazione ambientale.
 
Si tratta dunque di un nodo che richiede chiarezza immediata: non solo per garantire il rispetto delle leggi, ma anche per tutelare la salute pubblica e la qualità delle risorse idriche, già compromesse in molte aree dalla contaminazione da PFAS.

Pfas nella falda di Vicenza.

L’acqua della prima falda di Vicenza è inquinata. Un ampio ventaglio di agenti, tra cui sei elementi Pfas (Pfoa e GenX tra gli altri), viaggia da chissà quanto tempo sottoterra. E’ uscito dal monitoraggio ante operam effettuato nell’area della stazione ferroviaria nell’ambito del progetto «Attraversamento Vicenza» dell’alta velocità ferroviaria. Questo e gli altri cantieri Tav devono rientrare in un percorso di bonifica.

Pfas nell’acqua potabile a Bassano del Grappa.

A pochi giorni dalla storica sentenza sull’ex Miteni e della presenza dei Pfas in una vasta area del Veneto si torna a parlare di questi composti anche a Bassano del Grappa.
 
Nell’aprile di quest’anno, le associazioni locali avevano fatto analizzare a proprie spese 19 campioni di acqua potabile provenienti da Bassano, Cassola e Rosà.  191 nanogrammi di San Lazzaro, 211 della fontanella di Parco Baden Powell in Santa Croce e 158 di quartiere Firenze. In seguito, i privati hanno fatto eseguire altri campionamenti e hanno informato enti e associazioni della presenza di Pfas nelle acque potabili, ribadendo che la popolazione non era informata di questa situazione. Della faccenda sono stati informati, dall’ “Osservatorio Pfas Bassano”, anche Etra e Amministrazione Comunale e sono scattate le controanalisi.
 
Il risultato evidenzia la presenza di Pfas nei pozzi uno e due di Santa Croce e nella fontanella del parco Baden Powell. I valori si attestano attorno ai 50 nanogrammi. Le associazioni hanno chiesto un’indagine sulle fonti di contaminazione, cioè delle aziende che usano i Pfas della Solvay, ovvero delle discariche come già avvenuto per la fuga di gas in frazione di San Michele.

Pfas nelle acque di scolo delle gallerie della Pedemontana Veneta.

Con un esposto, il Comitato Veneto Pedemontana Alternativa (Covepa) aveva chiesto al ministero dell’Ambiente di indagare sugli scarichi d’acqua di drenaggio delle gallerie di Malo e Sant’Urbano della superstrada che attraversa le province Vicenza e Treviso. Il responso della relazione tecnico-scientifica di Ispra e Arpav è allarmante: c’è il rischio di “imminente danno ambientale” perché le acque di falda sono contaminate da Pfba, l’acido perfluoro-butanoico un composto chimico che fa parte della famiglia dei Pfas.
 
Le fonti di inquinamento tuttora attive riguardano sia le acque superficiali dei torrenti Poscola e Giara-Orolo che quelle profonde da cui attingono i nuovi acquedotti delle province di Padova e Vicenza.
 
Nello scavo delle gallerie era stato utilizzato un accelerante di presa, contenuto nel calcestruzzo con Pfba. Era servito per realizzare la “centina” di sostegno della volta. Una volta demolita era stata interrata. Di qui la diffusione nel terreno e dal terreno alle acque.
 
C’è da aggiungere che, da un nuovo e complesso studio di impatto ambientale del ministero, i Pfba sono stati rilevati anche in altri ambiti infrastrutturali del territorio veneto, in particolare in opere gestite da Anas e realizzate dal Gruppo Sis.  Inviata una segnalazione alla Procura della Repubblica di Vicenza, che sta indagando.
 
La Regione Veneto finora non ha inteso imporre una bonifica rivalendosi sui colpevoli di tale scempio.

I Comitati toscani denunciano l’inerzia sui Pfas delle istituzioni.

I comitati “Acqua Bene Comune Valdarno (Forum Toscano Movimenti per l’Acqua)”, “Le Vittime Podere Rota” e l’associazione “I’Bercio” hanno deciso di autofinanziarsi e commissionare ulteriori analisi indipendenti sui Pfas, effettuate da un laboratorio specializzato. Dalle verifiche, denunciano i valori elevati dei Pfas nei torrenti Ciuffenna, San Cipriano, Riofi, Caposelvi, in Arno nei pressi del depuratore di San Giovanni Valdarno e in alcuni pozzi privati vicini alla discarica, in particolare nel borro di Riofi, a ridosso della discarica di Podere Rota,  dove la somma dei Pfas ha superato i 7300 nanogrammi/litro e, soprattutto, è stata registrata una concentrazione di PFOA pari a 2716 ng/l, oltre 27 volte il limite fissato dalla normativa italiana (100 ng/l).
 
Le associazioni criticano l’inerzia delle istituzioni locali: Regione, Arpat e l’Autorità di Bacino.

Le analisi a proprie spese della Rete Zero Pfas Toscana.

In considerazione del fatto che la politica nazionale e le istituzioni regionali sembrano indugiare sull’effettiva presenza di PFAS nelle nostre acque e nei nostri cibi, un gruppo considerevole di Associazioni e di comitati della Toscana coordinati dalla Rete Zero Pfas Toscana hanno deciso di far eseguire una serie di analisi, a proprie spese, da un laboratorio accreditato utilizzato anche da Greenpeace nelle sue ultime analisi condotte in Toscana. Al seguente link una mappa interattiva con i risultati delle analisi nei punti di prelievo nelle province di Arezzo, Grosseto, Prato, Pistoia, Firenze, Siena, Massa Carrara, Livorno.
 
Sono state campionate: acque potabili, acqua superficiale generica, area mineraria, depuratori, acqua in mare, pozzo, zona industriale che nella mappa riportano simboli differenti.
 
I punti di prelievo nella regione sono 47, e le molecole di PFAS analizzate sono ben 58. La maggior parte delle analisi attiene solo ai PFAS, in altre sono aggiunti anche 23 metalli pesanti e alcune sono limitate a questi ultimi.
Queste sostanze sono presenti nella quasi totalità dei campioni. Per le acque superficiali sono stati analizzati due campioni delle acque del Tevere, uno in Arno e altri due in corsi superficiali minori: a sorpresa i valori più elevati sono stati trovati nel Tevere a Sansepolcro, a ridosso del confine con l’Umbria.
 
Prelevate anche acque superficiali vicino ai depuratori e a qualche area industriale importante e, pure in questo caso i PFAS sono presenti dappertutto, in quantità considerevoli (uso schiume antincendio?) nel Fosso Tommarello nella zona di ENI a Calenzano dove la somma di PFAS ammonta a ng/l 2775,8 e a ng/l  612,5 in un altro. Destano anche timori sia i valori trovati a Livorno allo scolmatore zona Stagno, dove la somma PFAS è di ng/l 794, sia la presenza nel torrente Nievole di PFOA, il cui utilizzo nei processi industriali è ormai vietato, dal By pass del depuratore.
 
È motivo di preoccupazione il fatto che a Prato e a Carrara è stata trovata una quantità di PFAS maggiore o simile sia nelle acque potabili che nelle acque superficiali, vicino agli scarichi dei depuratori: la domanda è da dove, in questi due comuni, vengono prelevate le acque per la potabilizzazione.
Alcune analisi sono state fatte anche in acque superficiali vicino a discariche e stoccaggio di rifiuti ed è proprio in alcune di queste acque che si trovano i dati più preoccupanti: sia in quelle alla discarica del Cassero (nel Pistoiese) oltre 2100 ng/l di PFAS e a Podere Rota nel comune di Terranova Bracciolini (AR), riscontrati addirittura oltre 7.300 ng/l.

Più inquinamento da qui al 2031 con l’Accordo di Programma per l’ILVA.

Nel 2031 l’aria a Taranto sarà peggiore di oggi, anche se si spegnessero due altoforni su tre e ci fosse l’attivazione di due forni elettrici EAF. E la nuova AIA rende priva di valore giuridico la chiusura degli altoforni che rimetterebbero in funzione se le condizioni di mercato fossero avverse e le risorse economiche carenti.
 
Oggi viene raccontata una storia, quella della decarbonizzazione contenuta nell’Accordo di Programma, che già oggi viene smentita dal Ministero dell’Ambiente. In pratica: in caso di firma dell’Accordo di Programma avremmo un piano per dismettere gradualmente la produzione a carbone, ma al contempo il Ministero dell’Ambiente ha firmato un’AIA che autorizza l’azienda produrre per altri 12 anni con il carbone senza prevedere alcuna fermata degli altoforni e delle cokerie. Il risultato è un’illusione tutta politica: si promette la decarbonizzazione, ma si concede per legge il diritto a continuare con gli impianti più inquinanti per altri 12 anni. E poiché l’AIA ha valore normativo superiore, il gestore è oggi in una botte di ferro. Può fare la decarbonizzazione se ha i soldi ma può anche non farla se non conviene farla.
 

L’atmosfera di Alessandria avvelenata dalla Solvay.

Non solo acqua ma anche atmosfera. Infatti,  con l’esposto in Procura del 7 aprile 2023 via PEC,  ribadiamo l’esigenza di intervenire per le emissioni inquinanti in atmosfera: “Come conosciuto nei monitoraggi, dalle 72 ciminiere dello stabilimento e dai 15.000 punti di perdite incontrollate fuoriescono sostanze inquinanti tossiche e cancerogene (PFAS: PFOA, ADV, C6O4, Acido Fluoridrico, Acido Cloridrico,NH3, Alcoli, Anidride fosforica (P2O5), Composti Iodurati (C4F8I2), Zn, Idrossido di Potassio(KOH), NOx, CO2, SOx, Polveri, composti fluorurati (C2F4, C3F6,C4F8): 107 Kg/giorno; 40 t/anno, ecc. In questo cocktail, appunto, il PFOA, l’ADV e il brevettato cc6o4. Per i quali richiamiamo l’attenzione su…” Su importanti documenti: Pubblicazione scientifica 2022 di Arpa e Università di Torino, Studio 2023 ARPA Deposimetri a Spinetta Marengo, nonché l’autorevole commento di Claudio Lombardi, già assessore Ambiente del Comune di Alessandria.
“Le misurazioni della ricaduta dei PFAS sul terreno di Spinetta Marengo sono state effettuate in via Genova nei pressi dello stabilimento Solvay ma i risultati ottenuti potrebbero essere qualitativamente validi per una ben più ampia area a causa del trasporto aereo. Come media delle due campagne di analisi del 2019 e 2020 per ogni metro quadro ricadono ogni giorno a terra 3840 (nanogr/m2gg) della somma di PFAS prodotti in Solvay (cC6O4 + ADV). Nelle aree non interessate da insediamenti produttivi di tali sostanze (aree bianche) la somma di PFAS è inferiore a 91(nanogr/m2gg). I risultati delle analisi sono estremamente allarmanti: i PFAS nell’aria di Spinetta sono di ben 42 volte superiori a valori ammissibili!
“Da tempo il Comitato Stop Solvay e Il Movimento di lotta per la salute Maccacaro formulano la tesi che le patologie, le morti certificate dalle indagini sulla salute degli abitanti della Fraschetta in quantità assai superiore ad Alessandria ed al resto del Piemonte siano causate dall’inquinamento dell’aria, oltre che dell’acqua”.
 
Insomma, su Spinetta, dal cielo 5 microgrammi ogni giorno di Pfas per ogni metro quadrato, nell’acqua 52 microgrammi per litro di C6O4.  
La Regione Piemonte non si è mai sprecata in monitoraggi sanitari e ambientali. Tant’è che la Regione aveva ignorato già nel 2009 la nostra allarmata richiesta di controlli ematici di massa. Neppure si è mossa nel 2022 dopo l’indagine dell’Università di Liegi.
Neppure di fronte ai rari ma preoccupanti monitoraggi di Pfas nelle matrici aria e acqua: ad esempio quello compiuto da Arpa e Università di Torino (Ilaria Marchisio, Tiziana Schilirò, Simona Possamai, Nicola Santamaria) che denuncia: “nelle matrici ambientali è stata riscontrata la presenza di molecole non ancora normate”, ovvero coperte da segreto industriale Solvay. Nelle Tabelle, i dati dell’inquinamento da PFAS del corpo idrico nel 2019 e 2020 evidenziano che nell’acqua del Bormida il PFOA (ufficialmente dismesso nel 2013) supera gli standard di legge, fino a 0.21 µg/l microgrammi litro. Il dato più eclatante è che tra i Pfas le concentrazioni maggiori, addirittura 52.5 µg/l, sono del cC6O4: un Pfas   prodotto ed utilizzato in Italia esclusivamente nel polo chimico di Spinetta Marengo, e perfino riscontrato a monte del fiumeAl punto che i ricercatori sono costretti ad esclamare: Alla luce di questi dati, è quanto mai opportuno che vengano studiati gli effetti cancerogeni del cC6O4 sull’ecosistema e sulla salute umana soprattutto”. In primo luogo sarebbe necessario intensificare la frequenza dei monitoraggi per misurare durante i diversi episodi di sversamento una sostanza così solubile in acqua e facilmente trasportabile.
Per quanto riguarda la matrice aria, ad oggi il metodo di campionamento di aria che risulta più facilmente attuabile è quello relativo alle deposizioni ambientali. Le analisi dei campioni prelevati evidenziano la presenza sia di PFOA che di cC6O4 e ADV. In particolare le ultime due sono sostanze caratterizzanti del polo chimico di Spinetta Marengo in quanto prodotte e utilizzate esclusivamente in locoIl dato più preoccupante risulta quello relativo al cC6O4, riscontrato con valori di circa 5 µg/m2 gg (5 microgrammi ogni giorno per ogni metro quadrato), se ci confrontiamo con uno studio realizzato nel nord della Germania: ad Alessandria per il cC6O4 si hanno valori con ordine di grandezza di mille volte superiori a quelli tedeschi. Al punto che i ricercatori tornano ad ammonire: “Considerando le nozioni in nostro possesso circa la sua tossicità da inalazione, sarebbe assai opportuno un approfondimento su tale tematica”. Di grande rilievo è l’annotazione che “la maggior parte dei PFAS si distribuisce principalmente nella fase gassosa e non nel particolato, quindi avendo avuto la possibilità di campionare solamente il particolato con i filtri in fibra di quarzo, sono andate perse gran parte delle concentrazioni realmente presenti nell’aria, concentrazioni assai importanti”.
L’ARPA: “I Pfas C6O4 e ADV in atmosfera ricadono sul Spinetta Marengo”. Arrivano dai camini, dal risollevamento della terra vicino allo stabilimento, dalle discariche. Va da sé che C6O4 e ADV sono respirati dagli abitanti: disciolti nella nebbia, nella pioggia, nel pulviscolo atmosferico, nelle famigerate polveri sottili. D’altronde, il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) aveva evidenziato la presenza di Pfas nelle uova degli uccelli.  Il sindaco Giorgio Abonante lo sa ma fa finta di niente. E la Procura? chiediamo nell’esposto.

Luci e ombre nel processo Pfas di Vicenza.

Sta facendo il giro del mondo. Certo (vista a colori) la sentenza Pfas di Vicenza per l’avvelenamento delle acque è storica perchè è la prima che condanna per dolo, cioè con pene pesanti, ma occorre guardarla anche un po’ in bianco e nero. Innanzitutto, sul versante delle azioni risarcitorie a favore delle Vittime. 
Potenzialmente, potevano essere 350mila nel Veneto le persone fisiche presenti come parti civili nel processo, in quanto danneggiate in varia misura dai Pfas delle aziende ex Miteni. Invece, delle 338 “parti offese” indennizzate, sono ben 138 quelle istituzionali (enti, associazioni) ma appena 200 sono le persone fisiche: “Mamme no Pfas” e altri cittadini che a partire dal 2017 hanno scoperto che il loro sangue e quello dei loro figli erano avvelenati da concentrazioni preoccupanti di Pfas. Per ognuno dei 200, la Corte ha stabilito indiscriminatamente un risarcimento forfettario di 15mila euro.
Ebbene, premesso che la salute non è mai riparabile, però diciamolo apertamente, sono addirittura irrisorie 15mila euro per le Vittime, colpite dagli effetti cancerogeni e dalle conseguenze ormonali e metaboliche (processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile, cioè effetti sulla fertilità e sullo sviluppo fetale; aumento di vari tipi di cancro, tra cui leucemia, cancro al seno, tiroide e al pancreas; crescita significativa della mortalità di individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo; indebolimento del sistema immunitario e della risposta alle vaccinazioni soprattutto dei bambini; sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici; aumento della concentrazione di trigliceridi e colesterolo nel sangue, eccetera).
Stiamo parlando di queste patologie mortali. Non stiamo mica parlando di 15mila euro per danni per la perdita di valore degli immobili.  15mila euro per le Vittime: non è Giustizia! Ci si avvicinerà ad essa se le 200 persone, ma anche le migliaia non coinvolte nel processo penale concluso, chiederanno i danni per le patologie da ciascuna subìteMa questi danni devono chiederli per altra via che non sia quella penale, perché nel processo penale il reato contestato è di natura prettamente ambientale: l’avvelenamento delle acque e il disastro ambientale. Il penale è bengodi per gli avvocati, non per le Vittime.  Il penale non risarcisce i danni per la salute, nemmeno un briciolo di dignità.
Per risarcire i danni alla salute, la via obbligata è quella dei processi in sede civile: con azione legale individuale, oppure unendosi con azione legale collettiva (class action): tramite associazione di cittadini ovvero organizzazioni, riducendo così notevolmente i costi legali ai rari avvocati (e medici legali) disponibili a parcelle meno appetitose di quelle in sedi penali.
Dunque, chiunque ritenga di aver subito danni reali a causa dell’inquinamento da PFAS (cioè problemi di salute ma perfino perdita di valore degli immobili, ecc.) può intentare una causa civile contro i responsabili dell’inquinamento, a partire dalle aziende che hanno prodotto o utilizzato le sostanze PFAS. Il diritto vale innanzitutto per le popolazioni che hanno “ospitato” in passato l’industria produttiva, come la Miteni di Trissino, ovvero per quelle che tuttora la fabbrica ce l’hanno in casa, come la Solvay di Spinetta Marengo.
A maggior ragione, questo diritto ad un risarcimento non lesivo della dignità ce l’hanno i principali esposti ai veleni, le Vittime dirette: i lavoratori di queste fabbriche. Per paradosso, anzi assurdo, i lavoratori della Miteni non hanno ricevuto dalla sentenza di Vicenza nessun risarcimento. Neppure i 53 costituitisi parti civili l’hanno preso, nemmeno l’elemosina delle 15mila euro (per la motivazione, appunto, che la natura del reato contestato è… solo di natura ambientale, non professionale).
Dunque, l’unica sentenza -anch’essa storica- che risarcisce i lavoratori resta quella, di un altro tribunale di Vicenza, che in sede civile ha risarcito la morte per tumore di un operaio della Miteni: per la prima volta riconoscendo in Italia la malattia professionale da Pfas. Però, con questa sentenza non è stata condannata al risarcimento l’azienda ma un Ente terzo in causa: l’INAIL.
E’ clamoroso, anzi scandaloso, che in Alessandria i sindacati a loro volta non abbiano mai avviato causa di riconoscimento di malattie professionali contro il colosso chimico di Spinetta Marengo. In particolare, la polemica è stata anche trasmessa con lettera aperta al segretario generale della CGIL, Maurizio Landini.

Ci vorrebbe un secolo per ripulire la falda più inquinata d’Italia.

Non merita ulteriore commento l’indecenza delle attribuzioni di vittoria e delle autoassoluzioni di politici e amministratori… all’unanimità. Invece, la sentenza Pfas di Vicenza va a pieno ed esclusivo merito della popolazione che si è mobilitata.
 
Detto questo, la sentenza per quanto tardiva (e col cappio degli appelli) assume comunque valenza storica perché è la prima che condanna per dolo (pene fino a 17 di reclusione per i manager), cioè considera sul serio l’inquinamento come reato: cosciente e voluto. Storica benchè insufficiente per fare giustizia. La Giustizia non si realizza certo con i 50mila euro per organizzazioni ambientaliste o con i 25mila per i sindacati Cgil e Cisl. Mentre sarebbe fondamentale se assicurasse i massimi risarcimenti alle Vittime: le quali invece -in poche centinaia su centinaia di migliaia- sono state indennizzate con irrisorie 15mila euro.
 
L’altro aspetto nevralgico è la bonifica. “Chi inquina paga” è uno slogan ingannevole, soprattutto perchè ambiente e salute non sono riparabili. Eppoi, quando mai è successo che chi ha inquinato ha pagato la bonifica! Codesta è miliardaria. Chi la paga? chi e come e quando la realizza? Gli inquinatori? La Miteni che è fallita? Gli stranieri del lontano Giappone?  Il ministero dell’Ambiente, al quale è stato riconosciuto un indennizzo da 58 milioni? La Regione Veneto con i 6 milioni di euro di indennizzi? Con gli 844mila euro di indennizzo all’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav)? Con i 151mila la Provincia e con gli 80mila euro ciascuno per i trenta Comuni della zona rossa?
 
La Regione Veneto ha già speso 2,8 milioni in filtri e nuove reti acquedottistiche e 3,5 milioni per finanziare Arpav. Mai finiti i monitoraggi ambientali. A cui si aggiungono i costi elevati dei monitoraggi sanitari per 350mila residenti, del dosaggio dei Pfas nel sangue, delle patologie di preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita, cancro del rene e del testicolo e della tiroide, malattie cardiovascolari, colesterolo e funzionalità epatica eccetera.  A tacere i costi per le cure.
 
Secondo l’Arpav, ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia. Le altre 16 Regioni già individuate da CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sono Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Friuli, Basilicata, Liguria, Umbria, Abruzzo, Puglia, Sardegna, Molise e Calabria.
Per sapere di più sulla storica sentenza del processo di Vicenza:

In più, la partita dei Pfas va ben oltre la sentenza di Vicenza.

Ok limite zero Pfas in Italia quando in Usa. .
L’intera partita (clicca) si giocherà in campo internazionale, all’ombra militare di Trump. Senza eccedere in trionfalismi, come si sta facendo, nondimeno la storica “sentenza Miteni” del tribunale di Vicenza, al di là dell’esito giudiziario ancora provvisorio, ha acceso ulteriormente i riflettori sui Pfas: in particolare sulla necessaria fermata nell’unico stabilimento che li produce in Italia, Solvay a Spinetta Marengo, e sul relativo assai controverso processo (bis) di Alessandria.
 
Nell’immediato, indubbiamente la sentenza sta plasmando in Veneto nuove decisioni e nuovi indirizzi in materia ambientale. In questo scenario, a Schio l’assemblea dei soci di “Alto vicentino ambiente (Ava)”, che si occupa del ciclo integrato dei rifiuti del comprensorio, ha approvato una delibera in cui si stabilisce che, qualora si dovesse potenziare ed ampliare l’inceneritore di Ca’ Capretta, non sarà consentito trattare fanghi di depurazione, che   tipicamente contengono Pfas.
 
La gravità della minaccia degli impatti sanitari dei Pfas si è riflessa, quasi in contemporanea, sulla vicenda dell’inceneritore che Eni Rewind aveva in animo di realizzare a Fusina, alla periferia di Venezia, bloccato finalmente dopo anni di lotte dal Comitato tecnico della Regione Veneto proprio per la possibilità che i fanghi da bruciare potessero contenere i Pfas.
 
Insomma, in un contesto così tratteggiato, i Pfas «finiscono per essere il filo conduttore» che lega i destini di Trissino, di Vicenza, di Venezia, di Schio, di Padova, di Verona, di Legnago e di Loreo. Si tratta di Comuni nei quali o c’è un impianto di trattamento o è prevista la realizzazione di un inceneritore o il potenziamento di una linea di incenerimento, oppure è in previsione la realizzazione di un impianto ad hoc: vuoi di trattamento, vuoi di essiccazione. Si è aperto un nuovo approccio nella gestione dei rifiuti e dei fanghi contaminati da PFAS, in particolare rispetto ai rischi per la salute derivanti dalla combustione incompleta dei PFAS.
 
A maggior ragione dopo la sentenza di Vicenza, i Comitati e le Associazioni chiedono la messa al bando in Italia dei Pfas per Legge. Il che però implica la sorte dello stabilimento di Spinetta Marengo, ovvero degli interessi economici, militari e geopolitici in gioco, che sono tanto radicati e ramificati da rendere l’intera partita (clicca) un vero e proprio rebus non solo nazionale.  Clicca anche https://economiacircolare.com/pfas-industria-bellica/ i “forever chemicals indispensabili nel mercato della guerra”.
 
Lo scenario internazionale, infatti, si fa più torbido, e dentro vi nuota Solvay in Italia (vedi foto). In Usa, l’Epa, l’agenzia governativa per la protezione dell’ambiente, sembra fare marcia indietro nella lotta agli “inquinanti eterni”. Le misure portate avanti da Joe Biden erano state pianificate durante il primo mandato di Donald Trump, che anche in questo caso rinnega sé stesso. L’Epa ha prorogato l’entrata in vigore dei limiti per la presenza di queste sostanze chimiche nell’acqua potabile e ha cancellato oltre 15 milioni di dollari destinati alla ricerca. La soglia di 4 nanogrammi per litro, tecnicamente zero, stabilita dalla legge Usa passata sotto Biden, dovrà essere rispetta solo dal 2031.

Un altro dei tanti rinvii Pfas della Regione Piemonte.

Onde favorire la Solvay di Spinetta Marengo, unico stabilimento che produce “inquinanti eterni” in Italia, la Regione Piemonte, nel porre dei massimi di concentrazioni di Pfas nelle acque, aveva stabilito che limiti aggiuntivi per le sostanze pericolose sarebbero dovuti entrare in vigore quest’anno. Invece, la Regione ha rimandato di tre anni «per permettere agli impianti di depurazione di adeguarsi».  In questo periodo, il provvedimento, tramite un ennesimo  “Osservatorio”, consentirebbe agli enti locali, ai gestori e ai consorzi di riavviare il percorso di studio e approfondimento, anche per avviare soluzioni concrete e affrontare in modo sistemico il tema del trattamento dei rifiuti, in primis del percolato”.
 
Questa proroga regionale dell’entrata in vigore dei limiti Pfas si scontra con il pieno disaccordo degli ecologisti: “Si è partiti col limitare i Pfas nello smaltimento, ma per risolvere il problema bisogna impedirne la produzione e l’utilizzo. Il problema in Piemonte è gigantesco. Non si può non guardare l’elefante nella stanza: lo stabilimento di Spinetta Marengo”.

I politici e i sanitari nelle istituzioni sono degli irresponsabili.

Nel silenzio spesso complice dell’informazione ufficiale, il glifosato — l’erbicida più utilizzato al mondo — continua a insinuarsi nella nostra catena alimentare, nell’acqua che beviamo e nell’aria che respiriamo, eppure i dati più recenti, provenienti da studi sperimentali e ricerche epidemiologiche, confermano i rischi per la salute legati all’esposizione al glifosato.
 
In particolare, dallo studio dell’Istituto Ramazzini, pubblicato sulla rivista Environmental Health: l’esposizione cronica al glifosato, iniziata in utero e protratta per due anni in ratti di laboratorio, ha provocato un aumento significativo e dose-dipendente di tumori multipli: leucemie precoci, tumori del sistema nervoso, della pelle, del fegato, delle ossa e della tiroide.
 
Ma i rischi non si fermano qui. Studi recenti suggeriscono che il glifosato possa contribuire anche allo sviluppo di malattie neurologiche complesse, come l’autismo e il morbo di Parkinson, agendo come co-fattore ambientale in soggetti geneticamente predisposti, danneggiando il sistema nervoso fin dalle prime fasi della vita. Inoltre, il glifosato altera profondamente il microbiota intestinale, influenzando l’equilibrio tra cervello e intestino e contribuendo a stati infiammatori cronici e stress ossidativo.
 
La questione, oggi, non è più se il glifosato sia pericoloso. La vera domanda è: perché le istituzioni politiche e sanitarie locali  continuano a tollerarne l’utilizzo in ambiti così sensibili — come parchi pubblici, giardini scolastici e aree verdi urbane — pur conoscendone la tossicità documentata?

Processi Pfas. Ad Alessandria è campo minato.

Molti lamentano di aver ricevuto la mailinglist “Storica sentenza PFAS a Vicenza. Scandalo ad Alessandria” con un articolo (https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/27/scandalizza-i-comitati-e-le-vittime-il-processo-solvay-di-alessandria/ ) gravemente mutilato. Riproduciamo il paragrafo compromesso:
Scandalizza i Comitati e le Vittime il processo Solvay di Alessandria.
Pene fino a 17 anni -per dolo– nella storica sentenza “Miteni” di Vicenza. Sono le stesse condanne che nel 2010 la procura di Alessandria (procuratore capo Michele Di Lecce, sostituto Riccardo Ghio) aveva chiesto per il management per il reato di avvelenamento doloso delle acque. Solvay era stata graziata con una mite condanna per colpa.
Il nuovo capo della procura (Enrico Cieri), benchè Solvay a Spinetta Marengo avesse per un altro decennio reiterato il reato (anzi peggiorando il disastro ambientale e sanitario), e ignorando 11 miei esposti che chiedevano di intervenire per dolo, Cieri (con Eleonora Guerra sostituto procuratore) infine ha addirittura rinviato a giudizio Solvay solo nel 2024 e con un blando capo di imputazione per colpa: a carico di due direttori privi di potere decisionale, assolvendo cioè il management e privando degli equi risarcimenti miliardari le Vittime  e la Bonifica.
Dunque, il capo di imputazione del processo bis di Alessandria scandalizza, e ancora più il pasticciaccio del patteggiamento in corso con il Gup (Andrea Perella). Il tutto è raccontato, giorno per giorno, in “Ambiente Delitto Perfetto” (di Lino Balza e Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia) disponibile a chi ne fa richiesta.
Ripetiamolo chiaro e tondo: Alessandria non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie in sede civile.

Le Vittime non ottengono Giustizia nei tribunali penali.

Ripetiamolo chiaro e tondo: Alessandria non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie. Qui, più che altrove, le Vittime rischiano di diventare Vittime una seconda volta. Si consuma drammaticamente il “delitto perfetto”.
 
DELITTO PERFETTO PER SOLVAY
L’idea del “delitto perfetto” ha ossessionato l’umanità fin dai tempi antichi. Il “delitto perfetto” è quel crimine efferato commesso consapevolmente sapendo che, anche quando portato allo scoperto, resterà impunito. Appartengono a questa categoria proprio i crimini contro l’ambiente: più sono potenti gli autori, più mietono Vittime, e più sono assolti nei tribunali penali. Così che le Vittime diventano Vittime una seconda volta (talvolta terza ecc.). Il libro “Ambiente Delitto Perfetto” (di Lino Balza e Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia) raccoglie una vasta casistica di delitti italiani. Il terzo volume è interamente dedicato alle Vittime di Alessandria.
Qui, ogni famiglia del circondario del polo chimico di Spinetta Marengo, nei decenni, ha fatto per conto proprio il calcolo di quanti morti e ammalati in più rispetto alle famiglie di parenti e conoscenti più distanti nell’alessandrino. Queste indagini epidemiologiche erano “domestiche” confermate da quelle istituzionali che conteggiavano l’eccedenza enorme di morbilità e decessi. Tutte le volte i giornali fanno grossi titoli: “In Fraschetta si muore di più”. Bella scoperta, lì c’è la fabbrica. Sempre lì, cambiando nome: Montecatini, Montedison ecc. e da venti anni Solvay. Solvay è riuscita a consolidare il secolare disastro ambientale e sanitario, peggiorandolo anziché bonificarlo. Con la complicità di Comune, Provincia, Regione, governi, e malgrado Comitati e Associazioni.
La soluzione è una: è la chiusura delle produzioni inquinanti, per bloccare nel tempo ulteriori Vittime (come per l’amianto). Almeno il sindaco avrebbe avuto la potestà di interrompere la spirale (invece di querelare Lino Balza). Intanto le Vittime si sono moltiplicate: a nessuna di loro è possibile restituire vita e salute. La salute non ha prezzo. Però, accidenti, almeno vada risarcita (esclamò il PG di Cassazione). Non l’hanno fatto -nemmeno quello- i Sindacati a indennizzo dei Lavoratori. Né i Tribunali hanno provveduto per i Cittadini. Né intendono farlo con l’attuale Processo in sede penale.
 
VITTIME UNA SECONDA VOLTA
Facciamo un esempio concreto. Nel primo processo (2010) alla Solvay, la mia associazione aveva chiesto 400mila euro come risarcimento patrimoniale per il bambino (TLD) colpito da leucemia, attribuibile alle sostanze emesse dall’azienda. 978.450 euro per gli eredi del tumore dell’operaio AA E così via, documentando, per tutte le nove persone costituitesi Parti Civili. Per un totale di 2.848.450 euro. Ebbene, il Tribunale evitò di entrare nel merito delle patologie e del prevedibile contenzioso causa-effetto della Difesa, e (2015) sentenziò -per gentile “elargizione”- 10mila euro di risarcimento: indistintamente per tutte le Parti Civili. A quale titolo? A titolo di danno psicologico: da “metus” (timore, paura, preoccupazione, ansia, turbamento emotivo) derivante dal (presunto) comportamento penale di Solvay.
10mila euro per “l’ansia” della famiglia per la leucemia? Per il “turbamento emotivo” del tumore mortale? E così via per tutte le altre Vittime. Questa è la giustizia nei processi penali. Per altro, fu applaudita dagli avvocati -penalisti- dell’accusa, soddisfatti della propria parcella. Benchè inutilmente appellata dalla Procura. (Per inciso: la Bonifica è rimasta lettera morta anche dopo la sentenza del 2019 della Cassazione).
Insomma, il “metus”, paradossalmente, si aspetterebbe a tutti i 300mila abitanti della provincia di Alessandria! E così per i 350mila vicentini, piuttosto che l’irrisorio risarcimento di 15mila euro per quelle poche centinaia di Parti Civili fisiche della odierna sentenza, pur storica, di Vicenza.
 
IL METUS NON E’ GIUSTIZIA, E’ INGUISTIZIA. ABERRANTE PER LE VITTIME.
Ripetiamo chiaro e tondo la previsione: l’attuale Processo bis alla Solvay sarà “antistorico”, destinato com’è ad un risultato analogo al primo, anzi peggio. Anche perché, a strozzarlo, è stato inserito il cappio del “Patteggiamento” tra Solvay e Procura. Contro questo assolutorio patteggiamento, il fronte è rimasto compatto tra i Comitati e le Associazioni ambientaliste (ma con Medicina democratica e Pro Natura spaccate al proprio interno), mentre tra le Parti Civili istituzionali il Comune di Alessandria (per l’elemosina di 100mila euro) ha aperto la breccia a Regione Piemonte e Governo, ai quali il GUP ha concesso niente meno che quindici mesi per mercanteggiare.
E’ comunque pacifico che, con o senza patteggiamento “strozza dibattimento”, la futuribile sentenza non fermerà le produzioni inquinanti – non lo chiede il capo di imputazione- e la bonifica dunque resterà araba fenice. E’ altrettanto vero che la sentenza, con o senza rito abbreviato, ripeterà lo scandalo delle “vere Vittime”, tutte quali non saranno riconosciute i risarcimenti per le morti e le malattie: non lo chiede il capo di imputazione! Questa ingiustizia apparirà addirittura come una beffa perché gli avvocati sono costituiti quali Parti Civili persone fisiche (meno di 300) rinunciando a documentare patologie e cartelle cliniche: essendo queste “vittime fittizie” essi si limitano alle facili elemosine del “metus” (oltre alle parcelle). Diciamo: 10mila euro come nel primo processo. 300 alessandrini pescati tra 100mila, vieni in una lotteria! Totale: 300.000 mila euro di risarcimenti! Una inezia per chi, come Solvay, fa profitti miliardari. In questa aberrante logica del “metus”, semmai, 10mila euro a testa spetterebbero a tutta la popolazione alessandrina a rischio. Limitandoci ai 100mila cittadini del comune capoluogo, il totale dei risarcimenti per Solvay ammonterebbe a 1.000.000.000 di euro. 1 miliardo, rispetto a 300 mila euro, farebbe una bella differenza.
Ma perfino il fantastico miliardo sarebbe immane ingiustizia sul piano etico e morale. Perché le Vittime, morte e ammalate, sarebbero indistintamente “risarcite”: 10mila euro al bambino con la leucemia, nemmeno con un miserabile milione! Questo scempio dell’etica e della morale (sia tramite dibattimento ovvero patteggiamento) può lasciare indifferenti gli avvocati, che lavorano per la parcella, ei politici per le seggiole. Ma non la comunità alessandrina, i Comitati, le Associazioni, i Sindacati. Non la Giustizia con la maiuscola.
 
Si profila un altro delitto perfetto, insomma. Non si tratta di fare moralismo o vittimismo. Bisogna reagire. Bisogna agire. Venire? Ripetiamolo chiaro e tondo (giova): non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie. “Dura lex, sed lex” difficile da tradurre in italiano. 
 

Ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia.

E’ scontata l’indecenza di attribuzioni di vittoria e di autoassoluzioni di politici e amministratori… all’unanimità. Invece, la sentenza Pfas di Vicenza va ad assoluto ed esclusivo merito della popolazione che si è mobilitata. La sentenza per quanto tardiva assume comunque valenza storica perché è la prima che condanna per dolo: pene fino a 17 di reclusione per i manager. Ma è insufficiente per fare giustizia. La Giustizia non si realizza certo con i 50mila euro per organizzazioni ambientaliste o con i 25mila per i sindacati Cgil e Cisl. Mentre sarebbe fondamentale se assicurasse i massimi risarcimenti alle Vittime: le quali, invece, in poche centinaia su centinaia di migliaia, sono state indennizzate con irrisorie 15mila euro.
 
L’altro aspetto nevralgico è la bonifica. Chi la paga? chi e come e quando la realizza? Gli inquinatori?  Il ministero dell’Ambiente, al quale è stato riconosciuto un indennizzo da 58 milioni? La Regione Veneto con i sei milioni di euro di indennizzi? Con i circa 844mila euro di indennizzo all’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav)? Con in media gli 80mila euro ciascuno per i trenta comuni della zona rossa?
 
La Regione Veneto ha già speso 2,8 milioni in filtri e nuove reti acquedottistiche e 3,5 milioni per finanziare Arpav. Mai finiti i monitoraggi ambientali.  A cui si aggiungono i costi elevati dei monitoraggi sanitari per 350mila residenti, del dosaggio dei Pfas nel sangue, delle patologie di preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita, cancro del rene e del testicolo e della tiroide, malattie cardiovascolari, colesterolo e funzionalità epatica eccetera.  A tacere i costi per le cure.
 
Secondo l’Arpav ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia.  Le altre 16 Regioni già individuate da CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sono Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Friuli, Basilicata, Liguria, Umbria, Abruzzo, Puglia, Sardegna, Molise e Calabria.

Cento anni di veleni non sono bastati.

La Regione Liguria ha indicato Cengio in Valbormida , con Cairo e Vado Ligure, come possibile sede per un inceneritore (pardon, termovalorizzatore) dove bruciare i rifiuti: la Liguria produce 326 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati l’anno.
 
I sindaci interessati finora hanno detto no, ma qualcuno, forse intenerito dalle compensazioni, pare vacilli.
 
A Vado Ligure, a due passi da Savona, la centrale a carbone – chiusa nel 2016 dopo un’inchiesta giudiziaria – secondo uno studio epidemiologico del Cnr avrebbe causato quasi quattromila morti.
 
A Cairo, il capoluogo della Valbormida con 40 mila abitanti, il paesaggio è ancora ingombro degli scheletri di fabbriche chimiche – come la Ferrania – ormai abbandonate. Qui abbiamo ancora l’Italiana Coke. Il benzopirene ancora all’inizio del 2025 ha mostrato limiti superiori fino a 13 volte ai valori obiettivo.
 
L’Acna ha chiuso nel ’99 (dopo un secolo di lotte contro acido solforico, dinamite, gas tossici per la guerra d’Abissinia, defolianti per il Vietnam, poi coloranti) ma la bonifica di Eni Rewind non è nemmeno finita.
Clicca qui, tratto dal “manuale” di Michele Boato “Quelli delle cause vinte”, il capitolo di Lino Balza “I contadini, con un secolo di lotte, salvano la Val Bormida dall’Acna”.

Rispondo come medico e politico.

 Egregio sig. Balza,
                                 ho letto con attenzione la lettera aperta (https://www.rete-ambientalista.it/2025/05/30/fermare-subito-le-produzioni-inquinanti-di-solvay/) che è stata pubblicata sul sito del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, coinvolgendomi, come medico e come Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, sul problema PFAS.
Ricopro il ruolo di Presidente dal luglio 2022, la mia Commissione ha
affrontato il problema dei PFAS numerose volte, tanto che più del 50%
delle convocazioni è stato dedicato ai composti perfluoroalchilci. In
audizione abbiamo ascoltato più volte: dirigenti del Comune, medici
dell’Ospedale di Alessandria, avvocati delle parti civili nel processo
in corso per presunto disastro ambientale colposo,  rappresentanti
dell’ASL di Alessandria, dell’Arpa di Alessandria e Torino,
dell’Università del Piemonte Orientale, delle associazioni
ambientaliste. Nella prima seduta abbiamo invitato l’ing. Claudio
Lombardi, già assessore all’ Ambiente del Comune, per cercare di dare
continuità al suo lavoro.

Grazie ai lavori della Commissione siamo riusciti a portare in
Consiglio comunale, approvandola all’unanimità, la proposta popolare di
deliberazione presentata da 300 cittadini della Fraschetta, poi
trasformata in un atto di indirizzo e in un ordine del giorno. Sempre in
Consiglio comunale ho presentato una mozione, approvata all’unanimità,
che sollecitava Camera e Senato a produrre una legge quadro sui PFAS.
Negli ultimi mesi in Commissione è passato anche l’approvazione
dell’istituzione dell’Osservatorio sulla qualità dell’ambiente.

Si poteva fare di più? Certamente sì, visto la gravità della
situazione ambientale-sanitaria, che mi preoccupa come medico e come
politico.  Siamo ben consapevoli che se il problema PFAS è il più
urgente da affrontare, ma l’inquinamento della zona data da oltre un
secolo. La presenza ubiquitaria di numerosi composti chimici come il
cromo esavalente, ma l’elenco sarebbe ben più lungo, non è mai stata
affrontata con un’opera di bonifica ambientale.

Riteniamo però che rispetto alla legislatura precedente si siano fatti
numerosi passi in avanti. Le Commissioni comunali non hanno un ruolo
esecutivo, ma di proposta, di controllo, di approfondimento dei
problemi.Stiamo lavorando ad alcune iniziative importanti e alla luce anche
della recente sentenza del Tribunale di Vicenza e delle prese di
posizione di numerosi Ordini dei medici, italiani ed europei, cercheremo
di arrivare a risultati concreti.

La saluto cordialmente, Adriano Di Saverio

Dalla “battaglia di Marengo” alla “battaglia di Spinetta Marengo”.

La battaglia napoleonica di Marengo del 14 giugno 1800 contro gli austriaci viene rievocata ad Alessandria ogni anno. La battaglia di Spinetta Marengo contro i belgi di Solvay viene commemorata ogni giorno negli ospedali e nei cimiteri, ma anche in piazza ad esempio il 14 giugno con il presidio organizzato dal gruppo “Vivere in Fraschetta”, il Comitato che anch’esso si oppone al tentativo di “strozzare” il processo bis per disastro ambientale (il primo sancito dalla Cassazione) tramite   un assolutorio patteggiamento con la Procura da consumarsi addirittura davanti al GUP Giudice Udienza Preliminare.
 
Tra le parti civili, rifiutano apertamente l’idea di patteggiamento Greenpeace, Legambiente, Movimento di lotta Maccacaro, CGIL, ISDE, Comitato Stop Solvay e gli altri Comitati, tra cui Vivere in Fraschetta. Stessa intenzione per il WWF. Ambigue Pro Natura e Medicina democratica. Mentre pesa come un macigno l’accordo (l’elemosina di 100mila euro di Solvay stigmatizzata da tutti) per l’uscita del Comune di Alessandria dal processo: infatti ha lo scopo di fare da apripista ai patteggiamenti con Regione Piemonte e Governo.
 
“Vivere in Fraschetta” raggruppa in particolare i pensionati iscritti alla CGIL nei sobborghi di Alessandria, tant’è che si è rivolta per un intervento al segretario Maurizio Landini, perorando che siano fermate le produzioni inquinanti della Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo. Il 14 giugno, con indosso la maglietta “No Pfas” ha appunto organizzato un presidio per denunciare ancora una volta che nel territorio si registrano i livelli più alti di contaminazione in Italia ad opera dell’unica fabbrica attiva nel Paese.  Non si può continuare a vivere in un territorio inquinato dove la popolazione neppure è sottoposta a monitoraggio di massa, pur in presenza di storiche indagini epidemiologiche che evidenziano  il costante superamento delle  soglie di malattie e mortalità.