
Nel 2009 la Meloni, ex fascista, ministra della Gioventù del governo Berlusconi 4, si reca in visita a Betlemme per portare solidarietà ai giovani palestinesi, firma un protocollo col rettore dell’Università per finanziare con 200 mila euro progetti di microcredito e cita papa Giovanni Paolo II: “Più ponti e meno muri”. Nel 2014 Netanyahu attacca Gaza per colpire Hamas, ma fa 2.200 vittime civili. E la Meloni twitta: “Un’altra strage di bambini a Gaza. Nessuna causa è giusta quando sparge il sangue degli innocenti. Israele e Palestina, due popoli due Stati”. Nel 2015 la Meloni firma una mozione parlamentare di FdI con Rampelli, La Russa, Cirielli e altri per chiedere al governo Renzi di riconoscere lo Stato palestinese e condannare l’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania. E quando il Parlamento a maggioranza renziana gliela boccia, tiene il punto: “Fratelli d’Italia crede da sempre alla soluzione ‘due popoli, due Stati’”. Nel 2020 Trump sposta l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme: Salvini propone che anche l’Italia riconosca Gerusalemme capitale d’Israele, ma la Meloni si dissocia: “Quel gesto rischia di esasperare la tensione in una regione già fragile”. Oggi, per compiacere Trump, dice che riconoscere lo Stato palestinese è un atto “controproducente” e “prematuro”. “Controproducente” già non si può sentire: al massimo è inutile, perché puramente simbolico e autoassolutorio: per fare qualcosa di utile l’Italia, terzo esportatore di armi a Israele, dovrebbe smetterla. Ma in che senso un atto che era tempestivo e doveroso nel 2015 diventa “prematuro” nel 2025? (M.T.)







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