1) Ecologisti francesi sconfitti da sindacato operaio e multinazionale a braccetto.

L’urgenza della condizione eco sanitaria della popolazione di Alessandria impone la chiusura delle produzioni Pfas della Solvay di Spinetta Marengo: immediatamente. Troppo tardi le altre date che circolano per altre soluzioni: addirittura 2030. Unica-via-urgente: l’azione giudiziaria inibitoria risarcitoria, avviata dal basso.
 
Non sarebbero di nessuna utilità, per l’Italia e l’Europa, men che meno per  Alessandria, i  limiti del disegno di legge che i  parlamentari dell’Assemblée nationale hanno approvato all’unanimità in prima lettura,  per il quale dal 1 gennaio 2026 in Francia i PFAS saranno vietati nei cosmetici, nella sciolina e nella produzione di alcuni abiti. Con una siffatta restrittiva  legge,  gli impianti di Spinetta, infatti, procederebbero come prima.
 
Non concordiamo perciò con la gaffe di Greenpeace che chiede al governo italiano di seguire l’esempio francese. Sarebbe un palliativo addirittura antitetico alla Legge di totale messa al bando dei Pfas che Greenpeace, insieme  a noi, pur rivendica con urgenza.  Il disegno di legge non è una mezza vittoria per gli ecologisti francesi, anzi sarebbe una sconfitta totale dei loro allarmi sanitari: per loro e per tutta l’Europa se innescasse il contagio. Sarebbe invece una vittoria per la mobilitazione realizzata in questi anni dalla strana lobby dei  sindacati (2.000 operai)  e delle multinazionali (Seb), insomma dei produttori di stoviglie  (le famose pentole antiaderenti Tefal!) dell’Alta Savoia. Insomma, sindacato operaio e multinazionale a braccetto, operai in piazza a Rumilly, dietro i vessilli di Force ouvrière, sindacato autonomo.
 
In controtendenza, sempre in Francia, invece, i tribunali hanno ordinato una perizia indipendente a seguito dell’azione legale per risarcimenti, avviata con associazioni e sindacati dagli abitanti della cosiddetta Chemical Valley, contro Arkema che dal 1957, a Lione, in località Pierre-Bénite,  ha scaricato nel Rodano 3,5 tonnellate di PFAS all’anno, avvelenando una quindicina di Comuni.
 
Le analogie tra le  situazioni ecosanitarie e politiche di Lione e Alessandria sono impressionanti: stesse ir-responsabilità degli amministratori locali (sindaco in testa), assenza leggi nazionali di messa al bando dei Pfas, necessità di  ricorso alle class action.

Il “gemellaggio Pfas” tra Solvay e Arkema.

Gli attivisti di Extinction Rebellion e Youth for Climate invadono lo stabilimento Arkema
Le analogie tra le situazioni ecosanitarie e politiche di Lione e Alessandria sono impressionanti: stesse ir-responsabilità degli amministratori locali, assenza leggi nazionali di messa al bando dei Pfas, necessità di  ricorso alle class action. I tribunali hanno ordinato una perizia indipendente a seguito dell’azione legale per risarcimenti, avviata con associazioni e sindacati dagli abitanti della cosiddetta Chemical Valley, contro il colosso Arkema (in coabitazione  con la belga Solvay nel polo chimico di Spinetta Marengo)  che dal 1957, a Lione, in località Pierre-Bénite, ha scaricato nel Rodano 3,5 tonnellate di PFAS all’anno, avvelenando una quindicina di Comuni.
 
Lo scandalo è stato scoperto dopo un’inchiesta giornalistica appena un anno fa. Pesci e pollami avvelenati in una quindicina di Comuni e soprattutto l’indagine dei media locali che ha rivelato livelli allarmanti di contaminazione nel sangue dei residenti, tra cui bambini, e denunciato la mancata azione dei politici. I gruppi Arkema France e Daikin Chemical France sono entrati nell’occhio del ciclone degli ambientalisti.

Speciale Pfas 17. L’interesse PFAS delle lobby è anche bellico.

Ben oltre pentole antiaderenti e giacche goretex. Ben oltre settori sanitario, siderurgico e metallurgico, packaging, automobilistico, elettronico e energia. La serrata attività di lobbying portata avanti a livello globale da Solvay e dagli altri colossi del settore chimico si esprime in particolare nel settore militare. I PFAS infatti, trovano largo impiego in molti settori industriali strategici, tra i quali spicca quello militare e duale (dual use: civile e militare), che in tempi di guerra come questi ne garantiscono uno status di relativa “immunità”, anche quando è di dominio pubblico che  la produzione di queste sostanze cancerogene “forever chemicals” va a discapito della salute pubblica e dell’ambiente.

Gli usi critici dei PFAS sono identificati in quasi tutte le principali categorie di sistemi d’arma, compresi ma non limitati a velivoli ad ala fissa (addestratori, caccia, bombardieri, trasporti, rifornitori di carburante, supporto a terra, senza equipaggio e apparecchiature di supporto associate); velivoli ad ala rotante (da attacco, trasporto, trasporto pesante, ricerca e salvataggio e attrezzature di supporto associate); navi di superficie (combattimento, cacciatorpediniere, portaerei, cutter, mezzi da sbarco); sottomarini; missili (aria-aria, terra-aria, aria-terra, balistica); sistemi di siluri; sistemi radar; e carri armati, veicoli d’assalto e di trasporto per la fanteria.

Il Pentagono è il principale alleato delle lobby industriali“I PFAS sono fondamentali per raggiungere e centrare gli obiettivi del Dipartimento della Difesa e per molti settori nazionali […]. Collettivamente, azioni normative internazionali e statunitensi per gestire gli impatti ambientali dei PFAS, identificarli ed eliminarli dal mercato, e i successivi cambiamenti del mercato, pongono rischi per le operazioni del DoD Departement of Defence e la catena di fornitura della base industriale della difesa. Inoltre, gli impatti sulla catena di approvvigionamento globale dei PFAS presenteranno rischi per il programma di vendite militari estere del Dipartimento della Difesa e per l’Interoperabilità del North Atlantic Treaty Organization (NATO)”.

Dunque l’industria bellica americana afferma il ruolo di alcuni di questi composti PFAS insostituibile, o difficilmente sostituibile, per cui “occorrerà un decennio o più per trovare validi sostituti”. D’altronde gli USA  sono il Paese che spende più di ogni altro in armamenti (nel 2022 la spesa militare degli USA è stata di 877 miliardi di dollari, il 39% della spesa militare globale) e che vanta nel proprio territorio 51 tra le 100 maggiori industrie belliche del mondo (nel 2022 il fatturato delle 100 maggiori industrie belliche del mondo è stato di 597 miliardi di dollari). Di conseguenza, per fronteggiare le restrizioni normative sui PFAS, le lobby industriali degli States si sono riunite, nel 2022, sotto la sigla “Sustainable PFAS Action” (SPAN).

Anche in Europa l’attività di lobbying attorno ai fluoro-composti si fa sempre più martellante, specie dopo l’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo. Infatti, la European Chemical Industry Council (CEFIC, la lobby delle industrie chimiche europee), ha istituito “FluoroProducts &PFAS for Europe ” (FPPFE), riunendo alcuni dei maggiori produttori e consumatori di PFAS, tra cui figurano  AGC, ARKEMA, BASF, Bayer, Chemours, Daikin, DU Pont, ExxonMobil, GFL, Merck, Gore, e naturalmente Solvay Syensqo.  

Per avere una dimensione del business,  si consideri che   l’industria PFAS può contare su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e 21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.

Speciale Pfas 20. Pfas in tribunale a Lione.

La città metropolitana di Lione ha depositato un atto di citazione sommaria presso il tribunale di Lione contro i gruppi Arkema France e Daikin Chemical France, a capo dei poli industriali con sede nella “valle della chimica”, a sud della capitale della Gallia. Secondo Le Monde, infatti, la comunità ha depositato una richiesta per una perizia sull’inquinamento da Pfas delle acque circostanti. Questa procedura civile mira a stabilire la realtà, la durata, l’entità e la fonte di questi “eterni inquinanti”.

Gemellaggio Pfas tra Arkema e Solvay, tra Lione e Alessandria.

La fabbrica del colosso francese Arkema, che coabita con la belga Solvay nel polo chimico di Spinetta Marengo, è nell’occhio del ciclone a Lione perché dal 1957 in località Pierre-Bénite ha scaricato nel Rodano 3,5 tonnellate di PFAS all’anno.  Lo scandalo è stato scoperto dopo un’inchiesta giornalistica appena un anno fa. Pesci e pollami avvelenati in una quindicina di Comuni e soprattutto l’indagine dei media locali che ha rivelato livelli allarmanti di contaminazione nel sangue dei residenti, tra cui bambini, e denunciato la mancata azione dei politici. Gli abitanti della cosiddetta Chemical Valley hanno con associazioni e sindacati avviato contro Arkema azione legale per risarcimenti dei crimini ambientali, la prima in Francia.

Le analogie tra le due situazioni ecosanitarie e politiche sono impressionanti. Stesse responsabilità degli amministratori locali, uguale ricorso alle class action, assenza leggi nazionali di messa al bando dei Pfas.

A Lione il sindaco di Alessandria lo caccerebbero.

Il polo chimico Solvay Arkema.

Pfas nelle acque di Lione: vietato mangiare pesce e uova della zona. E Alessandria? A differenza di quello italiano, il governo francese ha annunciato un piano per la messa al bando dei Pfas. A livello locale ha ordinato ad Arkema di smettere di utilizzarli entro la fine del 2024 e di monitorare l’acqua potabile e i prodotti alimentari. L’area industriale incriminata è quella di Pierre-Bénite: nell’aria, nel suolo, nell’acqua del Rodano vengono scaricati i Pfas. Sul Rodano si “specchiano”, una di fronte all’altra Arkema e Solvay, che non a caso le due sono coinquiline nel polo chimico di Spinetta Marengo. Pensare male si fa peccato però spesso ci si azzecca. Arkema e Solvay scaricano assieme in Bormida.

A differenza che a valle di Spinetta, non si deve mangiare il pesce pescato a valle della Pierre-Bénite e non si devono mangiare le uova provenienti dai pollai privati di 17 comuni. A differenza di Alessandria, l’autorità metropolitana di Lione sta preparando uno studio sulla salute e sull’ambiente, con una campagna di analisi del sangue. “Tutti sapevano fin dal 2011: è un caso di banditismo ambientale e sanitario”.  36 querelanti individuali, oltre a 9 associazioni e sindacati, tra cui l’Ong ambientalista “Notre affaire à tous”, hanno portato il caso davanti al tribunale giudiziario di Lione nell’ambito di una procedura sommaria per reati ambientali che consente ai tribunali di “adottare qualsiasi misura utile, fino alla chiusura di un sito”. Il sindaco potrebbe entro l’estate unirsi nell’azione collettiva di bonifica del suolo (a differenza del sindaco di Alessandria).

Le produzioni di Pfas chiuse in Francia.

Arkema, che a Spinetta Marengo è compresa nel polo chimico con la Solvay, è stata costretta a smettere i Pfas nel suo stabilimento di Pierre-Bénite di Lione dal 2016. Benchè Il sito di Arkema, classificato come soglia superiore di Seveso, sia stato ispezionato 11 volte nel 2020 e 12 volte nel 2021, ancora oggi ha fatto suonare l’allarme dell’Università di Amsterdam per la forte presenza degli indistruttibili composti perfluorurati nell’aria, nell’acqua e nel suolo nella città di Pierre-Bénite e nei suoi dintorni.

Sindaco e sindacati verifichino la sicurezza dell’Arkema di Spinetta Marengo.

Mai tacciati di allarmismo (allarme infondato), facciamo lampeggiare il semaforo arancione a sindacati e sindaco invitandoli a verificare le condizioni di sicurezza degli impianti della multinazionale francese Arkema di Spinetta Marengo, nonché il piano di emergenza per catastrofe industriale, alla luce del drammatico incidente che negli Stati Uniti sta allarmando un milione di persone in un raggio di quaranta chilometri, la cui dinamica ricorda sinistramente quella di Fukushima ma anche quella di Spinetta nell’83 quando i “Perossidi”, ancora di proprietà Montedison, esplosero due volte con morto e feriti (pag. 156 del libro “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”).

Le stesse lavorazioni di perossidi organici , utilizzati nelle produzioni di plastiche e farmaceutiche, avvenivano infatti all’Arkema di Crosby, in Texas a nord est di Houston, investito dall’uragano Harvey. A seguito dell’alluvione, senza elettricità i generatori di riserva hanno perso potenza e i prodotti chimici non più conservati al freddo sono inevitabilmente esplosi diventando volatili ben oltre l’area che era stata prontamente evacuata per limitare le intossicazioni. Altri depositi, avverte l’azienda, potrebbero deflagrare: nel 2014 un test di rischio dimostrò che, in condizioni estreme, l’incidente potrebbe contaminare oltre un milione di persone, fino a Houston.

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