Luci e ombre nel processo Pfas di Vicenza.

Sta facendo il giro del mondo. Certo (vista a colori) la sentenza Pfas di Vicenza per l’avvelenamento delle acque è storica perchè è la prima che condanna per dolo, cioè con pene pesanti, ma occorre guardarla anche un po’ in bianco e nero. Innanzitutto, sul versante delle azioni risarcitorie a favore delle Vittime. 
Potenzialmente, potevano essere 350mila nel Veneto le persone fisiche presenti come parti civili nel processo, in quanto danneggiate in varia misura dai Pfas delle aziende ex Miteni. Invece, delle 338 “parti offese” indennizzate, sono ben 138 quelle istituzionali (enti, associazioni) ma appena 200 sono le persone fisiche: “Mamme no Pfas” e altri cittadini che a partire dal 2017 hanno scoperto che il loro sangue e quello dei loro figli erano avvelenati da concentrazioni preoccupanti di Pfas. Per ognuno dei 200, la Corte ha stabilito indiscriminatamente un risarcimento forfettario di 15mila euro.
Ebbene, premesso che la salute non è mai riparabile, però diciamolo apertamente, sono addirittura irrisorie 15mila euro per le Vittime, colpite dagli effetti cancerogeni e dalle conseguenze ormonali e metaboliche (processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile, cioè effetti sulla fertilità e sullo sviluppo fetale; aumento di vari tipi di cancro, tra cui leucemia, cancro al seno, tiroide e al pancreas; crescita significativa della mortalità di individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo; indebolimento del sistema immunitario e della risposta alle vaccinazioni soprattutto dei bambini; sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici; aumento della concentrazione di trigliceridi e colesterolo nel sangue, eccetera).
Stiamo parlando di queste patologie mortali. Non stiamo mica parlando di 15mila euro per danni per la perdita di valore degli immobili.  15mila euro per le Vittime: non è Giustizia! Ci si avvicinerà ad essa se le 200 persone, ma anche le migliaia non coinvolte nel processo penale concluso, chiederanno i danni per le patologie da ciascuna subìteMa questi danni devono chiederli per altra via che non sia quella penale, perché nel processo penale il reato contestato è di natura prettamente ambientale: l’avvelenamento delle acque e il disastro ambientale. Il penale è bengodi per gli avvocati, non per le Vittime.  Il penale non risarcisce i danni per la salute, nemmeno un briciolo di dignità.
Per risarcire i danni alla salute, la via obbligata è quella dei processi in sede civile: con azione legale individuale, oppure unendosi con azione legale collettiva (class action): tramite associazione di cittadini ovvero organizzazioni, riducendo così notevolmente i costi legali ai rari avvocati (e medici legali) disponibili a parcelle meno appetitose di quelle in sedi penali.
Dunque, chiunque ritenga di aver subito danni reali a causa dell’inquinamento da PFAS (cioè problemi di salute ma perfino perdita di valore degli immobili, ecc.) può intentare una causa civile contro i responsabili dell’inquinamento, a partire dalle aziende che hanno prodotto o utilizzato le sostanze PFAS. Il diritto vale innanzitutto per le popolazioni che hanno “ospitato” in passato l’industria produttiva, come la Miteni di Trissino, ovvero per quelle che tuttora la fabbrica ce l’hanno in casa, come la Solvay di Spinetta Marengo.
A maggior ragione, questo diritto ad un risarcimento non lesivo della dignità ce l’hanno i principali esposti ai veleni, le Vittime dirette: i lavoratori di queste fabbriche. Per paradosso, anzi assurdo, i lavoratori della Miteni non hanno ricevuto dalla sentenza di Vicenza nessun risarcimento. Neppure i 53 costituitisi parti civili l’hanno preso, nemmeno l’elemosina delle 15mila euro (per la motivazione, appunto, che la natura del reato contestato è… solo di natura ambientale, non professionale).
Dunque, l’unica sentenza -anch’essa storica- che risarcisce i lavoratori resta quella, di un altro tribunale di Vicenza, che in sede civile ha risarcito la morte per tumore di un operaio della Miteni: per la prima volta riconoscendo in Italia la malattia professionale da Pfas. Però, con questa sentenza non è stata condannata al risarcimento l’azienda ma un Ente terzo in causa: l’INAIL.
E’ clamoroso, anzi scandaloso, che in Alessandria i sindacati a loro volta non abbiano mai avviato causa di riconoscimento di malattie professionali contro il colosso chimico di Spinetta Marengo. In particolare, la polemica è stata anche trasmessa con lettera aperta al segretario generale della CGIL, Maurizio Landini.

Ci vorrebbe un secolo per ripulire la falda più inquinata d’Italia.

Non merita ulteriore commento l’indecenza delle attribuzioni di vittoria e delle autoassoluzioni di politici e amministratori… all’unanimità. Invece, la sentenza Pfas di Vicenza va a pieno ed esclusivo merito della popolazione che si è mobilitata.
 
Detto questo, la sentenza per quanto tardiva (e col cappio degli appelli) assume comunque valenza storica perché è la prima che condanna per dolo (pene fino a 17 di reclusione per i manager), cioè considera sul serio l’inquinamento come reato: cosciente e voluto. Storica benchè insufficiente per fare giustizia. La Giustizia non si realizza certo con i 50mila euro per organizzazioni ambientaliste o con i 25mila per i sindacati Cgil e Cisl. Mentre sarebbe fondamentale se assicurasse i massimi risarcimenti alle Vittime: le quali invece -in poche centinaia su centinaia di migliaia- sono state indennizzate con irrisorie 15mila euro.
 
L’altro aspetto nevralgico è la bonifica. “Chi inquina paga” è uno slogan ingannevole, soprattutto perchè ambiente e salute non sono riparabili. Eppoi, quando mai è successo che chi ha inquinato ha pagato la bonifica! Codesta è miliardaria. Chi la paga? chi e come e quando la realizza? Gli inquinatori? La Miteni che è fallita? Gli stranieri del lontano Giappone?  Il ministero dell’Ambiente, al quale è stato riconosciuto un indennizzo da 58 milioni? La Regione Veneto con i 6 milioni di euro di indennizzi? Con gli 844mila euro di indennizzo all’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav)? Con i 151mila la Provincia e con gli 80mila euro ciascuno per i trenta Comuni della zona rossa?
 
La Regione Veneto ha già speso 2,8 milioni in filtri e nuove reti acquedottistiche e 3,5 milioni per finanziare Arpav. Mai finiti i monitoraggi ambientali. A cui si aggiungono i costi elevati dei monitoraggi sanitari per 350mila residenti, del dosaggio dei Pfas nel sangue, delle patologie di preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita, cancro del rene e del testicolo e della tiroide, malattie cardiovascolari, colesterolo e funzionalità epatica eccetera.  A tacere i costi per le cure.
 
Secondo l’Arpav, ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia. Le altre 16 Regioni già individuate da CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sono Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Friuli, Basilicata, Liguria, Umbria, Abruzzo, Puglia, Sardegna, Molise e Calabria.
Per sapere di più sulla storica sentenza del processo di Vicenza:

La storica sentenza come punto di partenza.

Dopo le sentenze storiche di Vicenza, in penale e in civile, un sacco di persone e di enti si sono appiccicate medagliette di pionieri della lotta contro i Pfas. Perfino alcune istituzioni pubbliche, che semmai avrebbero meritato nei decenni anch’esse un banco degli imputati, si sono autoassolte addirittura in veste di primazia politica e sanitaria. I meriti della vittoria vanno, invece, esclusivamente attribuiti alle lotte popolari dopo il 2017, con le “Mamme No Pfas” in testa. In questo ambito merita il riconoscimento che viene assegnato al dottor Vincenzo Cordiano in questo servizio del Corriere della Sera, clicca qui.
 
Nell’intervista, Cordiano giustamente rivendica di essere stato il primo in Veneto a lanciare l’allarme Pfas per la Miteni di Trissino nel 2013. Possiamo confermarlo perché all’epoca chiese informazioni a Lino Balza, noto per essersi occupato già dagli anni ’80 con le denunce dell’inquinamento Pfas in Bormida e Po, tant’è che lo mise anche in contatto (segreto) con tecnici della Solvay di Spinetta Marengo.
 
Vincenzo Cordiano giustamente accusa come non fu ascoltato dai politici e nemmeno dai suoi colleghi medici veneti, anzi fu sottoposto dai superiori a provvedimento disciplinare “per avere danneggiato l’immagine dell’azienda sanitaria Usl5”. Ovviamente fu censurato sul lavoro e bloccato come carriera. Il fatto non stupì, essendo già balzato all’onore delle cronache Lino Balza per anni oggetto di massicce rappresaglie del colosso chimico di Spinetta, licenziamento compreso, tutte respinte con vittoria nei tribunali però mentre gli amministratori pubblici piemontesi trattenevano le code tra le gambe.
 
Nell’intervista, Cordiano principalmente mette in rilievo che la storica sentenza di dolo del Tribunale di Vicenza debba essere -in Veneto- considerata non un punto di arrivo bensì di partenza: perché dovranno essere assolutamente perseguite le indagini ambientali ed epidemiologiche mancanti, soprattutto per riconoscere i danni alle Vittime e dunque i legittimi risarcimenti. Analogamente, il monito dovrebbe valere per il Piemonte. 

In più, la partita dei Pfas va ben oltre la sentenza di Vicenza.

Ok limite zero Pfas in Italia quando in Usa. .
L’intera partita (clicca) si giocherà in campo internazionale, all’ombra militare di Trump. Senza eccedere in trionfalismi, come si sta facendo, nondimeno la storica “sentenza Miteni” del tribunale di Vicenza, al di là dell’esito giudiziario ancora provvisorio, ha acceso ulteriormente i riflettori sui Pfas: in particolare sulla necessaria fermata nell’unico stabilimento che li produce in Italia, Solvay a Spinetta Marengo, e sul relativo assai controverso processo (bis) di Alessandria.
 
Nell’immediato, indubbiamente la sentenza sta plasmando in Veneto nuove decisioni e nuovi indirizzi in materia ambientale. In questo scenario, a Schio l’assemblea dei soci di “Alto vicentino ambiente (Ava)”, che si occupa del ciclo integrato dei rifiuti del comprensorio, ha approvato una delibera in cui si stabilisce che, qualora si dovesse potenziare ed ampliare l’inceneritore di Ca’ Capretta, non sarà consentito trattare fanghi di depurazione, che   tipicamente contengono Pfas.
 
La gravità della minaccia degli impatti sanitari dei Pfas si è riflessa, quasi in contemporanea, sulla vicenda dell’inceneritore che Eni Rewind aveva in animo di realizzare a Fusina, alla periferia di Venezia, bloccato finalmente dopo anni di lotte dal Comitato tecnico della Regione Veneto proprio per la possibilità che i fanghi da bruciare potessero contenere i Pfas.
 
Insomma, in un contesto così tratteggiato, i Pfas «finiscono per essere il filo conduttore» che lega i destini di Trissino, di Vicenza, di Venezia, di Schio, di Padova, di Verona, di Legnago e di Loreo. Si tratta di Comuni nei quali o c’è un impianto di trattamento o è prevista la realizzazione di un inceneritore o il potenziamento di una linea di incenerimento, oppure è in previsione la realizzazione di un impianto ad hoc: vuoi di trattamento, vuoi di essiccazione. Si è aperto un nuovo approccio nella gestione dei rifiuti e dei fanghi contaminati da PFAS, in particolare rispetto ai rischi per la salute derivanti dalla combustione incompleta dei PFAS.
 
A maggior ragione dopo la sentenza di Vicenza, i Comitati e le Associazioni chiedono la messa al bando in Italia dei Pfas per Legge. Il che però implica la sorte dello stabilimento di Spinetta Marengo, ovvero degli interessi economici, militari e geopolitici in gioco, che sono tanto radicati e ramificati da rendere l’intera partita (clicca) un vero e proprio rebus non solo nazionale.  Clicca anche https://economiacircolare.com/pfas-industria-bellica/ i “forever chemicals indispensabili nel mercato della guerra”.
 
Lo scenario internazionale, infatti, si fa più torbido, e dentro vi nuota Solvay in Italia (vedi foto). In Usa, l’Epa, l’agenzia governativa per la protezione dell’ambiente, sembra fare marcia indietro nella lotta agli “inquinanti eterni”. Le misure portate avanti da Joe Biden erano state pianificate durante il primo mandato di Donald Trump, che anche in questo caso rinnega sé stesso. L’Epa ha prorogato l’entrata in vigore dei limiti per la presenza di queste sostanze chimiche nell’acqua potabile e ha cancellato oltre 15 milioni di dollari destinati alla ricerca. La soglia di 4 nanogrammi per litro, tecnicamente zero, stabilita dalla legge Usa passata sotto Biden, dovrà essere rispetta solo dal 2031.

Un altro dei tanti rinvii Pfas della Regione Piemonte.

Onde favorire la Solvay di Spinetta Marengo, unico stabilimento che produce “inquinanti eterni” in Italia, la Regione Piemonte, nel porre dei massimi di concentrazioni di Pfas nelle acque, aveva stabilito che limiti aggiuntivi per le sostanze pericolose sarebbero dovuti entrare in vigore quest’anno. Invece, la Regione ha rimandato di tre anni «per permettere agli impianti di depurazione di adeguarsi».  In questo periodo, il provvedimento, tramite un ennesimo  “Osservatorio”, consentirebbe agli enti locali, ai gestori e ai consorzi di riavviare il percorso di studio e approfondimento, anche per avviare soluzioni concrete e affrontare in modo sistemico il tema del trattamento dei rifiuti, in primis del percolato”.
 
Questa proroga regionale dell’entrata in vigore dei limiti Pfas si scontra con il pieno disaccordo degli ecologisti: “Si è partiti col limitare i Pfas nello smaltimento, ma per risolvere il problema bisogna impedirne la produzione e l’utilizzo. Il problema in Piemonte è gigantesco. Non si può non guardare l’elefante nella stanza: lo stabilimento di Spinetta Marengo”.

Fantascienza: i batteri che mangiano i Pfas.

Quand’anche lo stop di produzione e utilizzo dei Pfas fosse decretato oggi, i “forever chemicals” resterebbero indistruttibili negli ambienti e nei corpi umani (impiegano migliaia di anni per decomporsi) provocando gravi patologie come una ridotta fertilità, ritardi nello sviluppo infantile e rischi maggiori di tumori e malattie cardiovascolari eccetera. Per affrontare quel tragico futuro, gli scienziati stanno studiando batteri che siano in grado di fagocitare ed eliminare i Pfas. Ma questo ora è neppure immaginabile contro i Pfas insediatisi nel sangue e negli organi umani tramite inalazione e ingestione.
 
Un flebile spiraglio proviene da uno studio su animali di Ricercatori dell’Università di Cambridge che sono riusciti a identificare specie batteriche presenti naturalmente nel nostro intestino e in grado di assorbire diverse molecole di Pfas. Per testare questa loro abilità, il team le ha introdotte nell’intestino di alcuni topi per rendere il loro microbioma più simile al nostro. Dalle successive analisi è emerso che 9 ceppi di batteri hanno rapidamente accumulato i Pfas ingeriti dai roditori, che li hanno poi eliminati attraverso le feci. Come una sorta di spugna, infatti, i batteri li hanno assorbiti tra il 25% e il 74%, conservandoli al loro interno, in quello che in gergo tecnico viene definito come bioaccumulo.
 
Più batteri ingoi, più Pfas elimini?  Non è più salutare eliminare i Pfas a monte: in produzione e uso per padelle antiaderenti, cosmetici, indumenti impermeabili e imballaggi alimentari, eccetera?

Il killer silenzioso che va fermato perché non perdona.

La parola “amianto” ricorre continuamente quando si parla di Pfas: “saranno il nuovo disastro amianto”. Perché Pfas e Amianto colpiscono anche decine di anni dopo (latenza) il loro ingresso nell’organismo umano.
 
Infatti, di amianto si muore, eccome, a 40 anni dalla chiusura dell’Eternit di Casale Monferrato, dopo 80 anni di attività fino all’ultimo difesa dai sindacati e dai politici, e malgrado che addirittura nel 1908 le patologie causate dall’inalazione delle minuscole particelle di asbesto erano state classificate da un medico inglese, e malgrado che dal 1924 in Inghilterra l’asbestosi fu riconosciuta una malattia per cui i lavoratori avevano diritto a indennizzi.
 
Il mesotelioma è tuttora un tumore praticamente incurabile (la sottoscrizione di tutti i nostri libri -vedi su www.rete-ambientalista.it – è interamente devoluta alla Ricerca per la cura del mesotelioma). Una volta che la fibra killer esplode, l’agonia è breve ma straziante, e strazianti le reazioni di angoscia, paura e rabbia difficili da gestire.
 
Si muore innanzitutto in questa tragica città alessandrina. Infatti, se in Piemonte ogni anno sono 240 i nuovi casi di mesotelioma, 130 sono proprio in provincia di Alessandria. E’ un trend in ascesa: il picco era atteso nel 2020, ora è stato posticipato al 2025! Due le fasce d’età colpite: i più giovani, dai 55 ai 65 anni, per esposizione ambientale; i più anziani per esposizione professionale. Più femmine che maschidunque mogli e figlie degli operai, ma anche cittadine/i qualunque.
 
Perché l’amianto era dovunque, in tutti gli oggetti quotidiani, nei pavimenti di casa, nelle pareti delle banche, a coprire anche i tetti di scuole e ospedali, nelle tubature degli acquedotti. E’ dovunque. Ancora oggi non è stato rimosso. Ben poco nell’Italia delle “grandi opere”, dei governi che fanno dire al ministro dell’Ambiente che in Italia i siti contaminati da amianto sono 119 mila. Com’è possibile, se ne abbiamo quasi 100 mila solo in Piemonte? Neppure Casale Monferrato è diventata “amianto free”: esempio “turistico” la stazione ferroviaria o addirittura il Palafiere… di fronte alla sede Arpa.
 
Dunque, è verosimile sostenere che oggi in tutta Italia i siti contaminati da amianto sono 1 milione: in vari manufatti e nel fibrocemento, o eternit, sparsi in un milione di luoghi, di cui 50mila siti industriali e 42 aree SIN (Siti di interesse nazionale), ammontano a 40milioni di tonnellate. Sono ancora da bonificare (per difetto): 500 ospedali, 2.500 scuole frequentate da oltre 352mila studenti e 50miladocenti e addetti, 1.500 edifici pubblici e, su un totale di circa 500mila km di tubature installate prima del 1992, circa 300mila km di condutture della rete idrica. Con questo ritmo di bonifiche: serviranno altri 75 anni per liberare l’Italia dalla minaccia che incombe sulla popolazione.
La tragica verità è che in Italia ancora durante il decennio 2015-25 il mesotelioma e altre malattie correlate all’esposizione all’asbesto e all’amianto, hanno provocato circa 60mila morti, e nel 2023 sono avvenuti circa 7mila decessi, e sono stati diagnosticati 10mila casi di malati affetti dalle patologie causate dall’amianto, il 56% dei quali sono concentrati in Lombardia, Piemonte, Liguria e Lazio.
 
Anzi, il Dairi, il “Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione” alessandrino, l’eccellenza nazionale che continua a fare ricerca mentre ciascuna diagnosi è una condanna di morte, avverte: “Il mesotelioma non scomparirà: l’amianto è ovunque, ci saranno epidemie altrove attese soprattutto nei Paesi in via sviluppo”: l’amianto prospera in molti paesi dell’Africa e dell’America Latina. E Schmidheiny, il miliardario ex padrone dell’Eternit, tra condanne e prescrizioni dei processi, non ha mai investito nella ricerca per il mesotelioma. Mentre, in tutto il mondo attualmente sono esposti all’amianto 125 milioni di lavoratori, e ogni anno le malattie letali provocate dall’amianto mietono 107mila vite umane, e le patologie correlate all’esposizione all’asbesto e all’amianto causano 200mila decessi.
 
E si sta osservando che non è più solo il mesotelioma il tumore dell’amianto ma certamente sono dovuti all’esposizione anche il cancro alla laringe e all’ovaio. L’ultimo report IARC fa appunto riferimento all’asbesto come causa del tumore alla laringe. E presto, perché lo stanno studiando, lo diranno di quello allo stomaco. Quindi in quel caso parliamo di inalazione o ingestione?
In Italia l’Afeva, l’Associazione familiari e Vittime amianto, ha inoltrato la domanda al Fondo amianto per avere una prima tranche di risorse accantonate dalle transizioni offerte da Stephan Schmidheiny a diversi cittadini che prevedevano un risarcimento di 30 mila euro ad ognuno, ma contemporaneamente una quota di 20 mila euro per la ricerca. Ora quel fondo è più di due milioni di euro. Una prima tranche in acconto servirebbe a dare da subito gambe al progetto approvato dal Comitato Strategico regionale piemontese per il prosieguo nella seconda fase di ricerca con l’obiettivo di uniformare il sistema di cura nei vari ospedali di riferimento, ottimizzando sia le strutture sanitarie che i trattamenti da effettuare sui pazienti.

Processi Pfas. Ad Alessandria è campo minato.

Molti lamentano di aver ricevuto la mailinglist “Storica sentenza PFAS a Vicenza. Scandalo ad Alessandria” con un articolo (https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/27/scandalizza-i-comitati-e-le-vittime-il-processo-solvay-di-alessandria/ ) gravemente mutilato. Riproduciamo il paragrafo compromesso:
Scandalizza i Comitati e le Vittime il processo Solvay di Alessandria.
Pene fino a 17 anni -per dolo– nella storica sentenza “Miteni” di Vicenza. Sono le stesse condanne che nel 2010 la procura di Alessandria (procuratore capo Michele Di Lecce, sostituto Riccardo Ghio) aveva chiesto per il management per il reato di avvelenamento doloso delle acque. Solvay era stata graziata con una mite condanna per colpa.
Il nuovo capo della procura (Enrico Cieri), benchè Solvay a Spinetta Marengo avesse per un altro decennio reiterato il reato (anzi peggiorando il disastro ambientale e sanitario), e ignorando 11 miei esposti che chiedevano di intervenire per dolo, Cieri (con Eleonora Guerra sostituto procuratore) infine ha addirittura rinviato a giudizio Solvay solo nel 2024 e con un blando capo di imputazione per colpa: a carico di due direttori privi di potere decisionale, assolvendo cioè il management e privando degli equi risarcimenti miliardari le Vittime  e la Bonifica.
Dunque, il capo di imputazione del processo bis di Alessandria scandalizza, e ancora più il pasticciaccio del patteggiamento in corso con il Gup (Andrea Perella). Il tutto è raccontato, giorno per giorno, in “Ambiente Delitto Perfetto” (di Lino Balza e Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia) disponibile a chi ne fa richiesta.
Ripetiamolo chiaro e tondo: Alessandria non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie in sede civile.

Le Vittime non ottengono Giustizia nei tribunali penali.

Ripetiamolo chiaro e tondo: Alessandria non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie. Qui, più che altrove, le Vittime rischiano di diventare Vittime una seconda volta. Si consuma drammaticamente il “delitto perfetto”.
 
DELITTO PERFETTO PER SOLVAY
L’idea del “delitto perfetto” ha ossessionato l’umanità fin dai tempi antichi. Il “delitto perfetto” è quel crimine efferato commesso consapevolmente sapendo che, anche quando portato allo scoperto, resterà impunito. Appartengono a questa categoria proprio i crimini contro l’ambiente: più sono potenti gli autori, più mietono Vittime, e più sono assolti nei tribunali penali. Così che le Vittime diventano Vittime una seconda volta (talvolta terza ecc.). Il libro “Ambiente Delitto Perfetto” (di Lino Balza e Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia) raccoglie una vasta casistica di delitti italiani. Il terzo volume è interamente dedicato alle Vittime di Alessandria.
Qui, ogni famiglia del circondario del polo chimico di Spinetta Marengo, nei decenni, ha fatto per conto proprio il calcolo di quanti morti e ammalati in più rispetto alle famiglie di parenti e conoscenti più distanti nell’alessandrino. Queste indagini epidemiologiche erano “domestiche” confermate da quelle istituzionali che conteggiavano l’eccedenza enorme di morbilità e decessi. Tutte le volte i giornali fanno grossi titoli: “In Fraschetta si muore di più”. Bella scoperta, lì c’è la fabbrica. Sempre lì, cambiando nome: Montecatini, Montedison ecc. e da venti anni Solvay. Solvay è riuscita a consolidare il secolare disastro ambientale e sanitario, peggiorandolo anziché bonificarlo. Con la complicità di Comune, Provincia, Regione, governi, e malgrado Comitati e Associazioni.
La soluzione è una: è la chiusura delle produzioni inquinanti, per bloccare nel tempo ulteriori Vittime (come per l’amianto). Almeno il sindaco avrebbe avuto la potestà di interrompere la spirale (invece di querelare Lino Balza). Intanto le Vittime si sono moltiplicate: a nessuna di loro è possibile restituire vita e salute. La salute non ha prezzo. Però, accidenti, almeno vada risarcita (esclamò il PG di Cassazione). Non l’hanno fatto -nemmeno quello- i Sindacati a indennizzo dei Lavoratori. Né i Tribunali hanno provveduto per i Cittadini. Né intendono farlo con l’attuale Processo in sede penale.
 
VITTIME UNA SECONDA VOLTA
Facciamo un esempio concreto. Nel primo processo (2010) alla Solvay, la mia associazione aveva chiesto 400mila euro come risarcimento patrimoniale per il bambino (TLD) colpito da leucemia, attribuibile alle sostanze emesse dall’azienda. 978.450 euro per gli eredi del tumore dell’operaio AA E così via, documentando, per tutte le nove persone costituitesi Parti Civili. Per un totale di 2.848.450 euro. Ebbene, il Tribunale evitò di entrare nel merito delle patologie e del prevedibile contenzioso causa-effetto della Difesa, e (2015) sentenziò -per gentile “elargizione”- 10mila euro di risarcimento: indistintamente per tutte le Parti Civili. A quale titolo? A titolo di danno psicologico: da “metus” (timore, paura, preoccupazione, ansia, turbamento emotivo) derivante dal (presunto) comportamento penale di Solvay.
10mila euro per “l’ansia” della famiglia per la leucemia? Per il “turbamento emotivo” del tumore mortale? E così via per tutte le altre Vittime. Questa è la giustizia nei processi penali. Per altro, fu applaudita dagli avvocati -penalisti- dell’accusa, soddisfatti della propria parcella. Benchè inutilmente appellata dalla Procura. (Per inciso: la Bonifica è rimasta lettera morta anche dopo la sentenza del 2019 della Cassazione).
Insomma, il “metus”, paradossalmente, si aspetterebbe a tutti i 300mila abitanti della provincia di Alessandria! E così per i 350mila vicentini, piuttosto che l’irrisorio risarcimento di 15mila euro per quelle poche centinaia di Parti Civili fisiche della odierna sentenza, pur storica, di Vicenza.
 
IL METUS NON E’ GIUSTIZIA, E’ INGUISTIZIA. ABERRANTE PER LE VITTIME.
Ripetiamo chiaro e tondo la previsione: l’attuale Processo bis alla Solvay sarà “antistorico”, destinato com’è ad un risultato analogo al primo, anzi peggio. Anche perché, a strozzarlo, è stato inserito il cappio del “Patteggiamento” tra Solvay e Procura. Contro questo assolutorio patteggiamento, il fronte è rimasto compatto tra i Comitati e le Associazioni ambientaliste (ma con Medicina democratica e Pro Natura spaccate al proprio interno), mentre tra le Parti Civili istituzionali il Comune di Alessandria (per l’elemosina di 100mila euro) ha aperto la breccia a Regione Piemonte e Governo, ai quali il GUP ha concesso niente meno che quindici mesi per mercanteggiare.
E’ comunque pacifico che, con o senza patteggiamento “strozza dibattimento”, la futuribile sentenza non fermerà le produzioni inquinanti – non lo chiede il capo di imputazione- e la bonifica dunque resterà araba fenice. E’ altrettanto vero che la sentenza, con o senza rito abbreviato, ripeterà lo scandalo delle “vere Vittime”, tutte quali non saranno riconosciute i risarcimenti per le morti e le malattie: non lo chiede il capo di imputazione! Questa ingiustizia apparirà addirittura come una beffa perché gli avvocati sono costituiti quali Parti Civili persone fisiche (meno di 300) rinunciando a documentare patologie e cartelle cliniche: essendo queste “vittime fittizie” essi si limitano alle facili elemosine del “metus” (oltre alle parcelle). Diciamo: 10mila euro come nel primo processo. 300 alessandrini pescati tra 100mila, vieni in una lotteria! Totale: 300.000 mila euro di risarcimenti! Una inezia per chi, come Solvay, fa profitti miliardari. In questa aberrante logica del “metus”, semmai, 10mila euro a testa spetterebbero a tutta la popolazione alessandrina a rischio. Limitandoci ai 100mila cittadini del comune capoluogo, il totale dei risarcimenti per Solvay ammonterebbe a 1.000.000.000 di euro. 1 miliardo, rispetto a 300 mila euro, farebbe una bella differenza.
Ma perfino il fantastico miliardo sarebbe immane ingiustizia sul piano etico e morale. Perché le Vittime, morte e ammalate, sarebbero indistintamente “risarcite”: 10mila euro al bambino con la leucemia, nemmeno con un miserabile milione! Questo scempio dell’etica e della morale (sia tramite dibattimento ovvero patteggiamento) può lasciare indifferenti gli avvocati, che lavorano per la parcella, ei politici per le seggiole. Ma non la comunità alessandrina, i Comitati, le Associazioni, i Sindacati. Non la Giustizia con la maiuscola.
 
Si profila un altro delitto perfetto, insomma. Non si tratta di fare moralismo o vittimismo. Bisogna reagire. Bisogna agire. Venire? Ripetiamolo chiaro e tondo (giova): non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie. “Dura lex, sed lex” difficile da tradurre in italiano. 
 

Ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia.

E’ scontata l’indecenza di attribuzioni di vittoria e di autoassoluzioni di politici e amministratori… all’unanimità. Invece, la sentenza Pfas di Vicenza va ad assoluto ed esclusivo merito della popolazione che si è mobilitata. La sentenza per quanto tardiva assume comunque valenza storica perché è la prima che condanna per dolo: pene fino a 17 di reclusione per i manager. Ma è insufficiente per fare giustizia. La Giustizia non si realizza certo con i 50mila euro per organizzazioni ambientaliste o con i 25mila per i sindacati Cgil e Cisl. Mentre sarebbe fondamentale se assicurasse i massimi risarcimenti alle Vittime: le quali, invece, in poche centinaia su centinaia di migliaia, sono state indennizzate con irrisorie 15mila euro.
 
L’altro aspetto nevralgico è la bonifica. Chi la paga? chi e come e quando la realizza? Gli inquinatori?  Il ministero dell’Ambiente, al quale è stato riconosciuto un indennizzo da 58 milioni? La Regione Veneto con i sei milioni di euro di indennizzi? Con i circa 844mila euro di indennizzo all’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav)? Con in media gli 80mila euro ciascuno per i trenta comuni della zona rossa?
 
La Regione Veneto ha già speso 2,8 milioni in filtri e nuove reti acquedottistiche e 3,5 milioni per finanziare Arpav. Mai finiti i monitoraggi ambientali.  A cui si aggiungono i costi elevati dei monitoraggi sanitari per 350mila residenti, del dosaggio dei Pfas nel sangue, delle patologie di preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita, cancro del rene e del testicolo e della tiroide, malattie cardiovascolari, colesterolo e funzionalità epatica eccetera.  A tacere i costi per le cure.
 
Secondo l’Arpav ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia.  Le altre 16 Regioni già individuate da CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sono Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Friuli, Basilicata, Liguria, Umbria, Abruzzo, Puglia, Sardegna, Molise e Calabria.

Per il principio di precauzione, vietare tutti i Pfas senza eccezioni.

L’associazione ambientalista Pan Europe, che da tempo si batte per il divieto a tutti gli PFAS, ha invitato la Commissione Europea a non attendere gli oltre 18 mesi necessari alla valutazione ECHA, e a vietare immediatamente i 32 pesticidi con PFAS ancora legali in Europa, evitando così che essi continuino a fare danni per molto tempo.
 
A sua volta, la Germania, attraverso il Federal Office for Chemicals (BfC) del Federal Institute for Occupational Safety and Health (BAuA), la German Environment Agency (UBA) e il German Federal Institute for Risk Assessment (BfR) ha inoltrato all’agenzia europea preposta, la European Chemicals Agency o ECHA, un dossier a sostegno della sua richiesta di dichiarare l’acido trifluoroacetico o TFA agente tossico per la sicurezza e per il feto , categoria 1B, in quanto previsto dai regolamenti sulle sostanze chimiche.
 
Il TFA , una catena ultracorta, è uno dei metaboliti più comuni di diverse molecole della famiglia degli PFAS. Proviene da perdite industriali, ma anche dai pesticidi, e dai fitofarmaci, o rilasciato in atmosfera da alcuni gas refrigeranti, ormai è ritenuto “very persistent, very mobile”, perenne e ubiquitario, responsabile del 76% della contaminazione delle acque.
 

Percorso Pfas nelle scuole.

Carissimi,
 
Sul Sito, vi seguo sempre con ammirazione, e agli studenti del Veneto racconto sempre la lotta che sostenete in Piemonte. Vi invio i due report finali del lavoro condotto con i pfas nelle scuole. 
 
A itinerario educativo finito, ringraziamo la stampa indipendente che ci ha seguito in quest’anno scolastico, credendo nel nostro lavoro Pfas con le nuove generazioni.
 
Donata Albiero.

Batteri mangia Pfas. Senza illudersi.

Un gruppo di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ha individuato alcuni ceppi di batteri (MicrococcusRhodanobacterPseudoxanthomonas e Achromobacter) in grado di scomporre, degradare, “mangiare” i Pfas, molecole killer tossiche e cancerogene il cui legame carbonio-fluoro (C-F) è talmente robustissimo da essere praticamente indistruttibili nell’ambiente e negli anni (il tempo di dimezzamento del PFOA nel suolo è stimato in 92 anni). Per la loro persistenza e la capacità di bioaccumularsi negli organismi, sono stati denominati “forever chemicals”.
 
Le attuali tecnologie (filtri a carbone attivo, osmosi inversa, incenerimento, ossidazione chimica) raccolgono o separano i PFAS anziché distruggerli, generando residui contaminati e decisamente costosi da smaltire, e sono di per sé costose e ad alto consumo energetico. Si stima che la bonifica nell’Unione Europea potrebbe costare fino a 2.000 miliardi di euro in 20 anni (a patto di smettere da subito a produrle).
 
Ebbene, qualora dimostrata la loro innocuità sugli organismi umani, e passando dalla teoria sperimentale dei laboratori universitari alla realizzazione pratica, i batteri sarebbero, tutt’al più, una soluzione futuribile per quanto riguarda suoli e falde acquifere contaminate, se non utopica pensando che lo studio Greenpeace ha dimostrato che il 79% dei campioni di acqua potabile raccolti in Italia risultava contaminato da PFAS. A tacere che “Altroconsumo” ha realizzato un’indagine sulla quantità di acido trifluoroacetico (Tfa) presente nell’acqua che sgorga dalle fontanelle e dalle “casette dell’acqua” di 10 località italiane Piemonte, Toscana) nelle quali sono presenti anche le sorgenti di alcune acque minerali, precedentemente analizzate.
 
Comunque, la soluzione batteri appare del tutto impraticabile per quanto riguarda sangue e organi umani contaminati, a contrastare l’ecatombe di tumori, disfunzioni endocrine e ormonali, diabete colestrolo eccetera. L’eccidio può interrompersi solo con la messa al bando dei Pfas in tutti i settori industriali, dal packaging alimentare al tessile, dall’industria elettronica a quella aerospaziale, per finire con la farmaceutica. 

Rispondo come medico e politico.

 Egregio sig. Balza,
                                 ho letto con attenzione la lettera aperta (https://www.rete-ambientalista.it/2025/05/30/fermare-subito-le-produzioni-inquinanti-di-solvay/) che è stata pubblicata sul sito del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, coinvolgendomi, come medico e come Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, sul problema PFAS.
Ricopro il ruolo di Presidente dal luglio 2022, la mia Commissione ha
affrontato il problema dei PFAS numerose volte, tanto che più del 50%
delle convocazioni è stato dedicato ai composti perfluoroalchilci. In
audizione abbiamo ascoltato più volte: dirigenti del Comune, medici
dell’Ospedale di Alessandria, avvocati delle parti civili nel processo
in corso per presunto disastro ambientale colposo,  rappresentanti
dell’ASL di Alessandria, dell’Arpa di Alessandria e Torino,
dell’Università del Piemonte Orientale, delle associazioni
ambientaliste. Nella prima seduta abbiamo invitato l’ing. Claudio
Lombardi, già assessore all’ Ambiente del Comune, per cercare di dare
continuità al suo lavoro.

Grazie ai lavori della Commissione siamo riusciti a portare in
Consiglio comunale, approvandola all’unanimità, la proposta popolare di
deliberazione presentata da 300 cittadini della Fraschetta, poi
trasformata in un atto di indirizzo e in un ordine del giorno. Sempre in
Consiglio comunale ho presentato una mozione, approvata all’unanimità,
che sollecitava Camera e Senato a produrre una legge quadro sui PFAS.
Negli ultimi mesi in Commissione è passato anche l’approvazione
dell’istituzione dell’Osservatorio sulla qualità dell’ambiente.

Si poteva fare di più? Certamente sì, visto la gravità della
situazione ambientale-sanitaria, che mi preoccupa come medico e come
politico.  Siamo ben consapevoli che se il problema PFAS è il più
urgente da affrontare, ma l’inquinamento della zona data da oltre un
secolo. La presenza ubiquitaria di numerosi composti chimici come il
cromo esavalente, ma l’elenco sarebbe ben più lungo, non è mai stata
affrontata con un’opera di bonifica ambientale.

Riteniamo però che rispetto alla legislatura precedente si siano fatti
numerosi passi in avanti. Le Commissioni comunali non hanno un ruolo
esecutivo, ma di proposta, di controllo, di approfondimento dei
problemi.Stiamo lavorando ad alcune iniziative importanti e alla luce anche
della recente sentenza del Tribunale di Vicenza e delle prese di
posizione di numerosi Ordini dei medici, italiani ed europei, cercheremo
di arrivare a risultati concreti.

La saluto cordialmente, Adriano Di Saverio

Dalla “battaglia di Marengo” alla “battaglia di Spinetta Marengo”.

La battaglia napoleonica di Marengo del 14 giugno 1800 contro gli austriaci viene rievocata ad Alessandria ogni anno. La battaglia di Spinetta Marengo contro i belgi di Solvay viene commemorata ogni giorno negli ospedali e nei cimiteri, ma anche in piazza ad esempio il 14 giugno con il presidio organizzato dal gruppo “Vivere in Fraschetta”, il Comitato che anch’esso si oppone al tentativo di “strozzare” il processo bis per disastro ambientale (il primo sancito dalla Cassazione) tramite   un assolutorio patteggiamento con la Procura da consumarsi addirittura davanti al GUP Giudice Udienza Preliminare.
 
Tra le parti civili, rifiutano apertamente l’idea di patteggiamento Greenpeace, Legambiente, Movimento di lotta Maccacaro, CGIL, ISDE, Comitato Stop Solvay e gli altri Comitati, tra cui Vivere in Fraschetta. Stessa intenzione per il WWF. Ambigue Pro Natura e Medicina democratica. Mentre pesa come un macigno l’accordo (l’elemosina di 100mila euro di Solvay stigmatizzata da tutti) per l’uscita del Comune di Alessandria dal processo: infatti ha lo scopo di fare da apripista ai patteggiamenti con Regione Piemonte e Governo.
 
“Vivere in Fraschetta” raggruppa in particolare i pensionati iscritti alla CGIL nei sobborghi di Alessandria, tant’è che si è rivolta per un intervento al segretario Maurizio Landini, perorando che siano fermate le produzioni inquinanti della Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo. Il 14 giugno, con indosso la maglietta “No Pfas” ha appunto organizzato un presidio per denunciare ancora una volta che nel territorio si registrano i livelli più alti di contaminazione in Italia ad opera dell’unica fabbrica attiva nel Paese.  Non si può continuare a vivere in un territorio inquinato dove la popolazione neppure è sottoposta a monitoraggio di massa, pur in presenza di storiche indagini epidemiologiche che evidenziano  il costante superamento delle  soglie di malattie e mortalità.  

Stop Pfas, anche in ambito sanitario. Senza eccezioni.

“L’unico modo efficace per proteggere i cittadini della UE dall’esposizione ai PFAS è quello di interrompere l’uso dei PFAS. Anche in ambito sanitario”. Lo scrivono associazioni e professionisti del settore medico, tra cui medici, infermieri, operatori sanitari da tutta Europa, in una lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, al vicepresidente esecutivo per l’industria Stéphane Séjourné e alla commissaria all’ambiente Jessika Roswall.
 
Tra i firmatari, soggetti che si occupano della salute delle persone, bambini in particolare: dal Dipartimento di oftalmologia del Centro medico universitario di Leiden, Paesi Bassi, all’International Network on Children’s Health Environment & Safety (INCHES), dalla Società islandese dei medici per l’ambiente al Centre for Sustainable Hospitals danese all’Associazione dei medici di sanità pubblica olandesi; e poi oltre un centinaio di professionisti della salute: pediatri, medici di base, infermieri, anestesisti, endocrinologi…
La lettera giunge mentre l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) discute della proposta di restrizione per circa 10.000 composti della famiglia dei PFAS avanzata da 5 Paesi UE (Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia). Questo dossier “prevede deroghe fino a 13,5 anni per alcuni dispositivi medici”.
 
Deroghe che considerando che la restrizione non entrerà in vigore prima della fine di questo decennio, “le aziende avrebbero fino a 20 anni per eliminare gradualmente i PFAS da alcuni dispositivi medici”.
 
Ebbene, afferma il documento “noi rifiutiamo fermamente l’uso dell’assistenza sanitaria come giustificazione per l’inattività sulla crisi dell’inquinamento da PFAS”.
 
E a chi risponde (l’industria) che nel settore sanitario non esistono alternative, ricordano il lavoro di “colleghi che hanno già iniziato a eliminare gradualmente i PFAS nella loro pratica quotidiana”. Ricordano ad esempio che molte sale operatorie in Europa “hanno già smesso di usare i gas anestetici e sono passate all’anestesia endovenosa” eliminando così le emissioni di gas fluorurati dalle loro pratiche grazie ad una procedura “altrettanto sicura, con meno effetti collaterali”. Un altro esempio di pratiche virtuose PFAS-free è la nuova direttiva olandese che promuove la prescrizione “consapevole del clima”: che incoraggia i medici nella prescrizione di “inalatori a polvere secca invece di inalatori dosati a base di propellenti che si basano sui gas fluorurati”.
Non ci sarebbe dunque ragione, affermano i firmatari della lettera, per fare della filiera dei dispositivi medici un’eccezione al bando dei PFAS“Sosteniamo pienamente la proposta di restrizione universale, compresi i periodi di transizione concessi per i dispositivi medici essenziali. Questa restrizione è necessaria per guidare l’innovazione nel settore e per incentivare e accelerare lo sviluppo di alternative più sicure e sostenibili”

Allarme Pfas? Cambiamogli il nome.

L’ “Unione internazionale della chimica pura e applicata” (IUPAC, l’ente che raggruppa organizzazioni accademiche, singoli scienziati e 70 aziende del settore) vorrebbe cambiare la definizione dei Pfas per evitare blocchi alla produzione, ovvero crollo degli enormi profitti,  come POTREBBE avvenire per la Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo alla luce sinistra dei dati ambientali e sanitari, anzi, come DOVREBBE avvenire secondo le mobilitazioni delle organizzazioni, associazioni e comitati, ma anche di Stati europei, che chiedono di mettere al bando le cancerogene  sostanze perfluoroalchiliche che si accumulano indistruttibili nell’organismi, benchè nessuna sia indispensabile ma tutte sostituibili.
L’intento dello IUPAC, nel quale si intravede la “longa manus” della lobby chimica, è ridurre i parametri, relativi alle caratteristiche chimico-fisiche della famiglia dei Pfas, necessari per vietarli. Il trucco per mantenere il “far west normativo” consisterebbe nel cambiare un atomo per ottenere una molecola diversa, più “leggera”, ma che comunque manterrebbe le stesse devastanti peculiarità della precedente: bioaccumulo, persistenza, mobilità nell’ambiente. La mossa dello IUPAC rientra nella strategia di allungare i tempi di sopravvivenza delle produzioni incriminate, come sta facendo Solvay nel corso del processo penale di Alessandria strozzandolo tramite la manovra del patteggiamento assolutorio con Procura e Parti civili. Insomma, a mano a mano che un Pfas viene dichiarato ufficialmente cancerogeno (Pfoa) è pronto un sostituto (cC6O4, ADV): “a catena corta”, peggio del precedente.
Nello IUPAC è fortemente impegnato il coordinatore italiano, Pierangelo Metrangolo, professore ordinario di chimica al Politecnico di Milano, ma soprattutto, da ben 20 anni responsabile della partnership con Solvay Solexis sui nuovi materiali chimici, impegnandosi a brevettare diversi Pfas, cavillandoli in gruppi e sottogruppi, sofisticandoli  in base a proprietà fisico-chimiche e profili di tossicità, comunque tutti mai definiti “innocui” ma, al più, “meno pericolosi” “meno bioaccumulabili” “meno tossici” “meno cancerogeni”. “L’astuto” accorgimento sarebbe non vietarli ma ridurne le quantità ingerite e inalate. Sul concetto di Metrangolo la più entusiasta (che potremo ascoltare nel processo di Alessandria, se non passerà il rito alternativo) è Patrizia Maccone, lei quanto meno non sospettabile di conflitto di interessi essendo trasparente manager di Syensqo Solvay dopo essere stata responsabile del settore fluoropolimeri di Ausimont.
La manovra dello IUPAC si contrappone alle ricerche sviluppate negli ultimi trent’anni dalla letteratura scientifica internazionale, e infatti  contro di essa  si è schierato il gruppo di scienziati indipendenti pubblicando una lettera sulla rivista scientifica Environmental Science&Technology a difesa dell’attuale definizione di Pfas, adottata dalla Commissione europea: “Il tentativo dello IUPAC è dettato da ragioni politiche ed economiche, piuttosto che scientifiche”

Fibre anticolesterolo. Anche anti Pfas?

Non esistono interventi per ridurre i Pfas una volta entrati nell’organismo umano, dove è scientificamente assodato che gli “inquinanti eterni” sono associati al cancro, all’alterazione del sistema endocrino e all’aumento del colesterolo nel sangue.  E ampiamente dimostrato che l’esposizione ai Pfas può aumentare il colesterolo totale e quello Ldl (colesterolo cattivo). Nell’ambito di uno studio relativo al colesterolo, pubblicato su “Environmental Health”, un team di scienziati canadesi, mentre indagava sull’assunzione di fibre alimentari per ridurre il colesterolo nel sangue, ha notato che, in coloro che assumevano un integratore di fibre, alcuni Pfas specifici si sono ridotti drasticamente dopo l’intervento.
 
L’ipotesi, tutta da dimostrare in futuro, è che le fibre alimentari potrebbero ostacolare l’assorbimento o il riassorbimento dei Pfas formando un gel che riveste l’intestino e intrappola sostanze come gli acidi biliari, che hanno una struttura chimica simile a quella dei vari Pfas. Queste fibre gelificanti si trovano comunemente in alimenti come avena e orzo.

Solvay manovra da sempre il parlamento italiano.

Sono consapevoli che l’unica soglia sicura per la salute è “lo zero tecnico”. Ovvero il divieto assoluto di uso e produzione dei Pfas. Eppure, la potente lobby chimica della Solvay manovra da sempre il parlamento italiano. Piuttosto che la messa al bando di produzione e uso, la Commissione affari sociali del Senato (con il visto della Commissione bilancio) ha, infatti, dato il suo via libera al decreto legislativo che fissa a 20 nanogrammi per litro i livelli consentiti dei Pfas ((PFOA, PFOS, PFNA e PFHXS): una soglia superiore anche dieci volte rispetto ai limiti restrittivi adottati in altri paesi europei, come la Danimarca (2 nanogrammi per litro) o la Svezia (4 nanogrammi per litro). Nonchè ha fissato 10 microgrammi per litro per il TFA (acido trifluoroacetico).
 
Questo benchè l’Italia annoveri gli epicentri più gravi del disastro ambientale europeo legato ai PFAS, in particolare in Veneto (350mila persone esposte) e in Piemonte (che ospita a Spinetta Marengo l’unico stabilimento produttivo). Con tassi di cancro e mortalità superiori alla media nelle aree contaminate. Ma campioni positivi si trovano in ogni regione italiana. E, nonostante l’emergenza i controlli sui PFAS nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche.
 
In questo deficitario contesto, si calerà la direttiva europea 2020/2184 che impone dei limiti normativi a partire dall’inizio del 2026, limiti superati dalle più recenti evidenze scientifiche: quelle ad es. diffuse dall’EFSA, tant’è che l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato che i limiti in via di adozione sono inadeguati a proteggere la salute umana. Infatti, hanno già adottato valori più bassi numerose nazioni europee (Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione belga delle Fiandre),  e gli Stati Uniti … a rischio Trump.

Forever Pollution Project contro la campagna della lobby Pfas.

La situazione europea è talmente intollerabile che 94 organizzazioni europee, che rappresentano milioni di persone, hanno inviato una lettera a Ursula von der Leyen esortandola ad “agire con audacia e chiarezza” contro quello che è diventato il “veleno del secolo” e probabilmente “la più grave crisi di inquinamento che l’umanità abbia mai affrontato”, dunque per vietare i PFAS.
Di fronte c’è la lobby di Solvay & Co. Infatti, Il gruppo europeo di giornalisti Forever Pollution Project ha indagato sulla campagna orchestrata di lobbying e di disinformazione da parte dell’industria PFAS e dei suoi alleati, con l’obiettivo di annacquare la proposta dell’UE di vietare “per sempre le sostanze chimiche” e spostare l’onere dell’inquinamento ambientale sulle società. L’indagine transfrontaliera e interdisciplinare ha calcolato per la prima volta il costo sbalorditivo della “bonifica” della contaminazione da PFAS in Europa se le emissioni rimangono senza restrizioni: 2 trilioni di euro in un periodo di 20 anni, una fattura annuale di 100 miliardi di euro. Questo però solo se smetteremo immediatamente di produrli e diffonderli. Costo a carico pubblico o dell’inquinatore?
Quando si parla di “bonifica” bisogna usare le virgolette, in quanto una bonifica definitiva è impossibile perché i Pfas (molecole a “catena lunga” o, peggio, “corta” o “ultrasonica”) sono praticamente indistruttibili in qualsiasi matrice ambientale (aria acqua suolo pioggia ciminiere rifiuti discariche fogne depuratori falde fiumi agricoltura cibi e bevande), ineliminabili con filtri o incenerimenti, e in definitiva ineliminabili nel sangue umano (già presenti nel feto). Da qui la definizione di forever chemicals, sostanze chimiche eterne. Quello che si può fare è bloccarne la diffusione, mettere in sicurezza le popolazioni. 
Dunque, la soluzione ecologica e sanitaria ed economica è: immediatamente chiudere le fabbriche che li producono ed eliminare i Pfas dall’infinità di oggetti che usiamo nella vita quotidiana (dalle padelle antiaderenti al fino interdentale, passando per   imballaggi alimentari, tessuti antimacchia abbigliamento impermeabile, frigoriferi, condizionatori e perfino inalatori per l’asma eccetera), a tacere gli utilizzi nel settore militare.
Forever Pollution Project ha mappato la diffusione dei PFAS in Europa individuando 23mila siti contaminati, 20 impianti di produzione ancora attivi e più di 21mila siti ritenuti pericolosi. Alla diffusione di questi dati è seguito il tentativo di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia di inserire una “restrizione universale” nel regolamento europeo sulle sostanze chimiche (REACH, Registration evaluation authorisation and restriction of chemicals).
E immediatamente c’è stata la levata di scudi degli lobbisti finanziata dai miliardi del settore chimico (Fluoropolymers Plastics Group: Syensqo Solvay e Arkema in Europa) ma anche dei settori di batterie, tecnologie mediche e farmaceutiche, semiconduttori e altri ambiti manifatturieri, e soprattutto del settore degli armamenti.
Le tattiche usate sono sempre le stesse: studi orientati, finanziati e diffusi dall’industria del settore, lobbying diretto, creazione di reti di alleati a supporto delle aziende, impiego di consulenti e grandi studi legali privi di attendibilità scientifica. Insomma, assomiglia, in tutto e per tutto, alle campagne di boicottaggio nei confronti della legislazione sul tabacco, sui combustibili fossili o sul gas. La lobby insiste particolarmente sulle “deroghe” di esenzione dal bando totale: Solvay Syensqo sui fluoropolimeri di Spinetta Marengo.
Neppure l’appello delle 94 organizzazioni europee pare destinato a fare breccia nella chioma di Von der Leyen, troppo impegnata a fare la guerra alla Russia (anzi, i Pfas sono un business per gli armamenti). Non a caso alcuni paesi, come Francia, Danimarca e Paesi Bassi, stanno già introducendo divieti più rapidi per specifici prodotti contenenti PFAS. Per le acque potabili i limiti attuali delle leggi italiane sono di 0,50 microgrammi (µg/l) per il “Pfas totale” e di 0,10 microgrammi per la “somma di Pfas”, mentre in Danimarca il limite di legge in vigore è di 0,002 microgrammi per Pfoa, Pfos, Pfna, Pfhxs. ll Governo danese stanziando 54 milioni di euro è stato il primo in Europa ad approvare un Piano d’Azione Nazionale per prevenire, contenere e bonificare le contaminazioni da PFAS.  La Francia ha approvato una legge che proibisce l’uso di Pfas per cosmetici, prodotti a base di cera, impermeabilizzanti per abbigliamento, vestiti e prodotti tessili.
Per quanto riguarda in Italia l’attività di lobbing della Solvay sui decisori politici (parlamento, comune, regione ecc.) per influenzare il processo decisionale, stiamo ampiamente documentando.

Longa manus di Solvay sulla politica, dalla destra alla sedicente sinistra.

La potenza PFAS della lobby chimica capitanata da Solvay, in grado di condizionare pesantemente il Parlamento, è di evidenza plastica nel tergiversatore Ordine del giorno presentato alla Camera dai deputati. https://www.camera.it/leg19/995?sezione=documenti&tipoDoc=assemblea_allegato_odg&idlegislatura=19&anno=2025&mese=03&giorno=10.
Viene a malapena citato lo storico avvelenamento aria-acqua-suolo del territorio di Alessandria ad opera dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo: unico sito di produzione PFAS in Italia, della quale la chiusura -immediata- è invece la “conditio sine qua non” per avviare seriamente lo stop della tragedia ecosanitaria dei cancerogeni PFAS. Di conseguenza, non si chiede una legge nazionale di messa al bando –immediata- della produzione.
D’altronde tra i deputati firmatari primeggia Sergio Costa, ex poliziotto, generale dei carabinieri forestali, vicepresidente della Camera, il quale, da “ministro dell’ambiente nei governi Conte I e II”, annunciò più volte e solennemente addirittura di “fissare il limite zero Pfas”, salvo affossare il Disegno di legge di Mattia Crucioli, senatore del suo stesso partito, che metteva al bando in Italia la produzione Pfas (Solvay, Spinetta Marengo) e il suo uso industriale e nei consumi, nonché stabiliva le procedure di bonifica (https://www.edocr.com/v/kv5mnoyz/bajamatase/crucioli-ddl). Costa fu dai Comitati ridicolizzato e contestato in piazza  “Con la salute dei nostri figli non si scherzi”, eppure attualmente è coordinatore nazionale del comitato “Pianeta 2050”, piattaforma interna al M5S che si occupa di politiche ambientali, agricole, alimentari e protezione animali. (sic).

Su “Scienza Medicina Istituzioni Politica Società”.

  • di editore
  • 7 giugno 2025
  • Il Dossier “Pfas Basta!” racconta in prima persona la storia trentennale in Italia delle lotte popolari contro il disastro ambientale e sanitario dei famigerati Pfas. E’ una piccola enciclopedia che -in tre volumi e oltre 900 pagine- ripercorre le vicende della “Campagna per la messa al bando dei Pfas in… Leggi tutto »“Pfas. Basta!”

Pfas. Basta!

Il Dossier “Pfas. Basta!” racconta in prima persona la storia trentennale in Italia delle lotte popolari contro il disastro ambientale e sanitario dei famigerati Pfas. E’ una piccola enciclopedia che -in tre volumi e oltre 900 pagine- ripercorre le vicende della “Campagna per la messa al bando dei Pfas in Italia” promossa dal “Movimento di Lotta per la salute Maccacaro”: avviata con le nostre denunce degli anni ’90  degli scarichi Pfas in Bormida e Po, fino alla clamorosa entrata in scena nel 2024 di Greenpeace, passando: per i nostri  20 esposti con  reato di dolo  alle Procure,  per i processi di Alessandria (2010-2017-2019-2024) e Vicenza (2021) contro gli inquinatori Solvay e Miteni, nonché per il tentativo (frustrato) di Legge parlamentare. E’, insomma, una tormentata storia di mobilitazioni contro la Lobby chimica, e dunque anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comune, Provincia, Regione, Governo, Comunità Europea, Asl, Arpa, Sindacati, Magistratura e Giornali.
 
La lunga e inconclusa storia degli “inquinanti eterni” è tratta in breve da stralci dei libri “Ambiente Delitto Perfetto” (Barbara Tartaglione – Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia) e “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”, nonché del Sito “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la salute, l’ambiente, la pace e la nonviolenza” gestito dal “Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro”.
 
Anche il terzo volume (work in progress) di “Pfas.Basta!”, come i primi due, come tutti i nostri libri, è stampato a spese degli autori. Il ricavato è interamente devoluto alla Ricerca per la cura del mesotelioma. Tutti i libri sono disponibili a chi ne fa richiesta.

La Solvay: il patteggiamento s’ha da fare. La politica: obbedisco.

Alla prossima udienza del 26 giugno davanti al GUP, è giunto al pettine il nodo del procedimento penale ad Alessandria contro Solvay (Syensqo) per i reiterati reati del disastro sanitario e ambientale. Onde strozzarne condanne e risarcimenti miliardari, già scansati nel primo processo, la multinazionale belga ha proposto alla Procura il patteggiamento e, durante i sei mesi di proroga dibattimentale, ha avviato il mercanteggiamento con le Parti civili affinchè si ritirino.  Il Comune del capoluogo alessandrino, dietro compenso di 100mila euro, prontamente ha aperto la strada a Regione Piemonte e Governo per benevoli accordi, per ora tenuti sottobanco. Nevralgica la posizione della Regione.
 
I Comitati e le Associazioni ambientaliste (non tutte: ambigue Medicina democratica e WWF) hanno chiesto alla Regione, come già invano al Sindaco, di rifiutare ogni patteggiamento, bensì “di bloccare immediatamente la produzione e la dispersione dei Pfas a Spinetta”. “Non ci sono più alibi” dopo la sentenza storica del Tribunale di Vicenza sulla correlazione mortale causa-effetto dei Pfas. Il Comitato Stop Solvay prende, dopo il sindaco, direttamente nel mirino l’assessore regionale alla sanità Federico Riboldi che dalle ribalte cittadine è scomparso da mesi, nascondendosi appunto per patteggiare.
 
A complicare l’arrendevolezza dell’assessore sono subentrate due ulteriori complicazioni. Una è la soluzione scandalizzante dell’Autorità Rifiuti Piemonte di prendere atto che discariche e depuratori non sono in grado di smaltire i veleni, e dunque di sospendere i limiti di legge sugli scarichi industriali, di lasciarli liberi nei corpi idrici e di esportare l’inquinamento da Pfas verso Regioni con normative non restrittive. (Nel dettaglio, clicca qui l’articolo).
L’altra questione, propria di Alessandria, riguarda l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), risalente al 2010, rinnovata nel 2021. Dunque, Solvay era autorizzata a produrre in deroga dal 2020: a condizione che neppure una sola molecola di Pfas ricada in suolo, acqua e aria. Invece, ha prolungato l’attività produttiva oltre il termine decennale previsto malgrado che in questo arco temporale di 15 anni è stato ufficializzato il pesante inquinamento della falda acquifera e dell’atmosfera, peraltro noto agli abitanti della Fraschetta da decenni. La Regione ha scaricato la responsabilità delle drammatiche violazioni sulla Provincia, ovvero sulla Conferenza dei Servizi. 

Greenpeace: no patteggiamenti bensì fermare le produzioni Solvay.

Secondo l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), risalente al 2010, rinnovata nel 2021 dalla Conferenza dei Servizi provinciale, Solvay era autorizzata a produrre in deroga dal 2020: a condizione che neppure una sola molecola di Pfas ricadesse in suolo, acqua e aria. Invece, ha prolungato l’attività produttiva oltre il termine decennale previsto malgrado che in questo arco temporale di 15 anni è stato ufficialmente riconosciuto il pesante inquinamento della falda acquifera e dell’atmosfera, peraltro noto agli abitanti della Fraschetta da decenni.
 
“Il Comune di Alessandria aveva vietato di attingere acqua di falda in una vasta zona intorno al Polo Chimico. Le analisi hanno evidenziato che l’acqua risulta inquinata sia all’interno che all’esterno della fabbrica, fino a notevoli profondità. Indagini successive condotte da Ispra e Arpa hanno inoltre dimostrato che l’inquinamento si trasferisce ai prodotti ortofrutticoli, alle uova e al latte, aggravando ulteriormente la situazione ambientale e sanitaria”.
 
ARPA ha reso pubblici i risultati di una campagna accurata e continuativa di analisi dei PFAS che ricadono sui centri abitati alessandrini e che permeano l’aria circostante -le analisi hanno rilevato la presenza allarmante di queste sostanze anche ben oltre 10 km di distanza dal Polo Chimico- e sta proseguendo le indagini per determinare l’ulteriore estensione dell’inquinamento atmosferico. Le indagini confermano che il dilavamento delle sostanze nocive in Bormida e nelle falde acquifere continua, evidenziando l‘inefficacia della cosiddetta ‘barriera idraulica’, più volte assurdamente citata da Solvay.
 
Ebbene -denuncia Greenpeace con i Comitati– la Conferenza dei Servizi, conclusasi nel 2021 ha autorizzato Solvay ad ampliare la produzione del PFAS cC6O4, nonostante fosse già noto il grave sversamento nelle falde e nelle acque superficiali. “La Provincia, pur consapevole della situazione, date le evidenze riportare da Arpa, ha scelto di privilegiare gli interessi economici dell’azienda, concedendo l’ampliamento e comunicando alla cittadinanza una fantomatica tutela dei loro diritti fondamentali imponendo prescrizioni che si sono rivelate del tutto inefficaci nel contenere l’inquinamento. Ricordiamo che tra le 32 prescrizioni previste per il rilascio dell’Autorizzazione, la prima prevedeva che nessuna molecola di inquinante sarebbe più dovuta fuoriuscire dallo stabilimento: a quattro anni di distanza sappiamo con certezza che quella prescrizione non è mai stata ottemperata”.

Oggi Comune, Provincia e Regione dispongono di una significativa quantità di dati e studi scientifici che offrono l’opportunità di prendere una decisione storica e finalmente responsabile: pretendere che ogni emissione venga azzerata in ogni matrice, in acqua, nel suolo e in atmosfera; non permettere che questi impianti continuino a produrre PFAS .
 
Questa, in Conferenza dei Servizi” riaffermano Greenpeace e Comitati “è l’unica scelta davvero lungimirante per tutelare il territorio e la salute delle persone. Permettere la prosecuzione della produzione significherebbe continuare ad esporre deliberatamente la popolazione ai rischi di contaminazione da sostanze altamente persistenti. Bloccare l’attività di produzione di PFAS dell’impianto è un atto di responsabilità istituzionale, un segnale concreto che la salute pubblica non è più negoziabile”.
 
Ha negoziato il sindaco di Alessandria, piuttosto che esercitare il suo ruolo di massima autorità sanitaria locale (e mentre querela Lino Balza per diffamazione a mezzo stampa). Sta negoziando la Regione. “Mentre decine di cittadini apprendono di avere il sangue contaminato, le istituzioni continuano a dimostrare di non avere le giuste priorità, discutendo su cavilli tecnici del tutto irrealizzabili e contribuendo deliberatamente al danno verso la salute di tutta la cittadinanza”.

Il PD sui Pfas non le manda a dire… alla destra.

Il Partito Democratico provinciale, evitando di commentare il clamoroso patteggiamento con Solvay del proprio sindaco del capoluogo, Giorgio Abonante, nonché l’elusa ordinanza comunale di fermata delle produzioni inquinanti, è intervenuto sul procedimento in corso presso la “Conferenza dei Servizi” di rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale AIA della Solvay (Syensqo). 
 
In quanto questo strumento rientra nella sfera politica (centrodestra) della Provincia di Alessandria e della Regione Piemonte, il PD non lesina quegli ammonimenti che invece evita al Comune (di centrosinistra): “E’ fondamentale che tale provvedimento di rinnovo contenga prescrizioni stringenti che facciano sì che l’azienda produca senza inquinare. Infatti, i monitoraggi effettuati da Arpa indicano anche per il 2024 la presenza di PFAS sia nelle deposizioni e nell’aria ambiente, sia nelle acque sotterranee, anche all’esterno e a parecchi chilometri di distanza dallo stabilimento. Questo mentre i primi risultati della campagna di prelievo del sangue dagli abitanti intorno allo stabilimento certificano la presenza di PFAS nel sangue in molti dei residenti, sostanze in alcuni casi a rischio cancerogeno”. Vieppiù, “la Regione deve implementare le risorse tecniche e strumentali per i controlli e i monitoraggi”.
 
(Sempre a scarico delle responsabilità del sindaco)il PD è perentorio: “Risulta quindi necessario e urgente che in sede di AIA vengano fissati per cC6O4, ADV e gli altri PFAS limiti di emissione in atmosfera ai camini dell’azienda sia in termini di concentrazione, sia di flusso di massa per unità di tempo. E’ altrettanto fondamentale che nel riesame dell’AIA si prenda atto degli evidenti limiti dei sistemi di contenimento della contaminazione delle acque sotterranee (barriera idraulica) messi in opera da Syensqo e vi si ponga rimedio”. “Infine, vengano stabiliti dei limiti di riferimento per i suoli e le acque sotterranee relativamente ai Pfas che consentano l’avvio del procedimento di bonifica”.
 
Non manca nel comunicato del PD il fermo monito al Governo (di centrodestra): “Il governo affronti il tema di riduzione e di sostituzione dell’utilizzo dei PFAS senza indugiare in politiche attendiste o con risposte del tipo che ci deve pensare l’Europa”. Come non avevano fatto i precedenti governi di centrosinistra. 

Diktat sul piano di emergenza Solvay.

In quanto l’area chimica di Spinetta Marengo è classificata come ad alto rischio di incidente rilevante, il CTR Comitato Tecnico regionale (composto da Vigili del fuoco, Regione Piemonte, Arpa, ASL, Provincia e Comune di Alessandria), oltre a disporre entro sei mesi prescrizioni (14) e raccomandazioni (23) in merito al Piano di Emergenza Interno (PEI), ha inviato una sorta di incidente diktat alla Prefettura di Alessandria invitandola ad aggiornare il Piano di Emergenza Esterno (PEE), ad effettuare le esercitazioni secondo le modalità previste dal Ministro per la Protezione Civile, ad informare popolazione che vive a ridosso o nelle vicinanze del polo chimico in merito agli allarmi, alle evacuazioni e ai soccorsi sanitari.

Fermare subito le produzioni inquinanti di Solvay.

Lettera aperta a Adriano Di Saverio, presidente della Commissione Ambiente e Sicurezza del Comune di Alessandria.
 
Egregio dottor Adriano Di Saverio,
 
prima ancora di riconoscersi presidente della “Commissione Ambiente e Sicurezza” del Comune di Alessandria, sono convinto che Lei innanzitutto risponda ai “principi etici che guidano la professione medica sulla tutela della salute individuale e collettiva”. Dunque, “per agire con spirito di solidarietà mettendo a disposizione le proprie competenze in situazioni di emergenza e calamità che gravano sul territorio”. 
 
Il territorio è quello di Alessandria su cui incombe il disastro ambientale e sanitario. Della gravità del quale Lei ha piena conoscenza: sia per ben due procedimenti penali nei confronti di Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo; sia per la sentenza del tribunale di Vicenza sulla relazione causa-effetto nocività Pfas;  sia per le numerose indagini epidemiologiche morti-ammalati ASL di cui l’ultima del 2019; sia per tutti i catastrofici campionamenti aria-acqua-suolo documentati da ARPA; sia per gli astronomici referti ematici (Pfas) contenuti nelle cartelle cliniche dei lavoratori Solvay; sia per le catastrofiche analisi (Pfas) dell’Università di Liegi; sia per l’altrettanto (rallentato) monitoraggio Pfas pubblico; sia per il diktat del  Comitato Tecnico Regionale (Vigili del fuoco, Regione Piemonte, Arpa, ASL, Provincia e Comune di Alessandria) sul sistema di gestione della sicurezza interna ed esterna dello stabilimento Solvay; sia per il  delittuoso “colabrodo” dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) in deroga dal 2020, anzi 2010, denunciato da Greenpeace e Comitati e perfino dal partito suo e del sindaco; sia per l’esplicito confronto pubblico con noi associazioni e comitati; sia per la convincente voluminosità della documentazione scientifica internazionale peraltro a sua disposizione su il Sito e la mailing list del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”; sia per i grandi rilievi mediatici nazionali su Spinetta e Pfas (vedi Greenpeace); eccetera.
 
Per queste Sue ineludibili consapevolezze Lei, dati alla mano che non lasciano onesti spazi al dubbio se esista un collegamento tra inquinanti e malattie: al riguardo si legga la sentenza del tribunale di Vicenza che ha certificato il decesso collegato alla contaminazione da Pfas, Lei si è espresso nell’intervista su “Il Piccolo”: “La sensazione è che la gente della Fraschetta abbia a che fare con un problema ambientale serio”. Anzi, “esprime la propria preoccupazione perché i dati mostrano evidenze di alti livelli di Pfas nelle matrici ambientali”.
 
Ebbene, egr. Di Saverio, quale medico: libero per giuramento di Ippocrate da condizionamento politico, Lei non ritiene di fare un passo in avanti? Come ha fatto da tempo “ISDE Associazione Medici per l’Ambiente”, come ha fatto l’ “Ordine dei medici di Torino” (Omceo), che non hanno paralizzanti dubbi sulla cancerogenicità dei Pfas (“nuovo amianto: professor Philippe Grandjean dell’Università di Harvard) prodotti e diffusi aria-acqua-suolo da Solvay Spinetta Marengo: unica attività produttiva in Italia. Insomma, Lei non ritiene quale medico (ancor che autorevole politico, anche se non la massima autorità sanitaria locale) che la situazione di emergenza ambientale e sanitaria di Alessandria debba essere affrontata assolutamente con provvedimento urgente che, oggi e non domani, e senza scaricabarili, alla luce del sacrosanto principio di precauzione elimini all’origine gli estremi pericoli che gravano sulla salute dei cittadini, cioè fermi le fonti di avvelenamento che stanno uccidendo e ammalando? Ogni minuto che passa è paralisi imperdonabile. Non resti a guardare.
 
Lino Balza – Movimento di lotta per la salute Maccacaro.

La CGIL contribuisca alla class action contro Solvay.

Lettera aperta a Maurizio Landini
 
Perché intervenga sulla CGIL Camera del Lavoro provinciale, affinché apra finalmente cause civili contro Solvay di Spinetta Marengo per risarcire i lavoratori morti e ammalati. Anzi, affinchè la CGIL dia disponibilità a contribuire ad aprire cause civili collettive, class action, per tutta la popolazione: lavoratori e cittadini.
 
La CGIL faccia ammenda del proprio immobilismo, la convinca infine la sentenza del Tribunale di Vicenza che ha condannato l’Inail a pagare il risarcimento per malattia professionale ai familiari di un ex operaio morto per un tumore a contatto con le sostanze Pfas della fallita azienda Miteni. “Si ritiene raggiunta la prova, con elevato grado di probabilità, del nesso di causalità fra l’ambiente in cui il ricorrente ha prestato la propria attività lavorativa la patologia in questione”, si legge nella sentenza.
Continua cliccando qui.

Basta chiudere gli occhi sui Pfas.

Lettera aperta degli scienziati all’Unione Europea.
Chiudere un occhio e rimandare l’azione ai prossimi decenni o introdurre nuovi modi per aggirare: non fa che aggravare il problema e creare una sfida sociale, ambientale ed economica molto più grande per il futuro.
Oltre 450 scienziati e scienziate di tutta Europa, coordinati dall’European Environmental Bureau (EEB), hanno chiesto all’Unione Europea di aggiornare rapidamente gli standard di inquinamento dell’acqua per affrontare adeguatamente le sempre più numerose fonti di contaminazione chimica, PFAS inclusi.
A sostegno dell’iniziativa hanno partecipato anche una quarantina di ricercatrici e ricercatori italiani, tra cui Roberto Romizi, presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia, Serge Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, Vanessa De Santis, rappresentante di European Fresh and Young Researchers (EFYR), forum dei giovani ricercatori e ricercatrici nel campo delle acque dolci in UE, e Alfieri Pollice, ricercatore capo dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque del CNR di Bari.
Clicca qui la lettera aperta.

In Italia due delle più gravi contaminazioni da PFAS a livello europeo.

Due gli epicentri. La Miteni di Trissino in Veneto e la Solvay di Spinetta Marengo in Piemonte. La Miteni  è chiusa dal 2018. Solvay è l’unica produttrice di Pfas in Italia. Clicca qui le storie.
Il  Dossier “Pfas. Basta!” è disponibile on line a chi ne fa richiesta. In tre volumi Lino Balza racconta la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi 2025 ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comune, Provincia, Regione, governo, Asl, Arpa, sindacati, magistratura e giornali, che ha ora raggiunto il culmine con la querela del sindaco di Alessandria a Balza… per diffamazione a mezzo stampa.

Finalmente i controlli Pfas ai vigili del fuoco.

Quando già lo studio dell’Università dell’Arizona Health Science ha scoperto che i pompieri -esposti ai Pfas dalle schiume antincendio e dall’abbigliamento composto da tessuto ignifugo-  sono i lavoratori con il più elevato tasso di PFAS nel sanguefinalmente la Direzione nazionale dei Vigili del fuoco suona l’allarme alle Direzioni regionali e interregionali dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, invitandoli a segnalare qualsiasi caso di contaminazione da Pfas, così da poter sottoporre il personale a screening e verificare problemi all’organismo. “Successivamente si procederà ad un monitoraggio ambientale (acqua ed aria) all’interno delle sedi di servizio (locali interni ed aree all’aperto) dei Comandi interessati, per poi procedere, qualora risultasse la presenza di inquinamento ambientale da Pfas, all’effettuazione di uno studio sul personale potenzialmente esposto con le stesse modalità (esame del sangue e del capello del personale vigile del fuoco su base volontaria)”.  Il documento è stato inoltrato anche alle organizzazioni sindacali territoriali e all’Osservatorio bilaterale per le politiche sulla sicurezza sul lavoro e sanitarie del Corpo dei Vigili del fuoco.
 
In Italia i vigili del fuoco sono stati particolarmente colpiti da una vicenda che ha registrato, tra il 2022 e il 2023, il decesso per tumore al cervello di quattro loro uomini, che avevano lavorato ad Arezzo. Si è attivata anche l’Associazione Medici per l’Ambiente (Isde) che ha presentato denunce in 35 Procure della Repubblica italiana, chiedendo di aprire inchieste sui danni causati dai Pfas alla salute umana.

Il TFA della numerosa famiglia dei PFAS. Nel rubinetto, nel vino e nell’acqua minerale. 

Sei minerali bocciate, di cui cinque a causa della presenza di TFA (acido trifluoroacetico), una sostanza che fa parte della famiglia degli PFAS. Sono questi i principali risultati dell’ultimo test di Altroconsumo su 21 marche di acqua minerale naturale, provenienti da diverse zone dell’Italia (più la Evian, che sgorga dalle Alpi francesi). Uno dei parametri di valutazione dell’inchiesta, infatti, era proprio la presenza dei Pfas.
 
Il TFA è un inquinante persistente derivato dalle attività industriali, che si accumula nell’ambiente e resiste ai processi di degradazione naturale, che in precedenza, è già stato ritrovato nell’acqua minerale, di rubinetto e nel vino. I prodotti bocciati da Altroconsumo ne contengono quantità eccessive, superiori ai parametri usati per gli altri PFAS nell’acqua potabile (non esiste ancora un limite specifico per l’acido trifluoroacetico). Gli effetti sulla salute del TFA non sono ancora del tutto noti, ma si sospettano ripercussioni sulla salute del fegato e sulla fertilità, e attualmente l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) sta rivalutando la sicurezza di questa sostanza.
 
I marchi bocciati a causa del TFA sono: Panna, Esselunga Ulmeta, Levissima, Maniva, Saguaro Lidl.
 
 
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Il Trentino affronta l’allarme Pfas.

Il progetto ITINERE (esposizione nazionale italiana ai contaminanti ambientali e valori di riferimento), è uno studio di biomonitoraggio umano realizzato nell’ambito del programma europeo PARC. Per l’Italia il progetto è coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS) e in Trentino viene realizzato dal Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria.
 
Saranno coinvolte cento persone, che riceveranno a casa una lettera di invito per partecipare al progetto. I cento partecipanti trentini, tra i 18 ei 39 anni, devono essere residenti da almeno tre anni nei territori oggetto di indagine. Chi aderirà allo studio potrà sottoporsi al prelievo di campioni biologici (sangue e urina) effettuato dall’Apss per misurare la presenza di specifiche sostanze chimiche di interesse attuale quali PFAS, bisfenoli, DINCH, ftalati, metalli, pesticidi.

Fare scienza di comunità in materia di ambiente, lavoro, salute.

In Alessandria, la sede della “Casa di Quartiere e Comunità San Benedetto al Porto”, fondata da don Gallo, ha ospitato la folta e partecipata assemblea pubblica del 23 maggio 2025. Con la quarta sessione dei “Workshop tematici”, si è infatti conclusa la serie di incontri pubblici organizzati da Public Engagement del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, nell’ambito del progetto europeo Fare scienza di comunità in materia di ambiente, lavoro, salute”.
 
I temi della salute pubblica e della tutela ambientale e del lavoro sono affrontati ad Alessandria, dove,   in forma comparativamente più critica rispetto al resto della regione, e di tutta Italia, la diffusione di informazioni allarmanti in particolare sulla contaminazione da PFAS sta alimentando crescente preoccupazione pubblica, fratture sociali e mobilitazioni, fino a controversie in sede giudiziaria e penale.
 
L’intervento conclusivo della giornata è andato a Lino Balza, a nome del Movimento di Lotta per la salute Maccacaro: clicca qui; o, ancor più “vivace”, sopportatevi il video dell’intervento: clicca qui.  In particolare, sono trattati temi controversi quali il ruolo dei sindacati nel disastro ambientale e sanitario della Solvay di Spinetta Marengo. Presenti, in un animato dibattito, Franco Armosino, segretario provinciale della Camera del Lavoro di Alessandria e Giampaolo Zanni segretario CGIL del Veneto. Scintille su difesa dell’occupazione e tutela della salute.

Il sindaco di Alessandria querela il giornalista no Pfas.

Conferenza stampa di Lino Balza, Movimento di lotta per la salute Maccacaro.
Sono stato appena avvertito che presso la Procura di Alessandria verrà instaurato un procedimento penale art. 595 comma 3 e 4 CP diffamazione a mezzo stampa, per querela del sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante.
Clicca qui il video.
Clicca qui la trascrizione.

Landini, abbiamo Pfas nell’aria, nell’acqua, nel sangue. Intervieni.

Non si preoccupa del taglio dell’erba nei cimiteri il Gruppo “Vivere in Fraschetta” che, invece, ha consegnato al segretario della Cgil Maurizio Landini (ad Alessandria per promuovere i referendum dell’8 e 9 giugno) una accorata  lettera sul tema dei Pfas, sollecitandogli un intervento diretto.
 
 “Ti scriviamo con grande preoccupazione, perché quello che sta succedendo qui da noi ci riguarda tutti, cittadini e lavoratori. La nostra salute è ormai compromessa da un inquinamento che a Spinetta Marengo dura da decenni, e in particolare dai pfas, sostanze tossiche e per nulla biodegradabili. Conosci bene la vicenda della Miteni, ora in fallimento ma ancora inquinante, e della Solvay, che continua a produrre i PFAS più pericolosi al mondo. Ricordiamo i casi negli Stati Uniti, in Belgio, e in altri Paesi, dove queste sostanze hanno provocato malattie e disastri ambientali, ricordiamo l’Eternit”.
 
“Qui da noi la situazione è simile: abbiamo pfas nell’aria, nel sangue, e nei corpi di tanti di noi, anche di quei lavoratori di ditte esterne che non vengono monitorati. Le istituzioni, i sindacati, la politica, sanno tutto, eppure non fanno niente. È come parlare al muro di gomma dell’indifferenza. La nostra paura è grande: temiamo per noi, per i nostri figli, per il futuro del nostro ambiente e della nostra salute”.
 
“Vivere in Fraschetta” è il Comitato che raggruppa i pensionati CGIL dei sobborghi della Fraschetta, tra cui Spinetta Marengo, e ha preso una posizione molto dura nei confronti del sindaco che ha patteggiato con Solvay 100mila euro per il taglio dell’erba dei cimiteri.

Pfas alla foce del Po: mozioni per monitoraggi e per divieti di produzione.

Messo in moto da Alessandria tramite la nostra campagna nazionale contro i Pfas, nel 2010 a Ferrara il compagno Valentino Tavolazzi, della locale Sezione nonché consigliere comunale di “Progetto per Ferrara”, si attivò a informare i mass media (tra cui L’Espresso) e soprattutto per allarmare il controllo (fino ad allora assente) di Ato, Asl ed Hera sulla alta concentrazione di Pfoa nelle acque del Po, dalle acque superficiali del quale Ferrara attingeva il 70% dell’acqua da potabilizzare.
Oggi, i consiglieri comunali di “Civica Anselmo” e “La Comune di Ferrara” presentano una mozione per “richiedere al Gestore Hera Spa di sviluppare ulteriormente il monitoraggio e la quantificazione della somma di Pfas nell’acqua destinata al consumo umano nel Comune di Ferrara”, nonché per “procedere, in collaborazione con il gestore, all’analisi puntuale a campione dell’acqua potabile, o dell’acqua in bottiglia, erogata nelle scuole pubbliche presenti nel Comune”, infine per “rendere pubbliche integralmente le risultanze provenienti da Hera Spa – ed eventualmente da indagini effettuate in autonomia dal Comune stesso – circa la quantificazione della presenza delle singole sostanze Pfas, e comunque della qualità dell’acqua dell’acquedotto pubblico, e di farne capillare pubblicità, attraverso tutti i canali istituzionali, al fine di aumentare la consapevolezza della popolazione circa la qualità dell’acqua consumata”.
La mozione, inoltre, invita  a “richiedere alla Regione Emilia Romagna di implementare il piano di monitoraggio capillare su tutto il territorio regionale al fine di accertare il reale stato di contaminazione delle acque destinate al consumo umano”, e a “richiedere alla Regione Emilia Romagna di farsi promotrice della sperimentazione che ha per oggetto il monitoraggio diffuso dell’acido trifluoroacetico Tfa, al fine di conoscerne la diffusione e l’accumulo nel tempo, verificando al contempo l’efficacia dei sistemi di trattamento delle acque rispetto a questi inquinanti”.
La mozione conclude con la richiesta di “sollecitare Governo e Parlamento, anche tramite l’invio di questa mozione, all’introduzione del divieto di produzione in Italia di questi inquinanti ‘eterni’“.

I Pfas nelle birre. Controllare le acque in origine.

Secondo uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology che ha analizzato i PFAS in 94 campioni di birra, molte birre popolari, sia quelle prodotte da piccoli birrifici che quelle prodotte da grandi aziende nazionali e internazionali, contengono sostanze chimiche PFAS collegate a tumori, danni agli organi e al sistema immunitario e altri problemi di salute.
 
Le birre – che in media sono costituite per circa il 90% da acqua – prodotte in contee con elevati livelli di PFAS nell’acqua potabile presentavano la contaminazione maggiore. Lo studio ha evidenziato che circa il 18% dei birrifici statunitensi si trova in codici postali in cui è nota la presenza di PFAS nell’acqua potabile. Nelle birre della Carolina del Nord, in particolare quelle situate nei pressi del bacino del fiume Cape Fear, sono state rilevate più concentrazioni di PFAS rispetto alle birre del Michigan o della California. L’area del bacino del fiume Cape Fear è notoriamente contaminata da una varietà di PFAS, molti dei quali sono riconducibili al sito della Chemours Fayetteville Works.
 
Insomma, norma per ogni consumatore, prima di bere una birra si dovrebbe controllare se l’acqua potabile della zona di produzione contiene Pfas.

Manco più due uova occhio di bue.

Era un gran mangiare: due uova biancorosse al tegamino con un bel bicchiere di vino (rosso).  Ora non più,  non puoi più fidarti né delle uova né del vino.
Si ripete l’allarme francese, quando i PFAS furono trovati nelle uova dei pollai domestici del Sud Oise, nell’Alta Francia, e le autorità sanitarie avvertirono di non consumarle.
 
Anche in Olanda scatta il divieto di mangiare le uova dei pollai domestici, allevati sul retro delle case, negli orti, nei pascoli per animali e nelle fattorie biologiche.  Perché contengono alti livelli di Pfas: compromettono il sistema immunitario, la riproduzione e lo sviluppo dei bambini non ancora nati, così come anche alterano i livelli di colesterolo nel sangue, danneggiano il fegato, causano tumori ai reni e ai testicoli ecc. L’Istituto nazionale per la salute e l’ambiente (RIVM) olandese ha calcolato la quantità di PFAS che le persone possono ingerire attraverso le uova prodotte in casa in 60 località del Paese. Questi valori sono stati confrontati con la soglia di sicurezza per la salute relativa ai PFAS. In 31 di queste località, le persone superano già tale limite consumando meno di un uovo alla settimana.
 
Come finiscono i Pfas nelle uova? Evidentemente dal cibo delle galline: mangimi, residui organici e perfino lombrichi. Trovati Pfas nelle uova biologiche: la colpa è dei mangimi dati alle galline, secondo il nuovo studio danese.
Eppoi, c’è l’allarme vino. I vini europei, tra cui anche tre prodotti italiani (Chianti120 microgrammi per chilo, Prosecco 69 microgrammi e Kalterersee 43 microgrammi) contengono livelli di Pfas superiori fino a cento volte rispetto a quelli che sono stati trovati in acque minerali, specie nell’agricoltura intensiva e convenzionale. La denuncia viene da Bruxelles dove i membri dell’European Pesticide Action Network Europe (PAN Europe) hanno presentato uno studio inedito e allarmante sulla contaminazione alimentare da acido trifluoroacetico (Tfa) nel vino, condotto in dieci paesi del continente, su una quarantina di vini. Il Tfa fa parte della famigerata famiglia delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) utilizzate nell’industria e, sotto forma di fitosanitari, anche in agricoltura.
 
Chi pensa, come il ministro Francesco Lollobrigida, che il vino non faccia più male dell’acqua deve ricredersi. E dato che siamo il primo paese produttore di vino a livello globale, dovremmo considerarla un’emergenza nazionale.

Fare scienza di comunità in materia di ambiente, lavoro, salute.

I temi della salute pubblica e della tutela ambientale e del lavoro sono affrontati  ad Alessandria nell’ambito  del progetto “Fare scienza di comunità in materia di ambiente, lavoro, salute”. L’iniziativa rientra nell’ambito delle attività di Public Engagement del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.
 
Nell’alessandrino, in forma comparativamente più critica rispetto al resto della regione, e di tutta Italia, la diffusione di informazioni allarmanti sulla contaminazione da PFAS sta alimentando crescente preoccupazione pubblica, fratture sociali e mobilitazioni, fino a controversie in sede giudiziaria e penale. 
 
Fare scienza di comunità si configura come un progetto di ricerca partecipata e community-based, che promuove il dialogo tra cittadini, esperti, istituzioni e società civile, competenze, saperi e punti di vista differenti. Lo scopo è favorire la massima partecipazione per costruire e diffondere informazioni comprensibili, elaborare prospettive condivise, implementare capacità di prevenzione, riduzione e gestione dei rischi, favorire l’accesso a meccanismi di giustizia in materia di ambiente e salute.
 
Dal 1° aprile al 23 maggio 2025, i quattro incontri pubblici si svolgono in Alessandria nelle sedi degli enti partner del progetto, tra cui il Movimento di lotta per la salute Maccacaro. 
 
Ogni incontro viene condotto nella forma di una discussione orizzontale tra ospiti e pubblico, con la facilitazione di alcuni membri del gruppo di lavoro del Dipartimento di Culture, Politica e Società: Rosalba Altopiedi, Eleonora Bechis, Vittorio Martone e Andrea Filippo Ravenda.
 
Per informazioni: 0116704106  laboratoriocontaminazioni@gmail.com 
 
Gli incontri sono a ingresso libero.

Pfas e vigili del fuoco.

Esposto di un gruppo di associazioni presentato alla Procura di Arezzo e ad altre 35 Procure italiane in merito alla contaminazione da Pfas nei presidi antincendio dei Vigili del fuoco, in particolare durante gli interventi e le esercitazioni con schiumogeni.
L’iniziativa nasce dalla mobilitazione dei familiari di tre vigili del fuoco del comando di Arezzo, deceduti per glioblastoma in meno di due anni.
Tra le procure in indirizzo non c’è quella di Alessandria, evidentemente ad essa le Associazioni non fanno affidamento. Altro particolare sconcertante è che tra le Associazioni compare anche Medicina democratica che ad Alessandria non si è opposto al patteggiamento che metterebbe in salvo dal processo proprio la Solvay: produttrice monopolista in Italia dei Pfas.

La lobby chimica fa fuoco e fiamme per i Pfas.

In Francia, la legge vieta la produzione, l’importazione, l’esportazione e l’immissione sul mercato di cosmetici, scarpe da sci, tessuti per l’abbigliamento, scarpe e impermeabilizzanti con PFAS a partire dal 2026, e di tutti i tessuti che li contengono dal 2030. Per gli utensili da cucina, nessun divieto per le padelle antiaderenti con rivestimento di PTFE (Teflon). Il testo iniziale della legge, infatti, conteneva anche questo divieto, ma la pressione dell’industria lo ha fatto saltare. In particolare, ha avuto un ruolo importante il Groupe SEB, proprietario di marchi di padelle come Tefal e Lagostina, che fa parte della lobby di Solvay. In compenso, la legge francese, a differenza di quella italiana, istituisce la ricerca sistematica nell’acqua potabile di 20 PFAS classificati come preoccupanti a livello europeo. Clicca qui.

PFAS: contaminati il 30% di prodotti di uso quotidiano.

Un’indagine realizzata da Altroconsumo, in collaborazione con otto associazioni di consumatori a livello internazionale, ha svelato che il 30% di 229 prodotti di uso comune, tra cui tessuti per la cucina, articoli per l’arredamentoprodotti per la cura personale e materiali a contatto con gli alimenti, contiene PFAS, i cancerogeni “inquinanti eterni” che si accumulano nell’ambiente e nel nostro organismo, principalmente attraverso alimenti, acqua e polveri; mentre il 21% presenta PFAS che non rispettano la normativa UE attuale o quella che entrerà in vigore nel 2026. Clicca qui.
L’ultima inchiesta condotta da nove associazioni dei consumatori europee, tra cui la francese Que Choisir, più una canadese, ha cercato la presenza di Pfas in 230 prodotti di uso quotidiano, presenti in ogni stanza della nostra casa, dai cuscini alle tovaglie, dalle stoviglie ai cerotti, dal filo interdentale ai presevativi. Clicca qui tutto l’elenco dei prodotti fuorilegge: il Salotto/Sala da pranzo è la stanza con la maggiore concentrazione, poi la cucina, infine il bagno e la camera da letto.
Alcuni Stati, come la Danimarca, hanno già imposto il divieto sull’uso dei PFAS, mentre in Francia è stata approvata una normativa per eliminarli. In Italia non esiste ancora una legge nazionale specifica in merito. Solvay è il produttore monopolista italiano.  Al contrario, cinque Paesi membri dell’UE hanno chiesto all’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche di restringere l’utilizzo dei PFAS in prodotti di consumo e industriali. Clicca qui.

Batteri fantascientifici che degradano i Pfas.

Per eliminare i PFAS dalle acque oggi si ricorre a metodi fisici quali la filtrazione per osmosi e quella con carbonio. Entrambi presentano insormontabili limiti, e sono relativamente costosi. Infatti, finora non esistono alternative. Gli PFAS sono caratterizzati da molecole con atomi di carbonio legati ad atomi di fluoro attraverso un legame talmente forte che, mentre assicura ai materiali plastici che li contengono una durata teoricamente illimitata, rende impossibile la loro degradazione chimica. Infatti, sono chiamati contaminanti perenni. E per questo, per eliminarli, di solito si ricorre alla filtrazione, e non alle reazioni chimiche: occorrerebbe troppa energia, e non si avrebbe un esito ottimale. Tutto ciò, tuttavia, in un futuro troppo lontano potrebbe cambiare, grazie a un approccio completamente diverso, che sta dando risultati incoraggianti: quello della cosiddetta biomimetica, cioè l’imitazione di quanto accade in natura. Clicca qui.

Il 14% degli ingredienti presenti nei pesticidi è costituito da PFAS.

I pesticidi rappresentano un autentico flagello per la biodiversità. E molti di essi contengono composti fluorurati classificabili come perfluoroalchili (PFAS), la cui presenza, negli ultimi anni, è andata in aumento. Sono due studi appena pubblicati a puntare il dito contro decine si prodotti di cui l’agricoltura moderna non riesce a fare a meno, ma che probabilmente dovrebbero essere utilizzati con molto più parsimonia, e adottando strategie finalizzate a mitigarne gli effetti tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana.