Il colonialismo delle multinazionali Pfas.

Le multinazionali predispongono sempre un piano B quando l’A non andasse in porto. La Solvay resiste a Spinetta Marengo contando su questo secondo processo penale ormai indirizzato, come il primo, salvo colpi di scena, alla propria innocuità e a perpetuare per altri dieci anni i profitti e il disastro sanitario e ambientale. Il piano B, altrimenti, è spostare definitivamente dall’Europa alla Cina le produzioni.
 
Il copione è lo stesso usato dalla Miteni di Trissino. La fabbrica veneta, per conto di Solvay, ha causato uno dei più gravi disastri ambientali verificatisi in Italia, a causa dei Pfas. Dopo il preordinato fallimento del 2018, i macchinari della Miteni, con i brevetti e il know-how per continuare la produzione, a tempo di record erano stati ceduti dal curatore fallimentare all’azienda chimica indiana Laxmi Organic Industries… l’unica che aveva presentato un’offerta. Tutto programmato. Tant’è che nel consiglio di amministrazione della società asiatica nello stato di Maharashira fa parte Antonio Nardone, l’ultimo amministratore delegato di Miteni, cui – in primo grado a Vicenza – sono stati inflitti sei anni e quattro mesi di reclusione. E Nardone si era recato in India già prima che l’azienda fallisse.
 
In India, vive gente ignara di tutto, che non conosce il pericolo mortale rappresentato dai Pfas. I reflui dello stabilimento finiscono in un depuratore che è oggetto di malfunzionamento per la ricorrente mancanza di energia elettrica, e quindi nei fiumi, già inquinati per altre lavorazioni, al punto che è scomparsa la fonte economica della pesca per la popolazione locale. Si tratta quindi di una realtà ideale in cui le multinazionali possono installare gli impianti proprio mentre l’Unione Europea ha avviato procedure per ridurre ed eliminare l’impiego dei Pfas, e ad Alessandria si chiede la chiusura delle produzioni

Veneto, oltre 90 comuni chiedono lo stop alla produzione di Pfas.

Chi l’ha già approvata, chi ha messo in calendario la proposta. Sono già oltre 90 i Comuni che hanno accolto la mozione che le associazioni stanno spingendo: chiedere al Parlamento una legge per bloccare la produzione di Pfas. La produzione di Pfas avviene ad opera della Solvay a Spinetta Marengo (Alessandria), dove l’inquinamento aria-acqua-suolo sta tuttora provocando un disastro anche sanitario. Non intervenendo il sindaco, autorità preposta, a fermare con ordinanza le produzioni inquinanti (non solo di Pfas), preso atto del fallimento ultradecennale dei procedimenti penali, i comitati e le associazioni di Alessandria intraprendono in sede civile azione inibitoria per bloccare d’urgenza il comportamento illecito che lede l’ambiente e la salute pubblica (Legge 262-2005).
 
Con il caso Miteni, proprio tra le province di Vicenza, Verona e Padova i Pfas hanno generato la più grande contaminazione dell’acqua d’Europa, finendo nel sangue di 300mila residenti.
 
Il problema Pfas è mondiale,  tanto che in questi giorni in Brasile, alla Cop 30 (il vertice tra gli Stati firmatari della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici), si parla anche di acqua e inquinamento. Per l’Italia c’è la vicentina Michela Piccoli, delle Mamme No Pfas, a sensibilizzare.

Soprattutto al medico: seconda lettera aperta. Sollecito.

Adriano Di Saverio ha partecipato alla riunione con i Comitati e le Associazioni promossa dalla europarlamentare verde Cristina Guarda.
Nell’occasione, ci chiediamo: si sarà reso conto che la sua replica https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/21/rispondo-come-medico-e-politico/, non aveva convinto nessuno  come medico e come Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, quando non aveva risposto puntualmente alle questioni poste nella lettera aperta (https://www.rete-ambientalista.it/2025/05/30/fermare-subito-le-produzioni-inquinanti-di-solvay/)?
 
Eppure, nell’occasione, Di Saverio ha letto i 12 punti del Piano di azioni che si sono proposti Comitati e Associazioni per scongiurare con urgenza la tragedia dei Pfas in Alessandria (clicca qui). E che riassumiamo.
 
1) Addivenire in sede civile ad azione risarcitoria collettiva, patrimoniale e non, per le Vittime fisiche di Solvay: cittadini e lavoratori. 2) Intraprendere in sede civile azione inibitoria collettiva in materia ambientale per bloccare il disastro ecosanitario del sito industriale Solvay (su questa azione è programmato un esame congiunto il 5 novembre con lo Studio legale internazionale). 3) Verificare il riesame della formulazione, come dolo, dei processi penali di Alessandria e Vicenza alla luce delle notizie di reato sopraggiunte. 4) Verificare la richiesta alla Procura di Alessandria di riformulazione dei capi di accusa da colposi a dolosi. 5) Ribadire la mancanza da parte del Comune di Alessandria di ordinanza di fermata delle produzioni della Solvay inquinanti dentro e fuori il comune, come imporrebbe il principio di precauzione, esercitando le prerogative di legge che derivano al sindaco nella sua veste di massima Autorità Sanitaria Locale. 6) In forza anche delle Mozioni Popolari presentate, basate sui principi della prevenzione e della precauzione / “limiti zero”, ribadire al Parlamento la richiesta della messa al bando dei Pfas in Italia, della loro produzione e utilizzo, ovvero della fermata delle produzioni inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo quale pregiudiziale “conditio sine qua non” del fattuale divieto di Legge. 7) Respingere alla Solvay ogni proposta alle parti civili fisiche di Patteggiamento, che strozzerebbe il processo locale, nonché la stessa Legge nazionale basata sui principi della prevenzione e della precauzione / limiti zero. 8) Diffidare le Istituzioni locali e nazionali a intraprendere contrattazioni di patteggiamento con Solvay, che strozzerebbero il processo di Alessandria e la legge nazionale. 9) Invitare in particolare il sindaco di Alessandria a recedere dal patteggiamento intrapreso. 10) Ingiungere al Governo di destinare immediatamente risorse tecniche, economiche ed umane adeguate al monitoraggio ambientale e sanitario dei Pfas in Italia, a maggior ragione in Veneto e Piemonte dove già urge provvedere a idonee misure cautelari e interventi di bonifica. 11) Incalzare la Regione Piemonte, nel cui territorio i ritardi dei monitoraggi ambientali e sanitari sono ancora più evidenti, di non rallentare ulteriormente l’opaco monitoraggio del sangue della popolazione alessandrina. Va da sé, escludendo ogni patteggiamento con Solvay. 12) Costruire un tavolo di lavoro quale strumento a livello europeo di elaborazione di pratiche, di studio di mezzi legali per chiedere la messa al bando UE dei PFAS.
 
Quando li ha letti questi 12 punti (27 settembre scorso) si è espresso meno che genericamente. Poi che li ha riletti, ora, egregio Di Saverio, medico e Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, non le corre l’obbligo di essere più esplicito nei confronti della popolazione? In particolare, sulla “spada di Damocle” dei Patteggiamenti? In particolare, come Presidente, non ritiene che il Comune di Alessandria debba recedere dal patteggiamento intrapreso? A maggior ragione come medico, avendo in mano, tra i tanti, questi terribili dati epidemiologici (clicca qui), che da soli, per il sacrosanto principio di precauzione, indurrebbero un sindaco ad esercitare le prerogative di legge in veste di massima Autorità Sanitaria Locale, ad emettere ordinanza di fermata delle produzioni della Solvay inquinanti? Nota bene: quegli studi sono stati richiesti dalla Procura della Repubblica di Alessandria nell’ambito dell’inchiesta per inquinamento ambientale.

PFAS in Valle di Susa: a che punto siamo.

I PFAS cancerogeni nella Valle di Susa presentano preoccupanti   livelli di contaminazione. Le indagini hanno riscontrato la presenza di PFOA nell’acqua potabile, coinvolgendo circa 70 comuni della Città metropolitana, inclusi centri nella valle. La contaminazione è legata anche ad altri contaminanti specifici come il cC6O4 (unico produttore Solvay a Spinetta Marengo).
Clicca qui “La bottega del Barbieri”.

Regione Veneto sotto accusa. CGIL: anche i lavoratori a rischio. La procura indaga. Contaminati i fiumi.

A due mesi dalle condanne in Corte d’Assise a Vicenza per il disastro provocato dalla società Miteni, si scopre da un documento della giunta regionale del Veneto, rimasto fino ad oggi segreto, che 3 milioni di metri cubi di terre e rocce di scavo della superstrada Pedemontana Veneta, contenenti Pfas da qualche decina a 2.000 nanogrammi per litro secondo i risultati delle analisi Arpav, sono stati disseminati in una ventina di siti di discariche del Veneto, in particolare nella provincia di Vicenza, in alcuni casi anche in siti vicini a fonti idriche.
Non è la sola polemica contro la Regione. Aveva già suscitato polemiche la decisione della Giunta Zaia di realizzare uno studio epidemiologico sulla presenza del Pfas nella popolazione. Una ricerca sollecitata da dieci anni che arriva a un mese e mezzo dalle elezioni.
Clicca qui e qui: la Procura di Vicenza indaga sulla realizzazione della Pedemontana. Cgil e Fillea regionali: “Agire da subito per mettere in sicurezza aree, popolazione e lavoratori coinvolti” clicca qui.
 
Inoltre, i recenti report indicano contaminazioni  nei pesci di fiumi e canali, con un record negativo nella Fossa Molesana a Tribano e pessime situazioni anche nel Tergola a Vigonza e a Codevigo: clicca qui.

Pfas un circolo vizioso.

Presso l’Istituto Tecnico “Zenale e Butinone” di Treviglio (BG) da ormai nove anni è stato realizzato un Progetto extracurricolare di Educazione Ambientale, con l’obiettivo di promuovere iniziative legate ai temi ambientali anche al fine di sensibilizzare le varie componenti scolastiche al rispetto dell’Ambiente. Clicca qui.

L’autodifesa dai Pfas: ridurre l’esposizione domestica.

Non si può certo aspettare che la lobby politica-industriale metta al bando la produzione e l’uso dei tossici e cancerogeni pfas. Meglio, d’urgenza, provvedere personalmente ad eliminarli, come possibile, nelle nostre case. Ad esempio:
 
Padelle antiaderenti. Anche le versioni “senza PFOA” non sono del tutto sicure: indicano solo l’assenza di una specifica categoria di Pfas, ma non di tutte. La soluzione migliore è sostituirle con pentole in acciaio inox, ghisa o ceramica naturale, che non rilasciano sostanze tossiche.
 
Imballaggi alimentari. Sostituire carta oleata, contenitori per il take away, cartoni della pizza e pellicole, con barattoli in vetro o acciaio e contenitori riutilizzabili.
 
Frutta e verdura. Preferire quella fresca, biologica, lavarla accuratamente per limitare l’assunzione indiretta di pesticidi contenenti pfas.
 
Cosmetici. Scegliere solo quelli naturali o linee certificate “PFAS free”.
 
Carta igienica.   Orientarsi su marchi ecologici.
 
Vestiti. Soprattutto per bambini: evitare gli antimacchia e impermeabili, scegliere tessuti naturali come cotone e lana, e marchi che dichiarano esplicitamente l’assenza di Pfas.
 
Detergenti per la casa.  Optare per prodotti ecologici o, ancora meglio, affidarsi a soluzioni naturali come acqua calda, aceto o bicarbonato.

I pfas lasciano la firma di chi li ha prodotti.

Nell’ambito di un progetto pilota avviato con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Eduardo Di Marcantonio, dottorando del Dipartimento di scienze della terra de La Sapienza di Roma, sotto la supervisione dei professori Luigi Dallai e Massimo Marchesi, hanno messo a punto una nuova metodologia di analisiin grado di individuare le “fonti” dei Pfas e chi li ha prodotti. Dunque di individuare i responsabili. Il risultato è stato pubblicato sulla rivista Science of the total environment”.
 
I ricercatori hanno sviluppato il primo metodo per l’analisi isotopica dei principali Pfas. Questo tipo di analisi permette, quindi, in condizioni di inquinamento diffuso, di differenziare le diverse sorgenti e la dispersione nell’ambiente che permette di ottenere “firme isotopiche” specifiche per i Pfas provenienti da diversi produttori industriali. Questa caratterizzazione rende possibile distinguere le origini dei composti, persino in scenari di inquinamento diffuso, cioè con sorgenti molteplici e non identificabili puntualmente. Lo studio ha anche mostrato significative differenze isotopiche tra Pfas di origine diversa, aprendo la strada all’identificazione delle fonti di questi contaminanti ambientali.

Tutta la storia di Spinetta Marengo raccontata da Lino Balza nei video realizzati da Mattia Servettini.

Mi è stato chiesto: tu che ad Alessandria sei considerato lo storico per eccellenza, raccontaci come, ripercorrendo gli oltre cento anni di presenza del sito produttivo del sobborgo di Spinetta Marengo, come siamo arrivati all’attuale drammatica situazione ambientale e sanitaria della Solvay.
 
In effetti qualche titolo lo posseggo, avendo vissuto 35 anni lì dentro, avendo scritto un’infinità di articoli giornalistici e un bel po’ di libri (e continuando a scrivere), cioè avendo partecipato anche da protagonista per oltre mezzo secolo a quegli e questi avvenimenti. In effetti, raccontare è utile: far conoscere la storia di una fabbrica che ha dato pane, lacrime e sangue alla popolazione della città; è utile se si vogliono raccontare e affrontare nei giorni nostri le lotte della popolazione alessandrina che non è più disposta a pagare lacrime e sangue.
 
La storia locale di uno dei più importanti stabilimenti chimici italiani e del suo martoriato territorio, vedrete, se seguirete le periodiche puntate sul Sito, vedrete  che è interessante: perchè è anche la storia dell’Italia, dell’economia prima e dopo la guerra, del capitalismo imperante, dei movimenti operai prima del loro apice e dopo, dei movimenti ecopacifisti tra vittorie e sconfitte; delle responsabilità -nome per nome- dei politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati; tra mobilitazioni, connivenze, complicità, corruzioni, ignavie.  Insomma, risulterà una miscela storica molto polemica.
 
Al termine delle n PUNTATE avremo il docufilm dell’ultracentenaria storia. Finora, 21 puntate:
 
 
https://youtu.be/qCkJLop36JI?si=tN2LYQnSPaYj_ujA e i sindacati cosa facevano?
15 https://youtu.be/KBmaylOzm7c?si=uX8oBTLWgDE8D56r la grande piattaforma rivendicativa
16 https://youtu.be/FFmCFI2-w-A?si=8OmH_9Ce9mjgNCDQ  il progetto dei cinque consigli di fabbrica
17 https://youtu.be/7wbE8ZvKfLg  ricerca chimica
19 https://youtu.be/EAokMoM9hQo “Unità operaia” vs consiglio di fabbrica
20 https://youtu.be/RxrkVdoh3tg  partito comunista vs sindacati
21 https://youtu.be/vqvtuTQZ9_U?si=2g9qqB89WsvQJYnZ  fine della democrazia diretta
 
Un omaggio ai nostri 42mila lettori. Chi desidera ricevere le trascrizioni dei video, le chieda a lino.balza.2019@gmail.com

Stiamo reagendo coi fatti alla tragedia dei Pfas.

Sul punto 12) del “Piano di azioni per scongiurare la tragedia dei Pfas” (clicca qui) i Comitati e le Associazioni si incontrano il 3 novembre in Alessandria con l’europarlamentare Cristina Guarda nella costruzione di un tavolo di lavoro quale strumento a livello europeo di elaborazione di pratiche, di studio di mezzi legali per chiedere la messa al bando UE dei PFAS.

Quello che la Regione Piemonte e la CGIL Piemonte non hanno fatto. Quello che potrà fare il sindacato.

La Giunta Regionale del Veneto ha approvato l’avvio dello “Studio di coorte residenziale sulla contaminazione ambientale da PFAS nel territorio dell’ULSS 8 Berica”, realizzato dall’Azienda ULSS 8 in collaborazione con il Servizio Epidemiologico Regionale (SER) di Azienda Zero e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che fornirà supporto metodologico e nella valutazione dei risultati.
Si tratta di un’indagine epidemiologica retrospettiva che ricostruirà la storia di esposizione delle comunità interessate e ne valuterà gli effetti sulla salute, con un approccio integrato ambiente-salute. Lo studio sarà focalizzato sulle aree maggiormente colpite dalla contaminazione idropotabile e permetterà di stimare i rischi legati a diverse patologie, consolidando le evidenze scientifiche a supporto delle politiche di prevenzione. Questo studio si aggiunge agli approfondimenti epidemiologici condotti finora, integrando i dati della sorveglianza sanitaria avviata nel 2017 e gli studi sulla mortalità.
Cgil Veneto: “Finalmente, ma non basta”.
 
“Abbiamo avanzato continue richieste al presidente e agli assessori competenti. Finalmente, quindi, ma non basta: riteniamo necessario che la nuova indagine epidemiologica debba coinvolgere anche tutti i lavoratori ex Miteni, che, come è noto, hanno i valori di Pfas nel sangue più alti in assoluto”.
Non solo. Su patrocinio della CGIL, nel maggio 2025 una sentenza storica: il Tribunale di Vicenza ha stabilito un nesso tra l’esposizione ai PFAS e la morte di un ex operaio, riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità ai suoi eredi. Anche l’INAIL ha riconosciuto 19 lavoratori come affetti da malattia professionale a causa dell’accumulo di PFAS nel sangue, stabilendo un precedente importante, sebbene questo non implichi un risarcimento diretto.  A sua volta, invece, la sentenza penale di Vicenza non soddisfa assolutamente i danni e i risarcimenti degli ex lavoratori Miteni.
 
Perciò, ora resta al sindacato veneto di avviare azione risarcitoria, class action, per tutti i lavoratori ex Miteni. Magari implicando le responsabilità di Solvay (che, a differenza di Miteni, è solvibile).
Per tutti i lavoratori Solvay,  dovrebbe farlo anche il sindacato piemontese, liberandosi finalmente dalle palle al piede.
 
Soprattutto perché gli enormi valori PFOA nel sangue dei lavoratori Solvay di Spinetta Marengo sono stati denunciati e documentati nell’esposto (il primo dei 20) di Lino Balza alla Procura della Repubblica di Alessandria. Ma dal lontano 2009 il sindacato non si è mosso.
Attualmente, la CGIL di Alessandria è costituita parte civile nel processo (il 2°) contro Solvay e, ufficialmente per bocca del segretario della Camera del Lavoro, dichiara di rifiutare il Patteggiamento avviato dalla multinazionale per strozzare il processo. Tale patteggiamento è stato accettato, suscitando scandalo fra i Comitati e le Associazioni, dal Comune di Alessandria; mentre la Regione Piemonte -anche se ben lontana dalle indagini epidemiologiche della Regione Veneto- dichiara, per bocca dell’assessore alla sanità, che non accetta il Patteggiamento. Il Ministero dell’Ambiente non ha preso posizione ufficiale.
Dunque, sarebbe una aspettativa delusa se la CGIL non partecipasse alla class action risarcitoria che Comitati e Associazioni stanno preparando a favore della popolazione alessandrina. 

Birra, zanzare e pfas.

Che le zanzare possano essere vettori dei Pfas sembra una ipotesi scientifica azzardata. Non è certo quello che hanno dimostrato i ricercatori dell’Università Radboud di Nimega, nei Paesi Bassi, che hanno compiuto un singolare esperimento sul campo. Cinquecento persone hanno effettuato il test e la differenza è risultata piuttosto netta: i bevitori di birra erano 1,35 volte più attraenti per le zanzare dei non bevitori di birra.
 
Di qui, una serie di sillogismi fantascientifici. Nelle birre sono state rilevate alte concentrazioni di pfas. I bevitori di birra presumibilmente hanno nel sangue maggiori concentrazioni di pfas. Le zanzare assumono i pfas e li trasmettono pungendo altri individui.
 
L’unica cosa verosimile è che per evitare di attrarre le zanzare è meglio non bere birra. Per il resto, alle zanzare, la cui diffusione è allarmante, non è imputabile, almeno per ora, altro che malaria, febbre del Nilo occidentale, chikungunya e dengue.  

L’avvocato della difesa che fa tremare Solvay.

Con uno scoop, abbiamo pubblicato il documento “La verità’ sul caso Miteni/Solvay che nessuno ha raccontato” (clicca qui) che l’avvocato Luca Santa Maria, punta di diamante del collegio di difesa della Solvay nei precedenti processi penali, ha trasmesso alle Procure della Repubblica di Alessandria e Vicenza. Ad esso fa seguito il deposito di questo esposto (clicca qui) che approfondisce l’accusa di come Miteni di Trissino non sia stato che “l’esecutore di un disegno pianificato da Solvay e Dupont” nel provocare i disastri ambientali e sanitari dei Pfas. Dei quali il filo conduttore è il pfas cC6O4 della Solvay  Syensqo.
Si tratta di documenti esplosivi (per inciso: l’avv. Santa Maria è stato da Syensqo denunciato alla Procura della Repubblica di Milano per rivelazione di segreto), in sé sono notizie di reato, in condizione di rimettere in discussione lo svolgimento del processo Miteni in primo grado di Vicenza (sentenza di dolo, ma senza Solvay) e del processo Solvay-Syensqo (il 2°) avviato ad Alessandria (imputazione di colpa piuttosto che di dolo). Non si può escludere, dopo indagini collegate tra le due Procure, la riunificazione dei due processi con l’accusa di dolo: dolo intenzionale o diretto o almeno eventuale. Né clamorosi riflessi internazionali. A tacere le responsabilità pubbliche di Comuni, Regioni, Province, Ministero dell’Ambiente: ex art. 40 del Codice penale.
 
I suddetti documenti dell’avvocato Santa Maria sono al vaglio, oltre che delle Procure, anche dei collegi legali delle Parti civili, dei Comitati e delle Associazioni che stanno mettendo a punto il piano di azioni  per scongiurare la tragedia dei Pfas, clicca qui.

Piano di azioni per scongiurare la tragedia dei Pfas.

Foto ricordo.
Il 2026 può essere l’anno che sancisce la immane tragedia sanitaria dei PFAS, paragonabile a quella dell’amianto. In altre parole, fisserebbe la vittoria in Italia della lobby chimica diretta dalla multinazionale Solvay (Syensqo): costruita su quattro assai controversi terreni: sul versante della debole magistratura di Alessandria, sul versante delle compromesse istituzioni politiche locali, e sui versanti delle asservite forze parlamentari italiane ed europee.
 
La tragica vittoria, invece, può essere ancora scongiurata tramite 12 concrete azioni dei Comitati e delle Associazioni che stanno discutendo di mettere in campo.
 
1) Coordinare Alessandria con Vicenza, affinchè, per conto dei Comitati e delle Associazioni, gli studi legali intraprendano urgenti procedimenti giudiziari in sede civile di azione risarcitoria collettiva, patrimoniale e non, per le Vittime fisiche (cittadini e lavoratori) dei disastri ecosanitari dei siti industriali Solvay di Spinetta Marengo ed ex Miteni di Trissino.
 
2) In Alessandria, i Comitati e le Associazioni per impegnare i propri studi legali a verificare di intraprendere urgenti procedimenti giudiziari in sede civile di azione inibitoria collettiva in materia ambientale per bloccare il disastro ecosanitario del sito industriale Solvay di Spinetta Marengo.
 
Continua cliccando qui.

Smettere di mangiare e bere oppure mettere al bando i Pfas? Fermare la Solvay.

Non so se c’è una fabbrica di birra nella Fraschetta alessandrina e immaginarmi le preoccupazioni dei proprietari e i risarcimenti da chiedere a Solvay. Viene in mente, ai tempi delle falde inquinate da cromo esavalente, che né Paglieri profumi né l’allevamento di mucche della Perderbona entrarono come parti civili nel primo processo.
 
I Pfas, tossici e cancerogeni, famigerati come sostanze chimiche eterne, non risparmiano neanche la birra. A lanciare l’allarme è stata un’analisi coordinata dai ricercatori dell’American Chemical Society che ha mostrato come il 95% delle birre prese in esame e prodotte in diverse aree degli Stati Uniti contengano questi inquinanti, con le concentrazioni più elevate riscontrate nelle aree in cui è noto ci sia una contaminazione delle acque. I risultati, apparsi sulla rivista Environmental Science & Technology dell’Acs, evidenziano quindi come l’inquinamento delle risorse idriche possa infiltrarsi in prodotti, anche quelli più comuni, sollevando preoccupazioni sia per i consumatori che per i produttori di birra.
 
Sebbene i birrifici generalmente dispongano di sistemi di filtraggio e trattamento dell’acqua, questi non sono progettati per rimuovere i Pfas. Circa il 18% dei birrifici statunitensi si trova in aree in cui è rilevabile la presenza di Pfas nell’acqua potabile comunale.  I ricercatori hanno modificato il metodo usato dall’Agenzia per la Protezione Ambientale (Epa) degli Stati Uniti, e testato un totale di 23 birre nazionali e internazionali: il 95% delle birre testate (sebbene gli autori non abbiano fatto nomi) conteneva Pfas, tra cui il perfluorottano solfonato (Pfos) e l’acido perfluoroottanoico (Pfoa), famigerati per le patologie al sistema immunitario ed endocrino, la fertilità e l’incidenza di neoplasie.
 
 

Chi dalla birra vorrebbe rifugiarsi nel vino, conosce già possibili i Pfas nel vino 100 volte superiori rispetto all’acqua potabile, in particolare grazie al TFA. Peccato perchè il nostro Paese è il primo produttore di vino a livello globale, e il Monferrato è un’eccellenza.

Vabbè, torniamo all’acqua. Non ci fidiamo dell’acquedotto, come ha già dimostrato Greenpeace. Ricorriamo all’acqua imbottigliata? Dalla padella alla brace. Greenpeace aggiorna: la nostra nuova indagine ha rivelato la presenza di PFAS nell’acqua in bottiglia di 6 marche su 8, tra le più diffuse nel nostro Paese: Ferrarelle, Levissima, Panna, Rocchetta, San Benedetto, San Pellegrino, Sant’Anna, Uliveto. Luce verde solo per Ferrarelle e San Benedetto Naturale, rossissima per acqua Panna.
La sostanza rilevata nelle bottiglie analizzate è il TFA, l’acido trifluoroacetico, ovvero il PFAS più diffuso sul pianeta. Clicca qui
C’è una sola soluzione. Fermare subito le produzioni Pfas (monopolio della Solvay a Spinetta Marengo) e far seguire una “legge zero-PFAS” che ne vieti del tutto l’utilizzo in tutti i settori. Solo così possiamo sperare di tutelare la nostra salute: non c’è altro tempo da perdere.

Attorno alla Solvay nascosto il TFA.

Arpa Piemonte, che monitora l’unica produttrice di pfas in Italia, Syensqo Solvay, tuttora NON cerca il pfas TFA in atmosfera, nelle acque e nel suolo.  Eppure, nello scarico di Solvay s Spinetta Marengo ci sono fino a 198 microgrammi per litro di Tfa già nel 2021, secondo le analisi condotte dal Consiglio nazionale delle ricerche nel 2024. In Veneto, invece, il Tfa è stato cercato nelle acque già nel 2021 (fino a 110 microgrammi per litro) e viene monitorato periodicamente. Ad Alessandria è tutto nascosto.
 
Tfa è uno dei pfas meno conosciuti, ma tra i più pericolosi e presenti nell’ambiente, perchè contenuto in molti pesticidi, e quindi nei terreni e negli alimenti, come ad esempio il vino (pensiamo ai Doc del Monferrato). Sebbene i rischi legati a questa sostanza siano emersi a fine anni Novanta, ad oggi manca ancora una normativa che ne regoli la presenza e l’utilizzo. E l’assenza di norme e limiti specifici è il frutto di una negligenza delle autorità, indotte quanto mento dalla scarsa trasparenza delle lobby chimiche negli ultimi 25 anni.
 
Già nel 1998 il Comitato scientifico per le piante dell’Unione Europea aveva denunciato i rischi ambientali e sanitari del Tfa. Silenzio. Nel 2007 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha indicato il Tfa come un metabolita delle colture che entra direttamente nella catena alimentare.
 
Silenzio. Nel 2014 l’Efsa ha rilanciato l’allarme legato ai pesticidi. Silenzio. Nel 2017 l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) ha chiesto ai produttori i dati tossicologici completi. Nel 2021 si è aperto il vaso di Pandora. Malgrado il fuoco di sbarramento di Solvay, Echa ha proposto a tutti gli Stati membri di indicare il Tfa come tossico per la riproduzione, primo step per la sua classificazione come sostanza pericolosa e tossica. Da allora, negli anni successivi diversi Stati hanno imposto limiti e divieti, sia per la presenza del composto nei cibi, sia nelle emissioni industriali.
 
La direttiva è stata ratificata dall’Italia ed è prossima all’entrata in vigore, impone un limite di 10 microgrammi di Tfa per litro. Tuttavia, manca una messa a bando mondiale per tutti quei 39 pesticidi che lo contengono, non ci sono limiti agli scarichi e di emissioni in atmosfera.
 
L’acido trifluoroacetico (TFA) è fra i Pfas il contaminante ambientale emergente che desta crescente preoccupazione a causa della sua ubiquità nelle matrici ambientali e delle sue proprietà chimico-fisiche, tra cui elevata solubilità in acqua, stabilità chimica e persistenza. Ma Solvay fa muro.

La tragica lezione dell’amianto non ha insegnato nulla.

Quando si parla di Spinetta Marengo, il pensiero corre per pochi chilometri nell’alessandrino fino a Casale Monferrato. Quando si parla, per gli indistruttibili Pfas della Solvay, del rischio per le generazioni future, figli nipoti e pronipoti, si porta sempre l’esempio dell’indistruttibile amianto dell’Eternit. Dopo aver mietuto per decenni migliaia di vittime per l’incurabile mesotelioma polmonare, la fabbrica Eternit è stata chiusa e sono stati messi al bando nel 1992 l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, il commercio, la produzione, l’uso dei prodotti con amianto. (Per i Pfas, ad oggi, neppure c’è chiusura di Solvay e bando).
 
Eppure, le morti per amianto hanno continuato: perché solo dal 1° luglio 2025 l’Unione Europea ha messo l’amianto definitivamente al bando, obbligando tutti gli Stati membri a provvedere alla sua rimozione nei tetti e nei rivestimenti. Ma in Italia non c’è ancora una legge che imponga la rimozione. Neppure per le scuole e gli ospedali.
 
Ebbene, fino a quando tutto l’amianto sarà rimosso, smaltito e sigillato, continueranno le morti. Anzi, ancora 20-30 anni dopo la rimozione, perché la malattia può restare in incubazione per tutti quegli anni. Poi la morte è sicura e velocissima.
 
Una strage continua che fa registrare più di 200mila decessi per malattie amianto correlate nel mondo, di cui 7mila riguardano l’Italia nell’ultimo anno. L’Onu, nelle sue stime, tiene conto soltanto dell’asbestosi, del mesotelioma e del cancro del polmone, mentre invece ci sono tutte le altre patologie già contemplate nelle Monografia della IARC (International Agency for Research on Cancer), tra le quali il cancro della laringe, della faringe, dello stomaco, del colon e delle ovaie, nonché le altre patologie asbesto correlate, comprese placche pleuriche, ispessimenti pleurici, stato fibrotico/infiammatorio polmonare e/o pleurico.
 
Clamorosa è stata la recente scoperta a Torino di 3000 metri cubi di amianto sepolto sotto Italia 61, era nascosto nel sottosuolo da 70 anni.

Vigili del fuoco deceduti e rischio PFAS.

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Scandalo Pfas: l’inchiesta che svela i legami nascosti fra la lobby degli inquinanti eterni e la società di consulenza dell’Ue.

Basandosi su documenti e registri ufficiali dell’UE, il Financial Times ha reso noto che società di consulenza Ramboll, dal 2020 incaricata dall’ECHA di fornire consulenze strategiche sui PFASavrebbe fornito consulenze sia all’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) sia ai produttori stessi di queste sostanze. Apparirebbe dunque sempre più concreta la conseguenza che le decisioni europee sono in qualche modo “pilotate” dalle lobby. Infatti, ciò avviene proprio mentre l’Unione Europea sta lavorando a una proposta di divieto di migliaia di sostanze sintetiche note come PFAS. Per ciò, la decisione di mantenere in uso certi PFAS invece di proporne un divieto immediato, tipo le deroghe decennali per le schiume antincendio.
 
È chiaro che le forti pressioni esercitate dalla lobby chimica sarebbero un evidente conflitto di interesse in un dossier di grande rilevanza per la salute pubblica e l’ambiente. Si tratta ovviamente di una situazione preoccupante, che rischierebbe di minare la credibilità dell’intero processo regolatorio.
Chissà se L’Unione Europea riesce a svincolarsi dalla morsa della Lobby chimica di Solvay & C. almeno dopo che i risultati dei test condotti su 24 alti funzionari della UE hanno rivelato la presenza anche ogni limite di PFAS in tutti leader provenienti da 19 paesi.  L’iniziativa è stata promossa dal Ministero danese dell’ambiente, in collaborazione con l’Ufficio europeo per l’ambiente (EEB) e l’organizzazione ChemSec.
 
D’altronde oltre 100 organizzazioni europee hanno lanciato il manifesto “Stop PFAS”, chiedendo ai leader europei di sostenere la proposta di restrizione universale. L’appello evidenzia che un divieto parziale non basta: serve una strategia decisa per fermare l’inquinamento e tutelare la salute pubblica, oggi e per le generazioni future. Clicca qui.

Stati Generali dei Movimenti Limiti Zero Pfas.

Su iniziativa di lotta dell’europarlamentare Cristina Guarda si terrà un importante avvenimento di raccordo fra le forze sociali e politiche piemontesi e venete impegnate nella battaglia contro i Pfas in Italia, di cui gli epicentri regionali sono Alessandria (Solvay di Spinetta Marengo) e Vicenza (Miteni di Trissino). 
Nell’ambito dell’incontro, il “Movimento di lotta per la salute Maccacaro” presenterà, in 11 punti, un Piano di azioni concrete con le quali -su input dei Comitati e delle Associazioni in una sorta di Stati Generali- scongiurare l’altrimenti imminente vittoria in Italia della lobby chimica diretta dalla multinazionale Solvay (Syensqo).
 
L’appuntamento è per sabato 27 settembre 2025 in Alessandria, alle ore 10.30, presso Hotel al Mulino, via Casale 44, località San Michele (immediatamente all’uscita del casello di Alessandria Ovest   dell’autostrada).  

Piano di azione per scongiurare la tragedia dei Pfas.

Il 2026 può essere l’anno che sancisce la immane tragedia sanitaria dei PFAS, paragonabile a quella dell’amianto. In altre parole, fisserebbe la vittoria in Italia della lobby chimica diretta dalla multinazionale Solvay (Syensqo). La tragica vittoria, invece, può essere ancora scongiurata tramite concrete azioni dei Comitati e delle Associazioni.
Infatti, allo stato attuale (si veda l’analisi https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/04/il-2026-e-alle-porte-snodo-cruciale-per-i-pfas-della-solvay/  sul Sito www.rete-ambientalista.it  del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”) il possibile trionfo di Solvay è stato costruito su quattro assai controversi terreni: sul versante della debole magistratura di Alessandria, sul versante delle compromesse istituzioni politiche locali, e sui versanti delle asservite forze parlamentari italiane ed europee.
Invece, questo trionfo sulla pelle della gente può essere sbarrato con un “Piano di salvataggio dalla tragedia dei Pfas” che i Comitati e le Associazioni possono mettere in campo tramite undici incisive azioni:
1) Coordinare Alessandria con Vicenza, affinchè, per conto dei Comitati e delle Associazioni, gli studi legali intraprendano urgenti procedimenti giudiziari in sede civile di azione risarcitoria collettiva, patrimoniale e non, per le Vittime fisiche (cittadini e lavoratori) dei disastri ecosanitari dei siti industriali Solvay di Spinetta Marengo ed ex Miteni di Trissino.
2) In Alessandria, i Comitati e le Associazioni impegnano i propri studi legali a verificare di intraprendere urgenti procedimenti giudiziari in sede civile di azione inibitoria collettiva in materia ambientale per il disastro ecosanitario del sito industriale Solvay di Spinetta Marengo.
N.B. L‘azione inibitoria collettiva in materia ambientale è uno strumento processuale che permette a un’associazione o un comitato, o anche a chiunque abbia interesse, di richiedere al giudice la cessazione di un comportamento che lede l’ambiente e la salute pubblica. Questa azione introdotta nell’ordinamento italiano mira a prevenire o interrompere danni ambientali, sia attuali che potenziali, causati da attività illecite. A differenza dell’azione risarcitoria collettiva, class action, l’azione inibitoria non mira al risarcimento del danno, ma alla prevenzione o all’interruzione del comportamento lesivo. 
3) Coordinare Alessandria con Vicenza, affinchè, per conto dei Comitati e delle Associazioni, gli studi legali riesaminino la formulazione dei processi penali di Alessandria e Vicenza alla luce (vedi sul Sito) del documento (in sé: notizia di reato) trasmesso alle Procure della Repubblica di Alessandria e Vicenza dall’avvocato Luca Santa Maria (ex Solvay) che individua una regia dolosa unica delle responsabilità penali, e apicali, per gli attuali processi di Alessandria (colposo) e di Vicenza (doloso): ipotizzabili per i PM istanze di nuove indagini, unificazione dei fascicoli, perfino rogatorie. 
4) In Alessandria, i Comitati e le Associazioni impegnano i propri studi legali a coordinarsi per chiedere alla locale Procura la riformulazione dei capi di accusa da colposi a dolosi. A maggior ragione perché una sequela di rinvii delle udienze ha fermato il processo per due anni, anche con una negoziazione opaca tra le parti (GUP).
5) I Comitati e le Associazioni reputano rilevante che il Comune di Alessandria emetta ordinanza di fermata delle produzioni della Solvay inquinanti dentro e fuori il comune, come imporrebbe il principio di precauzione, esercitando le prerogative di legge che derivano al sindaco nella sua veste di massima Autorità Sanitaria Locale.
6) I Comitati e le Associazioni, in forza anche delle Mozioni Popolari presentate, basate sui principi della prevenzione e della precauzione / “limiti zero”, ribadiscono al Parlamento la richiesta della messa al bando dei Pfas in Italia, della loro produzione e utilizzo, ovvero della fermata delle produzioni inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo quale pregiudiziale “conditio sine qua non” del fattuale divieto di Legge. 
7) In Alessandria, i Comitati e le Associazioni impegnano i propri studi legali a respingere ogni proposta di Patteggiamento con Solvay, che strozzerebbe il processo locale, nonché la stessa Legge nazionale basata sui principi della prevenzione e della precauzione / limiti zero.
8) I Comitati e le Associazioni diffidano le Istituzioni locali e nazionali a intraprendere contrattazioni di patteggiamento con Solvay, che strozzerebbero il processo di Alessandria, nonchè la stessa Legge nazionale basata sui principi della prevenzione e della precauzione / limiti zero.
9) I Comitati e le Associazioni invitano in particolare il sindaco di Alessandria a recedere dal patteggiamento intrapreso (azione possibile in quanto non vi è accordo di patteggiamento con il Pubblico Ministero e prima che il giudice si pronunci).
10) I Comitati e le Associazioni chiedono al Governo di destinare immediatamente risorse tecniche, economiche ed umane adeguate al monitoraggio ambientale e sanitario dei Pfas in Italia, a maggior ragione in Veneto e Piemonte dove già urge provvedere a idonee misure cautelari e interventi di bonifica.
11) I Comitati e le Associazioni, in particolare chiedono alla Regione Piemonte, nel cui territorio i ritardi dei monitoraggi ambientali e sanitari sono ancora più evidenti, di non rallentare ulteriormente l’opaco monitoraggio del sangue della popolazione alessandrina. Va da sé, escludendo ogni patteggiamento con Solvay. 
LA DETERMINAZIONE DEI COMITATI E DELLE ASSOCIAZIONI, DI CONSEGUIRE LE AZIONI COMPRESE NEL “PIANO DI SALVAGUARDIA”, POTRA’ ‘CONVINCERE’ SOLVAY AD ESTENDERE ALL’ITALIA LA SUA STRATEGIA DI DISIMPEGNO DAI PFAS. PIUTTOSTO CHE CONCENTRARE LE PRODUZIONI IN ITALIA, A SPINETTA. (clicca qui)

Le strategie pfas di Solvay.

PER SCONGIURARE LA TRAGEDIA DEI PFAS, LA DETERMINAZIONE DEI COMITATI E DELLE ASSOCIAZIONI, DI CONSEGUIRE LE AZIONI COMPRESE NEL “PIANO DI SALVAGUARDIA” (clicca qui ) POTRA’ “CONVINCERE” SOLVAY A ESTENDERE ALL’ITALIA LA SUA STRATEGIA DI DISIMPEGNO DAI PFAS. PIUTTOSTO CHE CONCENTRARE LE PRODUZIONI IN ITALIA (Spinetta Marengo).
 
In USA, la multinazionale ha cessato l’uso di PFAS (come l’ADV a West Deptford) già dal 2021, in quanto le cause legali riferite ai Pfas stanno sommergendo Solvay in un contenzioso continuo. Solvay, attraverso la sua sussidiaria Solvay Specialty Polymers USA, ha raggiunto (2023) un accordo transattivo con il Dipartimento per la Protezione Ambientale del New Jersey (NJDEP) per 392,7 milioni di dollari a seguito di cause legali relative alla contaminazione da sostanze chimiche per- e polifluoroalchiliche (PFAS) nel sud del New Jersey; l’accordo storico, comprende la bonifica di un sito contaminato e il risarcimento per i danni alle risorse naturali e ai sistemi idrici della zona. Sempre Solvay   ha appena accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una “class action” sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford ad opera del suo impianto di produzione di Leonard Lane. (E restano ancora aperti i risarcimenti per le patologie sofferte). D’altronde Solvay deve affrontare numerose cause legali per l’inquinamento da PFAS nel South Jersey, per il suo stabilimento della contea di Gloucester.
“Per garantire la propria competitività a lungo termine”, Solvay avverte che “terminerà la produzione di prodotti a base di acido trifluoroacetico (TFA) e di tutti i suoi derivati fluorurati ​​in tutto il gruppo entro l’inizio del 2026”. ***
 
In GERMANIA Solvay annuncia il taglio di 140 posti di lavoro: 100 a Bad Wimpfen e 40 a Garbsen (che chiude entro 2028) in quanto, appunto, cesserà la produzione di prodotti a base del Pfas TFA.
 
In FRANCIA lo scorso anno Solvay ha annunciato la chiusura del suo stabilimento di Salindres (taglio 68 posti), dove venivano prodotti anche il TFA e i suoi derivati.
Attenzione.  Le suddette decisioni sono legate alla scadenza 2026: quando dovrebbe scattare un quadro legislativo di riferimento con vigore dei limiti tollerati anche per il TFA, dunque con misure urgenti: il divieto immediato dei pesticidi con PFAS, il divieto immediato dei gas fluorurati.
 
In ITALIA Solvay Syensqo mesi fa aveva annunciato che stava “accelerando le misure di ristrutturazione”, che includono il taglio di circa 200-300 posti di lavoro in Europa, cioè in Italia (Centro di Ricerca a Bollate, siti produttivi a Ospiate di Bollate  e Spinetta Marengo, “a causa dell’incertezza della domanda causata dalle turbolenze economiche globali (risparmio di più di 200 milioni di euro (224 milioni di dollari) entro la fine del 2026)”: le azioni di Syensqo sono scese del 3,3%, gli utili core sottostanti sono diminuiti organicamente del 15,1%.
 
In BELGIO Solvay Syensqo è direttamente contestata per la sua attività nella filiera dell’industria della difesa. Ancora nel giugno 2025, gli attivisti hanno bloccato la sede centrale di Syensqo a Bruxelles per chiedere il rispetto dell’embargo militare nei confronti di Israele (in vigore dal 2009 in Belgio). Syensqo produce un pezzo del drone “Hermes 450” nel suo stabilimento nel Regno Unito, per UAV Tactical Systems (una società di proprietà congiunta dell’israeliana Elbits Systems Ltd e della francese Thales). Il drone è stato utilizzato da Israele perfino per bombardare gli operatori umanitari della ONG World Central Kitchen a Gaza.
 
*** I TFA sono composti organici classificati come PFAS secondo l’ OCSE. Avevamo, sul Sito del Movimento di lotta per la salute Maccacaro, più volte lanciato l’allarme negli anni scorsi. Esempio: L’“invisibile” TFA nell’esistenza nebulosa della Solvay di Spinetta Marengo, tra processi e class action. https://www.rete-ambientalista.it/2024/09/01/3-l-invisibile-tfa-nellesistenza-nebulosa-della-solvay-di-spinetta-marengo-tra-processi-e-class-action/ .

Scoop. La verità sul caso Miteni/Solvay che nessuno ha raccontato. Seconda parte.

Concludiamo la pubblicazione del documento “La verità’ sul caso Miteni/Solvay che nessuno ha raccontato” (clicca qui) che l’avvocato Luca Santa Maria, punta di diamante del collegio di difesa della Solvay nei precedenti processi penali, ha dichiarato di aver trasmesso alle Procure della Repubblica di Alessandria e Vicenza.
Dal documento esplosivo apprendiamo quando segue. Restano a piede libero i registi che dagli anni 2000 hanno pianificato la catastrofe ambientale e sanitaria tra Veneto e Piemonte.  E’ della Solvay la regia occulta che fa della Miteni una fabbrica ancora più criminale (nell’indifferenza dei veneti): Trissino quale “hub clandestino” di Spinetta Marengo estraendo il micidiale Pfas cC6O4 e smaltendo in fiumi e falde i fanghi avvelenati. Complice del “lavoro sporco” della Solvay è Dupont, che alla Miteni scarica dall’Olanda i reflui di Pfas Genx “ripulito”.  A sua volta, la Regione Veneto permette di aggiungere il nuovo illecito che altrove non era tollerato.
L’Italia del Nord si trova inquinata da Cc6O4, il nuovo Pfoa. La contaminazione e l’esposizione umana si è propagata da Spinetta. L’enorme disastro ha due epicentri imputabili alla regia Solvay, l’uno indirettamente a Trissino, e l’altro direttamente a Spinetta, falciando indifese vite, per aria e acque, fra i lavoratori e i cittadini.
Ora, Solvay (Syensqo) promette la dismissione del C6O4 nel 2026: la più eloquente confessione stragiudiziale.  Ma, per le identiche condotte criminose che -per la medesima Solvay- negli Usa e Cee hanno per i colpevoli un prezzo stimato in miliardi, invece in Italia i top manager -mandanti e beneficiari degli enormi profitti- restano impuniti penalmente, civilisticamente e amministrativamente. Un caso da manuale di “justice arbitrage”.
Dunque, il disastro dei nuovi PFAS come quello dei vecchi è il prodotto di un sistema perfezionato con regia industriale unica (Solvay), a mezzo di incompetenza dei controllori, chiusura di entrambi gli occhi con benevola indulgenza, insomma per intenzionale scelta politica. Specifiche le gravissime responsabilità di Regioni e Sindaco di Alessandria.  
Solo la mobilitazione dal basso ha squarciato parzialmente il velo di omertà che tutela i potenti vertici delle potenti multinazionali.
Il vecchio diritto penale, con la Procura di Vicenza e l’azione dei NOE, ha fatto molto ma non tutto. Il procedimento penale di Alessandria contro Solvay, ora Syensqo, avviato nel 2020 dalla Procura locale è stato invece paralizzato.
Dunque, il documento infine si conclude con richieste precise, di triplice urgenza, che rimettono in gioco gli scenari futuri. Scenari presi in esame nella meticolosa analisi di Lino Balza, clicca qui, che a sua volta, prospetta anche più efficaci strumenti oltre le sedi penali. 

Scoop. La verità’ sul caso Miteni/Solvay che nessuno ha raccontato.

Considerata la lunghezza del testo e la complessità giuridica, pubblichiamo (clicca qui) la prima parte del documento esplosivo “La verità’ sul caso Miteni/Solvay che nessuno ha raccontato” che l’avvocato Luca Santa Maria, punta di diamante del collegio di difesa della Solvay nei precedenti processi penali, ha trasmesso in queste ore alle Procure della Repubblica di Alessandria e Vicenza.
 
La tragedia dei PFAS: il nuovo amianto e la silenziosa strage degli innocenti. Al centro delle inedite rivelazioni: la regia occulta di Solvay che ha pianificato la catastrofe ambientale e sanitaria tra Veneto Piemonte e non solo; i registi che restano a piede libero dopo i processi di Alessandria e Vicenza; come scoperchiare i processi penali e le responsabilità delle Istituzioni, fare giustizia, salvare migliaia di vite umane.
 
Il documento dell’avvocato Luca Santa Maria “scopre gli altarini” e apre nuovi scenari, non solo penali. Il 2026, infatti, è alle porte e rappresenta uno snodo cruciale per i Pfas in Italia e per la Solvay, come evidenziato nella meticolosa analisi di Lino Balza, clicca qui, che a sua volta prospetta anche più efficaci strumenti oltre le sedi penali. 

L’ECHA lancia un salvagente a Solvay.

Come anticipavamo (clicca qui) ci mette lo zampino anche l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa), che ha appena annunciato che dividerà la restrizione Ue sui Pfas, escludendo otto categorie di utilizzi dal processo di valutazione del divieto: stampa, sigillature, macchinari, esplosivi, militare, tessili tecnici, usi industriali più ampi e altre applicazioni mediche.
 
Secondo la rete Chemsec, un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro che promuove la sostituzione dei Pfas con alternative sicure, che già esistono, questo dell’Echa è “un precedente pericoloso e inaccettabile”. Contraddice chiaramente gli impegni presi nella Chemicals Strategy for Sustainability, che prevede l’eliminazione dei Pfas da tutti gli usi nell’Ue (dunque le produzioni Solvay di Spinetta Marengo).
 
La Commissione UE dovrebbe considerare inaccettabile la decisione dell’ECHA.

Neppure il tribunale di Vicenza ha fatto giustizia sui Pfas.

La sentenza del tribunale di Vicenza può essere definita “storica” perché per la prima volta, a differenza dei tribunali di Alessandria, ha condannato gli inquinatori di Pfas per “dolo”: avvelenamento dell’acqua e disastro ambientale (141 anni di carcere). Ma non ha fatto giustizia fino in fondo. Non ha condannato Solvay (si legga il documento dell’avvocato Santa Maria). Si è limitata a risarcire 300 parti civili: 15mila euro sarebbero un risarcimento per le mamme che hanno trovato livelli enormi di PFOA nel sangue dei loro figli, sapendo che non esiste un limite minimo innocuo?
 
E gli altri bambini avvelenati? E gli altri 300.000 abitanti tra Padova, Verona e Vicenza? contaminati da Pfas “sostanze chimiche eterne” che evidenzieranno i loro effetti tossici e cancerogeni (al sistema immunitario e riproduttivo, disfunzioni tiroidee ecc.) nel corso degli anni, anche fra dieci, venti anni, come per l’amianto? A tacere le bonifiche che non verranno.

I bambini a rischio dei Pfas.

I PFAS si accumulano nel corpo umano già dalla nascita, entrando in circolo già durante la gravidanza e continuando poi attraverso l’allattamento, l’alimentazione, l’acqua potabile o l’aria inquinata. Un nuovo studio dell’Università dei Paesi Baschi rivela ancora una volta la loro diffusione nei bambini. La ricerca, pubblicata su Enviromental Research e condotta nell’ambito del progetto INMA (Infancia y Medio Ambiente), ha analizzato i campioni di plasma di 315 bambini tra i 4 e i 14 anni, raccolti tra il 2011 e il 2022 nelle aree di Goierri e Urola, territori baschi caratterizzati da una forte presenza industriale.
 
Nei bambini più piccoli prevalgono i cosiddetti PFAS “classici” come PFOA e PFOS, sottoposti a restrizioni a partire dal 2006. Negli adolescenti, invece, si riscontrano con maggiore frequenza i nuovi PFAS emergenti, introdotti sul mercato come sostituti dei composti più vecchi: il cC6O4 di cui ha il brevetto Solvay.
 
Il team dei ricercatori avverte: “Per i Pfas non esistono limiti di sicurezza definiti per l’uomo, anche quando oggi non riscontriamo concentrazioni preoccupanti o danni in atto, non possiamo escludere che diventino un problema tra dieci anni, ciò che non sembra rischioso ora potrà esserlo in futuro”.
Va da sé che in Italia analoga ricerca NON è stata fatta per l’area di Spinetta Marengo per la Solvay, unica produttrice italiana dei Pfas.

I bambini sono i più a rischio per i Pfas.

I pediatri della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (Simri), in convegno a Verona, allarmano i danni da smog e Pfas per la salute respiratoria dei bambini, e sopraggiungono a confermare la nostra ripetuta denuncia che il rischio maggiore delle emissioni, pfas e non solo, della Solvay di Spinetta Marengo avviene in atmosfera (dalle ciminiere) ancor più che nelle acque profonde e superficiali (Bormida).
 
Stefania La Grutta, presidente Simri: “L’inquinamento e le sostanze tossiche come PFAS influiscono sullo sviluppo polmonare sin dai primi giorni di vita. I bambini sono particolarmente vulnerabili: assorbono più inquinanti in rapporto al peso corporeo, hanno un sistema respiratorio immaturo, una limitata capacità di termoregolazione e una maggiore sensibilità alle infezioni“.
Giacomo Toffol, pediatra di famiglia: “Le microplastiche ritrovate nel sangue, nei polmoni e persino nella placenta, possono trasportare sostanze tossiche come PFAS e metalli pesanti, con rischi per lo sviluppo fetale, il sistema endocrino e il metabolismo”.

Rischiamo grosso. Allarme Pfas per tutti i pesci selvatici avvelenati.

Il nuovo rapporto pubblicato dall’European Environmental Bureau EEB denuncia la diffusione dei Pfas, nelle acque e nei pesci d’Europa. In Italia, ben il 9,3% dei prelievi sono risultati superiori ai limiti di sicurezza attuali e tutti i campioni analizzati superano il nuovo limite di sicurezza (77 ng/kg) in via di approvazione in Ue, dove i governi stanno spingendo per ritardare la conformità di un altro decennio o più.
 
I campioni di pesce superano anche di centinaia o migliaia di volte i nuovi standard proposti.  In alcune zone, già oggi, una sola porzione di pesce può bastare a superare la dose settimanale massima tollerabile fissata dall’Efsa. Nel cuore del Veneto, a pochi chilometri da Padova, scorre un canale noto come Fossa Monselesana, circondato da campi coltivati e piccoli centri abitati. Ma proprio qui, secondo EEB, è stato rilevato uno dei livelli più alti di contaminazione da PFOS in pesci selvatici in Italia: 69,1 microgrammi per chilo, quasi 900 volte oltre il nuovo limite di sicurezza proposto dall’UE. Un valore simile è stato registrato anche in un corso d’acqua locale a Campagna Lupia, nella laguna sud di Venezia: qui il campione di pesce ha mostrato 68,5 microgrammi per chilo. L’indagine estende il perimetro anche al Delta del Po, al mantovano e al fiume Secchia. Qui, acque in apparenza limpide nascondono un inquinamento che non si vede ma che si trasmette lungo la catena alimentare, arrivando fino ai consumatori.
 
I Pfas, attualmente scaricati in acqua suolo aria a Spinetta Marengo, oltre aver devastato il Veneto tramite Miteni, sono utilizzati per decenni in industrie tessili, conciarie, chimiche e alimentari, sono ormai ovunque: nei fiumi, nei laghi, nel corpo dei pesci (carpe, trote, persici, anguille ecc.)  e, di riflesso, nei nostri piatti. In particolare, secondo l’EFSA, il consumo di pesce può rappresentare fino al 90% dell’esposizione alimentare al PFOS. E non si parla solo di rischio cancerogeno: i PFAS sono associati a danni al fegato, alterazioni ormonali, infertilità, effetti sul sistema immunitario.
 
Ma l’impatto non è solo sulla salute umana. I PFAS compromettono anche la biodiversità acquatica, alterando metabolismo, riproduzione e sviluppo di molte specie. Alcuni pesci migratori contaminati, come le anguille o i salmoni, possono diffondere gli effetti anche ad altri ecosistemi, trasportando queste molecole lungo fiumi, mari e catene alimentari.
Centinaia di associazioni europee sono firmatarie del “Ban Pfas Manifesto” per l’urgente messa al bando dei Pfas con deroghe minime e affrontando la contaminazione già esistente, avviando bonifiche, applicando il principio “chi inquina paga”.

Saranno mai fatte le bonifiche dei disastri Pfas?

La risposta è stata negativa anche dopo la sentenza di Cassazione che ha condannato Solvay di Spinetta Marengo: società inadempiente. Il punto interrogativo si scrive in grassetto dopo la recente sentenza del tribunale di Vicenza di condanna alla Miteni: società fallita.
 
Sarà per gli esempi italiani che perfino gli svizzeri si allarmano. Lo fa un team di ricercatori dell’ Accademia svizzera delle scienze naturali (SCNAT): “Nessuna regione della Svizzera è risparmiata da questi agenti inquinanti eterni. Essi si depositano anche nei luoghi più remoti, trasportati dall’aria o dall’acqua. Sono inoltre molto diffusi nelle acque sotterranee. Si trovano nella fauna, nella flora e inevitabilmente nel corpo umano. Negli ultimi anni, le loro concentrazioni nell’ambiente sono aumentate”.
 
“Ridurre l’inquinamento causato dai PFAS richiederà anni o addirittura decenni: ci vorrà un grande impegno e una stretta collaborazione tra politica, economia, scienza”: i ricercatori hanno fiducia nelle Istituzioni. Svizzere, si intende.

I Pfas non si possono distruggere.

Piuttosto che mettere al bando i Pfas e fermare le fabbriche che li producono e usano, c’è chi confonde le idee illudendo su invenzioni che distruggerebbero i Pfas. La ditta Spuma cerca sponsor per Il bioadditivo che consente ai PFAS di emergere sulla superficie dell’acqua inquinata con le bolle di risalita e catturarle come spugna molecolare. Poi… basta incenerirle… creando Pfas.
 
Più seriamente, si può cercare di mettere una toppa. Ad esempio, l’installazione di filtri a carboni attivi in grado di bloccare la presenza di Pfas ed evitare che entrino nell’acquedotto. I costi sono sbalorditivi anche per piccoli impianti, fermo restando che i filtri poi… bisogna incenerirli.
 
 Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma (Legge di Lavoisier).
Altri ricercatori hanno introdotto batteri capaci di accumulare PFAS nell’intestino di alcuni topi: dopo due giorni di esposizione al PFNA (acido perfluorononanoico ), i microrganismi lo hanno accumulato rapidamente con gli PFAS ingeriti dai topi, che poi li hanno espulsi con le feci. Poi si devono incenerire le feci… con le carcasse dei topi.

Le alternative ai Pfas già esistono. Bloccate dalla lobby chimica e politica.

Il polo chimico di Spinetta Marengo ha sempre dichiarato insostituibili linee produttive tossiche e cancerogene, anzi minacciando che la loro chiusura avrebbe provocato la chiusura dell’intero stabilimento, chiusura poi rivelatasi -tramite impianti sostitutivi- un bluff intimidatorio.  La storia si ripete con i PFAS.
 
Fra i vari esempi che abbiamo già trattato di alternative, aggiungiamo quella del gruppo di ricercatori e ricercatrici della North Carolina State University (Stati Uniti), che sta testando l’olio di semi di cotone modificato chimicamente come possibile alternativa green. E i risultati dei primi esperimenti, presentati al convegno dell’American Chemical Society (Acs) attualmente in corso a Washington, sembrano promettenti. Una molecola di origine naturale, utilizzando un processo a base acquosa, rende i tessuti di cotone lisci e idrorepellenti, idrofobici, resistenti alla formazione di pieghe, protetti dalle macchie; insomma è proprio studiata per rimpiazzare i famigerati Pfas forever chemicals.
 
A sua volta, il laboratorio di chimica e tossicologia dell’ambiente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano ha già individuato, nell’ambito di uno studio condotto con il ministero dell’Ambiente, una ventina di composti che possono essere utilizzati in sostituzione dei famigerati Pfas.
 
A trovare un’alternativa ci sta provando da anni un team di ricerca del Fraunhofer Institute for Manufacturing Technology and Advanced Materials IFAM che è riuscito a sviluppare soluzioni in grado di sostituire l’applicazione dei PFAS in alcuni settori, tra cui l’ingegneria medica. Le soluzioni sviluppate dagli scienziati tedeschi sono già state introdotte in alcuni settori come l’industria alimentare, dove hanno soddisfatto gli standard richiesti, ed ora potrebbero essere usati anche per la tecnologia medica. Dall’istituto tedesco assicurano che molte proprietà possono essere ottenute anche senza fluoro mediante rivestimento in fase gassosa o chimico umido, per cui tra le diverse tecnologie per la sostituzione dei PFAS, rientra la tecnologia al plasma, in cui i rivestimenti idrorepellenti, ad esempio su articoli monouso, sono realizzati con gas privi di fluoro, innocui per l’uomo e l’ambiente.
 
IN CONCLUSIONE, AL DI LÀ DEL DETTAGLIO TECNICO, QUESTI E ALTRI LAVORI HANNO IL PREGIO DI DIMOSTRARE CHE, QUANDO CI SONO LA VOLONTÀ POLITICHE E IL SOSTEGNO ECONOMICO NECESSARIO, È POSSIBILE SVILUPPARE COMPOSTI CHIMICI CON CARATTERISTICHE ANALOGHE A QUELLE DI TOSSICHE E CANCEROGENE COME I PFAS. COSA SI FRAPPONE? L’ENORME BUSINESS DEI PROFITTI DELLA LOBBY CHIMICA DEI PFAS, IN ITALIA DIRETTA DA SOLVAY.

Pfas vietati in Usa, ma non in tutti gli States.

Mentre il Decreto Legge italiano ha messo la testa sotto la sabbia per non scontrarsi con Solvay, la legislatura della California vota per eliminare le “sostanze chimiche eterne” PFAS in pentole antiaderenti, prodotti per la pulizia, filo interdentale, sciolina da sci, imballaggi alimentari e alcuni prodotti per bambini, dopo aver limitato, con più di una dozzina di altri Stati, tessuti, schiume antincendio e cosmetici. Tutti gli States sono concordi che l’esposizione ai PFAS è collegata a numerosi effetti negativi sulla salute, tra cui, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, il cancro ai reni e ai testicoli, danni al fegato e ai reni e danni al sistema nervoso e riproduttivo.
 
Evidentemente non tutti, se si parla di “scandalo New Mexico” (come si parla di “scandalo Italia “). In quello stato, da anni tra i più contaminati degli USA, la situazione è  grave, come è emerso anche da un rapporto pubblicato nel mese di agosto, esito del New Mexico PFAS Blood Testing Project. Lo studio è finalizzato alla presenza dei Pfas nel sangue delle persone che lavorano o risiedono vicino alla base aeronautica militare di Cannon; la quale ha infatti rilasciato, per anni, tonnellate di schiume antincendio, che hanno contaminato le falde acquifere, compresi cento pozzi privati e almeno uno pubblico, quello di Clovis, che serve una cittadina da 40mila abitanti. Anche con concentrazione di PFAS pari a 27mila volte quella considerata massima dalla Environmental Protection Agency (EPA).
 
Il risultato dell’analisi del sangue di 628 persone ha così confermato che nel 99% dei casi erano presenti PFAS (PFOS, PFOA, PFHxS e PFNA) con concentrazioni anche tre volte la media nazionale. Secondo l’Environmental Working Group una situazione simile si ritrova in molte zone contaminate dalle schiume antincendio, e cioè, oltre alle basi militari, in quelle vicine alle caserme dei pompieri e a industrie che, per vari motivi, le usano. E’ quello che per i vigili del fuoco è successo in Italia, dove per anni si è fatto finta di nulla.

Quanti PFAS rilascerà il ponte di Messina?

La Calabria è una delle regioni con le più alte percentuali di campioni di acqua potabile positivi ad almeno un PFAS, 92% contro 79% della media italiana. E quando si decideranno a fare un biomonitoraggio sui calabresi, troveranno Pfas in almeno il 95% del sangue degli abitanti.  Per quanto riguarda i siciliani, uno studio dell’Università di Catania aveva dimostrato la presenza di PFAS in tutti i 61 bambini di età 6-11 anni studiati, in quantità che suggerivano un’estesa esposizione a queste molecole. Per i calabresi non siamo a conoscenza di studi che abbiano analizzato il loro sangue alla ricerca dei PFAS.
 
Ma perché dobbiamo preoccuparci tanto dei PFAS e cosa c’entrano con il ponte sullo Stretto? Ce lo spiega il dottor Vincenzo Cordiano, ISDE Medici per l’Ambiente, uno dei maggiori esperti in materia. Clicca qui.

A parte gli ignoranti, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Ci contesta Carlo Alberto Stator casartor@yahoo.it:
 
>>Una quantita’ enorme di inquinamenti ha afflitto (ed affligge ancora,
anzi, sempre di piu’) la pianura padana. Acqua, aria, terreni,
agricoltura, alimentazione, eccetera.
L’industrializzazione del nordest, inutile nascondercelo, ha minato
pesantemente la salute dei cittadini.
Io credo che il tema PFAS sia un “di cui”, un dettaglio, forse nemmeno
il piu’ importante, come qualcuno vorrebbe farci credere.
Attribuire quindi ai PFAS malattie che hanno mille origini diverse,
facendo finta che tutto dipenda per forza dai PFAS, e’ una comoda
falsificazione della realta’. Comoda sappiamo per chi.>>

Mucche diventate animali velenosi.

Non solo le fabbriche, esempio Solvay che scaricano in atmosfera e nelle acque, ma per la catena alimentare umana il suolo agricolo è una grande fonte di PFAS.
 
L’inchiesta in Usa, nel Maine, quando si è appurato che una fattoria, convinta di produrre biologicamente, stava invece allevando mucche avvelenate dai Pfas. Hanno scoperto che decenni prima i campi erano stati fertilizzati con fanghi di depurazione contaminati da Pfas (devastante pericolo ancora non controllato in Italia). Dunque, le mucche si erano avvelenate pascolando il foraggio avvelenato, avvelenato al pari di frutta e verdura (in particolare a foglia larga), e ovviamente delle uova del pollame. Dunque, il latte delle mucche era contaminato e neppure la carne di manzo macellata era commestibile, pericolosa come cancerogena soprattutto per i bambini. Così dichiararono gli scienziati del Dipartimento dell’Agricoltura. Dunque l’allevamento fu chiuso.
 
Lo Stato del Maine sta testando sistematicamente le aziende agricole per rilevare l’eventuale presenza di PFAS. Uno studio del 2021 ha stimato che il mangiare anche solo un ravanello coltivato in un terreno con dei livelli elevati di PFAS potrebbe significare superare il limite di esposizione giornaliera prevista dalle linee guida.

Il 2026 è alle porte. Snodo cruciale per i Pfas della Solvay.

IL GRANDE FRATELLO SOLVAY

Proprio temendo il contagio di una sentenza al processo Miteni, che -“storica”-  a Vicenza c’è davvero stata pur con luci e ombre  *1 (clicca qui), da Bruxelles, casa madre Solvay, l’amministratrice delegata di Syensqo, Ilham Kadri, aveva fissato con tutto il management l’imperativo de “il grande fratello”:  fermare il mondo,

“arrêter le monde”, attorno allo stabilimento di Spinetta Marengo, fino alla fatidica data del 2026.
Sul versante della magistratura,

ad Alessandria la Procura, malgrado le urgenze dei nostri esposti-denuncia, ha avviato il processo-bis SOLO nel 2024 e con un rinvio a giudizio che NON contempla il reato di dolo. A sua volta, Solvay ha ritardato le udienze con espedienti: ricusazione del “Giudice dell’udienza preliminare”, cambio dello staff legale. Poi, la mossa determinante è stata la proposta strategica di Patteggiamento *2 (clicca qui), incentivata dal Sindaco e incentivata dal Sindaco e  agevolata dal GUP con lo slittamento di un altro anno. E Solvay ha così traguardato il 2026 senza che in concreto sia iniziato il processo (dal quale peraltro avrebbe poco da temere considerati i blandi capi di imputazione): procedimento penale che -ammesso e non concesso che non sia strozzato da rito alternativo- durerebbe comunque tutto un decennio, fino alla Cassazione. Insomma, il classico  Delitto Perfetto *3 (clicca qui e qui) del rito penale, celebrato nell’ambito della “giustizia di classe” che premia l’inquinatore.

Sul versante della politica locale,

dove, con i lavoratori usati come scudi e la subalternità dei Sindacati, vanno in onda l’ennesima parodia dell’Osservatorio ambientale comunale, la “melina” ostruzionistica in Conferenza dei Servizi per il rinnovo dell’AIA Autorizzazione Integrata Ambientale, e soprattutto lo scandalo del Patteggiamento. Insomma, a livello locale il traguardo del 2026 è ormai superato.  D’altronde, era del tutto ipotetico il pericolo che il Sindaco, quale massima autorità sanitaria locale, agisse con una ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti. E, difatti, pretestuosamente il “primo cittadino” ha preferito eclissarsi dietro il Parlamento e dietro la Regione Piemonte; anzi, ha fatto di peggio: da apripista ai Patteggiamenti con Governo e Regione. *2 (clicca qui).

D’altronde, la Regione Piemonte continua a temporeggiare *4 (clicca qui), in particolare a oscurare i monitoraggi sanitari, ad eclissare l’emblematica “pistola fumante” del crimine, a rallentare -al limite del “surplace- il biomonitoraggio ematico di massa della popolazione provinciale.  Anche se proprio il micro biomonitoraggio in atto nel Comune di Alessandria, per quanto truccato nei tempi e nella dimensione, già dimostra che 9 residenti su 10 hanno i Pfas nel sangue (e non solo). Completamente trascurati restano  gli altri Comuni (Piovera, Cassine, Castellazzo Bormida, Frascaro, Sezzadio, Basaluzzo, Bosco Marengo, Capriata d’Orba, Frugarolo, Castelspina, Casal Cermelli) i cui abitanti erano pur risultati avvelenati nel sangue dai Pfas C6O4 e ADV a seguito del “mini monitoraggio sperimentale” della Regione 5 *(clicca qui

D’altronde, nel favorire lo stallo produttivo e politico della Solvay, la Regione Piemonte fa inevitabilmente mancare i soldi anche per i monitoraggi dell’ambiente in atmosfera e al suolo. 6* (clicca qui).  Al punto che l’Arpa pubblicamente ne paventa addirittura lo stop, malgrado che i picchi dei prelievi stanno confermando il costante aumento di cC6O4, ADV, PFOA e GEN-X, tanto nei Sobborghi che nel Capoluogo e nei Comuni alessandrini.

Tale e quale è questo scandalo piemontese 5* (clicca qui)  che  avviene dopo i pozzi privati chiusi nel Comune di Alessandria dentro e fuori lo stabilimento, dopo la chiusura dell’acquedotto del Comune di Montecastello, dopo la tardiva chiusura di altri due pozzi  del Comune di Alluvioni – Piovera,  dopo che abbiamo denunciato la mancata chiusura dei pozzi dell’acquedotto di Alzano Scrivia, Guazzora e Alzano Scrivia, dopo che  allarmano  le analisi  su dieci pozzi dell’acquedotto di Alessandria,  dopo che  il Bormida è di nuovo inondato da masse di schiume, dopo che traboccano  di schiuma le vasche di raccolta dentro lo stabilimento, dopo che l’azienda addirittura è costretta a fermare un reattore dell’impianto più importante, dopo che perfino la complice Provincia è costretta a fingersi minacciosa con una ordinanza di bonifica eccetera.

Sul versante del Parlamento,

il 2026 è stato praticamente traguardato. I Parlamentari emanano leggi manovrate dalla potente lobby multinazionale Solvay. Infatti, in Senato il pericoloso Disegno di Legge (Crucioli) di messa al bando della produzione e dell’uso dei Pfas è stato definitivamente collocato in soffitta; mentre invece, come previsto  7* (clicca qui) nella complice bonaccia della politica italiana,

il recente decreto legislativo ispirato da Solvay ha ignorato Spinetta Marengo:

è stato cucinato sulla pelle della popolazione di Alessandria.

In quanto, 1°) lo stabilimento di Spinetta Marengo è l’unico in produzione in Italia dei perluoropolimeri, fluoroelastomeri e fluidi fluorurati; 2°) l’inquinamento di Spinetta Marengo non riguarda solo i Pfas, che ne rappresentano appena la punta dell’iceberg; e 3°) la contaminazione da Pfas in atmosfera è ancora più grave di quella sulle acque di superfice e di falda: in atmosfera dalle 72 ciminiere dolosamente continuano sulla provincia a ricadere -in aria terra acqua- 21 veleni tossici e cancerogeni (tra cui  i vecchi e i nuovi Pfas), respirati, disciolti nella nebbia, nella pioggia, nel pulviscolo atmosferico, nelle polveri sottili.

Che l’atmosfera di Alessandria è avvelenata dalla Solvay non  solo politicamente ma anche chimicamente 8* (clicca qui) l’abbiamo dimostrato più volte e, con l’esposto del 7 aprile 2023 via PEC avevamo proprio chiesto alla Procura di intervenire. A sua volta, il DDL Crucioli avrebbe fermato le produzioni Solvay in Italia e nell’immediato il progredire di malattie e morti fra le popolazioni del territorio, sacrificate invece dal recente Decreto legislativo ispirato da Solvay  9* (clicca qui) e 10* (clicca qui).

Per il resto, il decreto riguarda la qualità delle acque destinate al consumo umano: (a prescindere dai tempi e dai costi dei servizi pubblici) il limite introdotto resta ben lontano dai valori più cautelativi per la salute inseriti da altri Paesi europei; si affianca, dal 2026, a quello previsto dalla Direttiva Europea, il quale però a sua volta non è ritenuto da Efsa sufficiente a tutelare la salute dei cittadini. Insomma, a livello europeo, si discute ma non si conclude, per veto della lobby chimica, una efficace restrizione universale dei PFAS proposta da diversi stati membri. Insomma, non ci sarà la dichiarata stretta sui Pfas prima del 2026, gli appelli sono caduti nel vuoto, vincono le lobby industriali e vieppiù militari (i “forever chemicals” sono  indispensabili nel mercato della guerra in auge *11 (clicca qui).

Insomma, il decreto -modello Meloni-  è la longa manus della lobby chimica trasversale nel Parlamento italiano dove sono state presentate perfino dalle minoranze compromettenti Mozioni *12 (clicca qui).

Addirittura, il decreto è funzionale anche ad accontentare quanti, nei pressi dell’ambientalismo, lo considereranno “un piccolo passo in avanti, un segnale positivo”, dimenticando che, come pur sottolinea Greenpeace, “quando si parla di sostanze cancerogene non esiste alcuna soglia di sicurezza diversa dallo zero tecnico». 

Ma “Arrêter le monde “c’est impossible

In conclusione. Solvay ha vinto? Nel 2026 è concepibile, in pieno centro abitato, questa fabbrica ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale, di cui i Pfas sono la punta dell’iceberg tossico e cancerogeno? Niente affatto. Ormai è impossibile per Solvay oscurare l’entità della letteratura scientifica biomedica internazionale sui Pfas: essa è proporzionale alla crescita di attenzione e di preoccupazione dovuta al combinato-disposto della loro pericolosità ambientale e sanitaria, la loro diffusione globale, nonché la persistenza che caratterizza l’esposizione umana. 

Si tratta di un numero enorme di composti resistenti alla degradazione chimica, biologica e ambientale dovuta alla forza del legame carbonio-fluoro: rimangono nelle matrici ambientali per tempi lunghissimi (da decenni a secoli), si bioaccumulano nel sangue e nei tessuti di esseri umani e animali, l’esposizione umana riguarda praticamente tutta la popolazione mondiale, inclusi feti e neonati, con micidiali effetti sulla salute, anche a basse dosi: il loro quadro complesso e preoccupante cresce col progredire degli studi. Per essi, ci avvaliamo di questa esaustiva Relazione del dottor Fabrizio Bianchi, componente del Comitato scientifico di ISDE Italia.   *13 clicca qui.

Resto convinto che, di fronte a questa immane tragedia sanitaria ed etica, “arrêter le monde” fermare il mondo sarà impossibile anche per “il grande fratello” Solvay. Però gli è possibile -come abbiamo finora esaminato- ritardare, sull’altare dei profitti, la fermata delle produzioni inquinanti dello stabilimento di Spinetta Marengo. Gli è possibile sfruttando le leggi, chi le fa, chi le applica e chi neppure le applica.

In radicale alternativa alla strategia Solvay, resto convinto, e impegnato, che noi possiamo accelerare l’urgenza del salvifico processo di chiusura.

Tramite azioni collettive di lavoratori e cittadini. Possiamo superare l’inidoneità delle sedi penali a fare Giustizia, ricorrendo alle sedi civili: con la class action risarcitoria alle Vittime (come stimolò il Procuratore Generale della Cassazione: “toccate Solvay nel portafoglio”), e con la determinante l’efficacia dell’azione inibitoria collettiva ambientale: quanto mai in linea di principio allineabile alla recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di danni climatici e protezione dei diritti umani *14 (clicca qui).  In USA, per i Pfas gli inquinatori sono toccati nel portafoglio per milioni di dollari *15 (clicca qui).

In Italia, made in Alessandria, avvocati di parte civile (ahimè, anche quelli che patrocinano associazioni ambientaliste e persone fisiche) spingono al patteggiamento piuttosto che alla sentenza di condanna: massimo guadagno di parcella col minimo sforzo, una manna per se stessi, ma a danno etico e morale della Giustizia e delle Vittime, a notevole danno, perché no? anche patrimoniale delle Vittime. 

Lino Balza –  Movimento di lotta per la salute Maccacaro.

1* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/09/luci-e-ombre-nel-processo-pfas-di-vicenza/

2* https://www.rete-ambientalista.it/2025/04/09/il-comune-ha-fatto-da-bulldozer-colpo-di-spugna-della-solvay-sul-processo-e-sulla-messa-al-bando-dei-pfas-premio-miliardario-alla-presidentessa-syensqo/

3* http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3077:le-vittime-non-ottengono-giustizia-nei-tribunali-penali&catid=2:non-categorizzato

3* https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/27/scandalizza-i-comitati-e-le-vittime-il-processo-solvay-di-alessandria/ 

4* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/09/un-altro-dei-tanti-rinvii-pfas-della-regione-piemonte/

5* https://www.rete-ambientalista.it/2024/05/09/altri-pozzi-di-acquedotto-chiusi-ad-alessandria-per-i-pfas-ma-lasl-fa-il-gioco-di-solvay/

6* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/fanno-mancare-i-soldi-per-monitorare-aria-suolo-falde-e-fiumi/

7* https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/21/solvay-manovra-da-sempre-il-parlamento-italiano/

8* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/17/latmosfera-di-alessandria-avvelenata-dalla-solvay/

9* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/il-decreto-legislativo-ispirato-da-solvaysulla-pelle-dellapopolazione-di-alessandria/

10* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/limiti-zero-pfasin-italia-perfinogli-ambientalisti-balbettano-2/

11* https://www.rete-ambientalista.it/2025/07/09/in-piu-la-partita-dei-pfas-va-ben-oltre-la-sentenza-di-vicenza/

12* https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/21/longa-manus-di-solvay-sulla-politica-dalla-destra-alla-sedicente-sinistra-2/

13* https://www.rete-ambientalista.it/2025/08/28/impossibile-oscurarela-letteratura-scientifica-biomedica-internazionale/

14* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/la-cassazione-sulla-tutela-dei-diritti-umani-fondamentali-dei-cittadini-minacciati-dallemergenza/

15* https://www.rete-ambientalista.it/2025/09/03/per-i-pfas-pagheranno-875-milioni-di-dollari/

La truffa del “biomonitoraggio di massa” a colpi di “task force”… al rallentatore.

alla Regione Piemonte.
Non ci siamo mai stancati di denunciare la storica complicità della Regione Piemonte con Solvay per rinviare all’infinito, ben oltre il fatidico 2026, il monitoraggio di massa delle popolazioni a rischio: “pistola fumante” del crimine in corso. Al punto che fummo costretti a provvedere ad analisi private tramite l’Università di Liegi (con risultati angoscianti! e ora in aumento!).
 
La provincia di Alessandria conta 405.288 abitanti. Fra i quali, la Regione Piemonte, tramite Asl, finalmente nel 2024 ha sottoposto a biomonitoraggio PFAS il sangue di… 29 cittadini. Pari allo 0,0071% della popolazione a rischioSi “ascende” allo 0,31% se si considera solo il comune di Alessandria (90.952 abitanti), ma sarebbe fuorviante perché i Pfas del sobborgo Spinetta Marengo sono stati rilevati anche negli altri comuni della provincia: in atmosfera, acque sotterranee, acquedotto, fino al fiume Bormida e dunque al Po.
 
Ebbene, nel sangue di tutte le 29 persone sono stati accertati i Pfas, per 22 addirittura con valori fino a 20 microgrammi/litro e per 6 nientemeno superiori a questo limite di estremo pericolo per la salute: Da anni gli studi scientifici hanno dimostrato che l’esposizione a questi livelli di PFAS può portare a: – Effetti riproduttivi come diminuzione della fertilità o aumento della pressione sanguigna nelle donne in gravidanza. – Effetti o ritardi sullo sviluppo nei bambini, tra cui basso peso alla nascita, pubertà accelerata, variazioni ossee o cambiamenti comportamentali. – Aumento del rischio di alcuni tumori, inclusi quelli della prostata, dei reni e dei testicoli. – Ridotta capacità del sistema immunitario del corpo di combattere le infezioni, inclusa una ridotta risposta ai vaccini. – Interferenza con gli ormoni naturali del corpo, tiroide. – Aumento dei livelli di colesterolo e/o rischio di obesità. [fonte: Environmental Protection Agency USA].
 
Si consideri, poi, che tali patologie tossiche e cancerogene dei Pfas non esplodono in fase acuta bensì erodono il corpo umano in tempi medi e anche lunghi, perchè si immagazzinano nel sangue e negli organi e di lì non si degradano e non si eliminano: sono stati ribattezzati “forever chemicals” “sostanze chimiche eterne”. Appunto, la Regione è stata giuridicamente costretta ad annunciare, per le 29 Vittime accertate, l’attivazione di “un sistema di sorveglianza sanitaria con la possibilità da parte di pediatri e medici di famiglia di sottoporre -tutti gli anni, per anni e anni, vita natural durante- la popolazione esposta alle analisi del sangue periodiche e gratuite, per individuare precocemente gli effetti sulla salute generale dell’organismo”.
 
Per le 29 Vittime accertate!! E per le altre 405.259 potenziali Vittime?? Quanto meno per le altre 90.923?? 
Potenziali? più che potenziali: se si esaminano le storiche analisi epidemiologiche che riproducono le patologie scientificamente attribuibili ai Pfas, a tacere le altre 21 sostanze tossiche cancerogene dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.
 
“Task force” alla piemontese
 
Allora, la Regione Piemonte, a smentire la reiterata accusa di complicità con Solvay per aver rinviato all’infinito il monitoraggio di massa delle popolazioni a rischio, ha avviato nel 2024 nientemeno che una “task force regionale”. E dopo “appena” un anno, l’assessore regionale Federico Riboldi può sciorinare in pompa magna i dati: “Mercoledì 16 luglio 2025 la task force regionale valuterà i risultati in forma aggregata delle analisi sui primi 300 [sic] maggiorenni residenti entro i tre chilometri dal polo chimico di Spinetta Marengo. Lunedì 21 luglio alle 21 all’Auditorium del Marengo Museum di Spinetta Marengo, ci sarà un incontro pubblico per approfondire il tema e illustrare le modalità di ritiro dei referti e di adesione al biomonitoraggio. A oggi, hanno già effettuato il prelievo oltre 450 [sic] cittadini, e oltre 700 [sic] hanno completato la preadesione online”.
I risultati sono presentati col sorriso sulle labbra. Il 9% (tra cui bambini ma in prevalenza maschi, ultrasessantenni e in pensione, cioè ex dipendenti) ha nel sangue oltre 20 ng/ml di Pfas, dieci volte più della “prima soglia” di 2 ng/ml. Qualcuno si avvicina a 40; solo il 4% è “sottosoglia”. Insomma, il 96% dei residenti li ha nel sangue. Per Pfas si intendono il vecchio Pfoa e i nuovi (a suo tempo né dichiarati e autorizzati) ADV, C6O4, GenX. L’assessore Riboldi ha nominato a capo della cosiddetta task force tal professor Luigi Castello     che parla di “soglie”, come se ci fossero limiti più o meno tollerabili di cancerogeni nell’organismo umano, mentre l’unico parametro è LIMITE ZERO. Per lui, sulle televisioni, invece i dati “non sono allarmanti”: tesi antiscientifica assai cara a Solvay sui media e nei tribunali. Cosa volete che sia se oltre 9 persone su 10 registrano nel sangue la presenza degli “inquinanti eterni”? E per il candido Castello basta… non consumare prodotti a chilometro zero. Mica chiudere i Pfas (a tacere gli altri 20 cancerogeni).
 
Con la faccia di tolla che lo contraddistingue (imitando la Meloni che sciorina un “modello italiano” al giorno), l’assessore Riboldi ha suscitato l’ilarità dei presenti: “L’importante azione messa in campo a Spinetta Marengo è ormai diventata un esempio non solo regionale, ma nazionale (sic). Con determinazione e trasparenza la Regione Piemonte sta portando avanti una serie di iniziative che, proprio partendo dalla frazione alessandrina, puntano alla tutela della salute della popolazione piemontese: da un lato con un biomonitoraggio capillare (sic) della popolazione residente nei pressi di un polo chimico e dall’altro con l’istituzione di un Osservatorio per la riduzione dei Pfas per garantire la protezione ambientale”.
Va da sé che il monitoraggio di massa avrà bisogno di tempi lunghi e dunque l’imbonitore ha promesso “un ulteriore livello di monitoraggio pluriennale non solo per i Pfas ma anche per gli altri 20 contaminanti ambientali tossici e cancerogeni”. “L’obiettivo della Regione è arrivare a monitorare 2.400 persone entro tre anni, il 30% della popolazione”. La quale, se la matematica non è una opinione, ammonta in provincia di Alessandria conta 405.288 abitanti, non a 8.000. Comunque: 8.000 in 9 anni. Tutto al rallentatore.
 
Ovviamente, “campa cavallo” anche per la loro eliminazione dal territorio e la successiva bonifica, non si parli di chiusure di produzioni: “Ci affidiamo al dialogo, al   cronoprogramma di interventi da parte dell’azienda”. Bontà loro.
E con noi Riboldi osa affermare “La vostra battaglia è anche la mia”. Vade retro ribaldi. Riboldi, tramite il rallentatore di far mancare soldi per monitoraggi sanitari e ambientali, altro non fa che attuare la strategia atta a favorire Solvay (detta “ralenti” a Bruxelles).

Fanno mancare i soldi per monitorare aria, suolo, falde e fiumi.

Per favorire lo stallo produttivo e politico della Solvay, la Regione Piemonte fa mancare i soldi sia per il biomonitoraggio della popolazione, che per i monitoraggi dell’ambiente.
 
Arpa (il dipartimento di Alessandria diretto da Marta Scrivanti) ha comunicato ai sindaci che è finita la fase sperimentale riguardante il monitoraggio ambientale messo in atto dal 2021: cioè i controlli sui filtri Pm 10 che vanno a cercare i Pfas presenti nel particolato atmosferico (quello che respiriamo), nonché sui deposimetri che misurano i Pfas al suolo e sulle coltivazioni derivanti dalle emissioni di polveri e pioggia.
 
Bisognerebbe passare dalla fase sperimentale ad un controllo continuo, eppure Arpa non ha la forza economica per sostenere 280 mila euro all’anno (costo che, peraltro dovrebbe essere addossato a Solvay).
 
Il controllo dell’ambiente rischia lo stop proprio mentre le analisi già dei primi tre mesi del 2025 hanno fatto registrare la presenta di Pfas nell’aria con picchi importanti soprattutto nella zona di Spinetta Marengo (via Genova e Strada Bolla). Il campione di C6O4 a febbraio-marzo 2025 ha evidenziato la concentrazione maggiore dell’intera serie storica (da marzo 2022). Un range che va da 0,476 a 8.365 ng/m3.
 
I campioni del periodo gennaio-maggio 2025 hanno confermato la presenza costante di cC6O4, nonché di ADV, PFOA e GEN-X nel sobborgo di Spinetta, ma anche di C6O4 nel capoluogo di Alessandria (stazione via Volta) e nel sobborgo di Lobbi (in un range da 0,1 a 0,244 ng/m3): entrambi neppure sottovento, e addirittura da 0,019 a 0,14 ng/m3 nel distante Comune di Montecastello (dove è stato chiuso l’acquedotto).

Il decreto legislativo ispirato da Solvay. Sulla pelle della popolazione di Alessandria.

Come per l’amianto, le leggi protettive contro i Pfas (di prevenzione e per il principio di precauzione) sono mancate, e nel frattempo a pagare sono già state le comunità più esposte (Veneto e Piemonte).
 
Il Disegno di Legge (Crucioli) di messa al bando della produzione e dell’uso dei Pfas è stato definitivamente riposto in soffitta. Invece, nella bonaccia della politica italiana, è varato il recente decreto legislativo ispirato da Solvay. Il quale è fatto sulla pelle della popolazione di Alessandria! Infatti, 1°) lo stabilimento di Spinetta Marengo è l’unico in produzione in Italia; 2°) l’inquinamento di Spinetta Marengo non riguarda solo i Pfas, che ne rappresentano appena la punta dell’iceberg; e 3°) la contaminazione da Pfas in atmosfera è ancora più grave di quella sulle acque di superfice e di falda: in atmosfera dalle 72 ciminiere dolosamente continuano sulla provincia a ricadere -in aria terra acqua- 21 veleni tossici e cancerogeni (tra cui  i vecchi e i nuovi Pfas), respirati, disciolti nella nebbia, nella pioggia, nel pulviscolo atmosferico, nelle polveri sottili.
 
Che “L’atmosfera di Alessandria è avvelenata dalla Solvay” (clicca qui) l’abbiamo dimostrato più volte e, con l’esposto del 7 aprile 2023 via PEC avevamo chiesto alla Procura di intervenire. A sua volta, il DDL Crucioli avrebbe fermato le produzioni Solvay in Italia e nell’immediato il progredire di malattie e morti fra le popolazioni del territorio, sacrificate invece dal recente Decreto legislativo.
 
Il Decreto legislativo 19 giugno 2025, n. 102 non va oltre all’attuazione della direttiva europea 2020/2184 del 16 dicembre 2020, riguardante la qualità delle acque destinate al consumo umano, al tempo cioè dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) che stabiliva l’assurdo della soglia di sicurezza per i PFAS (DST – Dose Settimanale Tollerabile di gruppo) pari a 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo alla settimana che, tradotto per un adulto di 70 kg, significava poter assumere non oltre 308 ng di PFAS alla settimana. Né va oltre al Regolamento UE 2023/915 che stabilirà, da agosto 2026, per alcuni Pfas limiti massimi di contaminazione ammessi in alcune categorie di alimenti (uova, prodotti ittici, carni di diversa origine).
 
Il decreto, ispirato da Solvay, è funzionale ad accontentare quanti, anche nei pressi dell’ambientalismo, lo considereranno “un piccolo passo in avanti, un segnale positivo”, dimenticando che, come pur sottolinea Greenpeace, “quando si parla di sostanze cancerogene non esiste alcuna soglia di sicurezza diversa dallo zero tecnico».
 
Il limite introdotto è pari a venti nanogrammi per litro e riguarda la somma di quattro molecole – Pfoa, Pfos, Pfna e PfhxS – di cui sono già noti i pericolosi effetti per la salute umana e ambientale.  L’Italia si mette al passo con alcuni paesi europei come la Germania, che ha introdotto lo stesso limite, ma resta ben lontana dai valori più cautelativi per la salute umana inseriti da altri Paesi come la Danimarca (due nanogrammi per litro) o la Svezia (quattro nanogrammi per litro).
 
 Inoltre, il decreto inserisce un limite pari a dieci microgrammi per litro (diecimila nanogrammi per litro) per il Tfa oggi considerato il Pfas più abbondante e diffuso sul pianeta.
 
Quanto previsto dal nuovo decreto, affiancherà il limite di venti nanogrammi per litro previsto dalla Direttiva europea (pari a cento ng/L per la somma non più di ventiquattro, come prevederebbe la direttiva europea, bensì trenta molecole, includendo le sei sostanze prodotte dalla ex Solvay di Alessandria), che entrerà in vigore in Italia dal prossimo 12 gennaio. Tuttavia, per l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e l’Agenzia europea per l’ambiente il limite proposto da Bruxelles non basta per tutelare la salute dei cittadini.
 
A livello europeo, è in discussione una possibile restrizione universale dei PFAS ai sensi del regolamento REACH, proposta da diversi stati membri. Alcuni paesi dell’UE hanno adottato limiti nazionali più severi per determinati PFAS o gruppi di PFAS rispetto a quelli previsti dalla direttiva europea. Sebbene l’Italia si stia allineando ai requisiti minimi delle direttive UE, in Europa si osserva una tendenza verso regolamentazioni nazionali più stringenti e un potenziale futuro divieto a livello comunitario dei PFAS.
 
Da tenere d’occhio, ma non certamente definibile una “spada di Damocle”, anche perché non c’è fretta nel suo iter, è la proposta dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di restrizione generalizzata di circa 10.000 PFAS in tutti gli usi non essenziali, con fasi temporali di divieto o limitazioni da 18 mesi a 12 anni in base alla criticità e disponibilità di sostanze alternative. Finora, il Pfoa è soggetto a restrizioni dal 2020 e più recente il regolamento UE del 2019 prevede il divieto o la restrizione dell’uso e della produzione di PFOS, PFOA e altri PFAS e lo smaltimento sicuro delle sostanze già presenti nei prodotti, con tempi di efficacia che si annunciano lunghi ai fini della riduzione del rischio per la salute.

Limiti zero Pfas in Italia: perfino gli ambientalisti balbettano.

L’unico provvedimento legislativo atto a risolvere il disastro ecosanitario dei Pfas in Italia è stato il Disegno di Legge ex Cinquestelle: l’unico che prevedeva limiti zero, cioè la messa al bando dei cancerogeni. Dunque, l’unico che presumeva la fermata della Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria): produttrice monopolista nazionale. E proprio per questo motivo, il DDL Crucioli è stato sepolto in Senato. E proprio dalla lobby chimica capitanata da Solvay Syensqo, che controlla il Parlamento italiano ed europeo.
 
La longa manus di Solvay sul governo, infatti, ha prodotto il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri al Senato, per poi passare al vaglio delle Commissioni parlamentari. Confezionato apposta per garantire alla multinazionale la prosecuzione delle attività che stanno sfasciando il territorio alessandrino, il decreto per la presenza di Pfas nelle acque potabili stabilisce limiti superiori di ben 10 volte a quelli introdotti cautelativamente in Danimarca: 2 nanogrammi per litro. Limiti che, ripetiamo, per queste molecole cancerogene note come “inquinanti eterni” dovrebbero essere Zero, piuttosto che l’applauso al governo dei Verdi, e i balbettii della stessa Greenpeace, che genericamente chiede “limiti più bassi”.
 
La longa manus della lobby chimica è trasversale nel Parlamento italiano dove sono state presentate dalle minoranze compromettenti Mozioni (clicca qui). E’ un controllo che si allunga dal Parlamento europeo, dove la lobby deve bloccare l’Echa (l’Agenzia europea delle sostanze chimiche) che stava a esaminando la proposta di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia di vietare uso e produzione di Pfas (come voleva il DDL Crucioli). Tant’è che proprio in questi giorni la commissaria Ue per l’Ambiente, Jessika Roswall, ha confermato che per la stretta annunciata da Bruxelles sui Pfas bisognerà attendere almeno il 2026. Era questa la linea indicata dal più autorevole lobbista, Mario Draghi, nel documento sulla competitività europea. Smentendo l’Echa: “Esistono già le alternative ai Pfas”, Draghi ha invece sponsorizzato: “I Pfas non sono sostituibili in diversi settori industriali”, riferendosi particolarmente ai settori militari, quanto mai attuali nella corsa al riarmo europea. Prontissimo, proprio nella casa madre Solvay di Bollate (Milano), il ministro Adolfo Urso ha commentato: “C’è un’aria nuova in Europa. Sul ‘modello Meloni’. Una visione pragmatica che affronta la realtà coniugando la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale”. Tradotto: profitti in cambio di salute.
 
A questo punto, sul piede del freno, aggiungiamo i limiti “tecnici” anteposti da Utilitalia, la federazione che rappresenta oltre 400 gestori pubblici dei servizi idrici e ambientali, che segnala difficoltà tecniche e tempi troppo stretti per adeguare gli impianti entro il termine europeo del 2026. Per questo Utilitalia ha chiesto una proroga fino al 2027, a tacere gli elevati costi per rimuovere i Pfas (carboni attivi, osmosi inversa) a spese dei consumatori attraverso le bollette piuttosto che degli inquinatori.

Per i Pfas pagheranno 875 milioni di dollari.

In quello che qualcuno definisce il più grande accordo ambientale mai ottenuto da uno Stato, i giganti chimici Chemours, DuPont e Corteva pagheranno al New Jersey 875 milioni di dollari nei prossimi 25 anni per l’inquinamento da PFAS, le “sostanze chimiche eterne”.
 
In base all’accordo, le aziende inquinatrici, che per decenni hanno consapevolmente contaminato terra e acque, sono tenute a finanziare la bonifica di quattro ex siti industriali, creare un fondo di bonifica fino a 1,2 miliardi di dollari e accantonare una riserva di 475 milioni di dollari per garantire il completamento della bonifica in caso di fallimento o insolvenza di una delle aziende.
 
In Italia, Solvay non paga.

Io, contaminata dai Pfas, ho avuto quattro aborti e due tumori. E ora per mia figlia niente test.

“Io ho abitato 39 anni nella ‘zona rossa’ Pfas della Miteni, mia figlia di 12 anni è nata in una ‘zona gialla’ ma io l’ho allattata per un anno, se sono contaminata io, lo è anche lei. Invece, secondo l’Asl non ha diritto al monitoraggio”.
 
Questa è la testimonianza di Emanuela Franceschetti, che si batte per tutelare la prevenzione della salute della figlia.
 
Al piano di sorveglianza sanitaria regionale per conoscere la concentrazione di Pfas nel sangue: è esclusa sua figlia, che è nata in zona gialla (considerata di minor concentrazione) ma che lei ha allattato. E l’allattamento è, secondo tutti gli studi, il primo veicolo di trasmissione dei Pfas!
 
Stiamo parlando di qualcosa in più che di “sospetti”: l’Oms Organizzazione Mondiale Sanità ha inserito i Pfas tra le sostanze cancerogene e gli studi degli endocrinologi (es. Carlo Foresta) indicano infertilità e poliabortività come effetti direttamente collegati alla contaminazione da Pfas.

Impossibile oscurare la letteratura scientifica biomedica internazionale.

L’inarrestabile crescita dell’archivio della letteratura scientifica biomedica sui Pfas è proporzionale alla crescita di attenzione e di preoccupazione dovuta al combinato-disposto della loro pericolosità ambientale e sanitaria, la loro diffusione globale, nonché la persistenza che caratterizza l’esposizione umana. 
Si tratta di un numero enorme di composti resistenti alla degradazione chimica, biologica e ambientale dovuta alla forza del legame carbonio-fluoro: rimangono nelle matrici ambientali per tempi lunghi (da decenni a secoli), si bioaccumulano nel sangue e nei tessuti di esseri umani e animali, l’esposizione umana riguarda praticamente tutta la popolazione mondiale, inclusi feti e neonati, con tanti effetti sulla salute, anche a basse dosi. Il quadro complesso e preoccupante è completato dalla numerosità e varietà di effetti avversi sulla salute, che crescono col progredire degli studi.
 
Per essi, ci avvaliamo della seguente esaustiva relazione del dottor Fabrizio Bianchi, componente del Comitato Scientifico di ISDE Italia.
“Le conoscenze includono, con diverso grado di persuasività, una lunga serie di danni al sistema immunitariodisfunzioni endocrine (tiroide, ormoni sessuali, sviluppo puberale), malattie metaboliche (dislipidemie, obesità, diabete), tumori a reni, testicoli e altri organi. Si ricorda che PFOA è stato classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, la IARC, in classe 1 – cancerogeno per l’essere umano, e PFOS in classe 2B – possibile cancerogeno.
 
Di primario interesse anche le perturbazioni del sistema riproduttivo (alterazioni del ciclo mestruale, basso peso alla nascita, infertilità) e gli effetti neuropsicologici come i disturbi cognitivi, il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), l’autismo e l’ansia nei bambini.
La preoccupazione per la salute prenatale e infantile è alta anche in considerazione della vulnerabilità di feti e neonati a causa della immaturità delle barriere placentare e cerebrale.
 
Fortunatamente gli studi sugli effetti sulla salute delle esposizioni a PFAS in utero e durante i primi anni della vita sono in forte crescita. Tra questi ne voglio richiamare brevemente tre molto recenti su aspetti diversi della salute in età precoce e evolutiva.
 
Uno studio sull’esposoma infantile relativo all’esposizione a sostanze chimiche ha identificato alcune relazioni tra dose e effetti sulla salute nei bambini. Sono state individuate 78 relazioni tra sostanze chimiche ed effetto sulla salute classificate con livello di evidenza “probabile” o “molto probabile”. Tra le relazioni dose-risposta emerse tra 20 sostanze e 17 esiti di salute, tre riguardano l’associazione tra PFAS e il sistema immunitario, il peso alla nascita, gli aborti e deficit comportamentali.
 
Un recente studio di coorte basato sul registro nazionale svedese delle nascite ha messo in evidenza l’associazione tra esposizione fetale alla somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nell’acqua potabile e le malformazioni del sistema nervoso, le anomalie cromosomiche e del sistema urinario. Sebbene sia opportuno rafforzare i risultati e studiare in profondità i meccanismi tossicologici sottostanti, i risultati accrescono la preoccupazione per la salute prenatale e infantile.
 
Mi soffermo maggiormente su un’ampia rassegna sistematica che si è dedicata all’esposizione prenatale e postnatale a PFAS e il potenziale impatto sullo sviluppo cognitivo, comportamentale, linguistico, motorio e sociale del bambino.
 
La revisione ha incluso 61 studi condotti in Nord America, Europa e Asia tra il 2008 e il 2024. La maggior parte delle ricerche ha valutato l’esposizione prenatale tramite sangue materno o cordonale, mentre l’esposizione postnatale è stata stimata attraverso sangue infantile o latte materno. Gli strumenti di valutazione neuropsicologica comprendevano i test standardizzati classici utilizzati in età infantile.
 
Sullo sviluppo precoce (0-3 anni) sono emersi segnali congruenti da parte di numerosi e diversi studi: 17 studi hanno esaminato l’associazione tra esposizione prenatale e tappe evolutive nei primi anni. Il più ampio, condotto a Shanghai ha rilevato associazioni negative tra alti livelli prenatali di PFOS, PFNA, PFDeA, PFUnDA e punteggi cognitivi, linguistici e motori a 2 anni e anche le analisi di miscele hanno confermato un impatto negativo cumulativo per 9 PFAS. Uno studio canadese ha riscontrato effetti avversi di PFHpA e PFDoA sui punteggi cognitivi e socio-emotivi a 6 mesi. Uno studio tramite ASQ (questionario per lo screening dello sviluppo utilizzato per monitorare la crescita dei bambini da 2 a 60 mesi) utilizzato su tre coorti cinesi, ha evidenziato che PFOS, PFHxS e il sostituto 6:2Cl-PFESA erano associati a peggiori abilità comunicative e motorie fino ai 24 mesi di vita.
 
Studi sulle funzioni cognitive in età scolare (6–12 anni) hanno collezionato risultati meno univoci. Sulla possibile relazione con deficit del linguaggio e di memoria si registrano pochi studi. Anche sulle abilità motorie vengono analizzati solo 3 studi, due non hanno identificato associazioni con PFOA e PFOS mentre uno studio europeo ha identificato una relazione tra concentrazioni di PFAS in miscela e peggiore coordinazione motoria fine.
Molto articolato e complesso appare il quadro sul comportamento e le funzioni esecutive. Uno strumento di valutazione delle funzioni esecutive, il BRIEF, è stato usato in sette studi. Alcuni di questi hanno associato PFOS e PFHxS a maggiori problemi di regolazione comportamentale e meta-cognizione, mentre altri non hanno riscontrato associazioni. Studi basati sulla scala per la valutazione del comportamento adattivo, con altri strumenti e questionari per genitori e insegnanti su difficoltà comportamentali ed emotive, hanno mostrato risultati non congruenti. Un solo studio ha associato PFOA a sintomi di iperattività. Sull’ADHD, disturbo neuropsichiatrico che colpisce l’attenzione, l’impulsività, l’iperattività motoria, 11 studi hanno osservato risultati in diverse direzioni, che seppure interessanti necessitano molti approfondimenti. I risultati sull’autismo e le disabilità dello sviluppo sono considerati dagli autori limitati e incoerenti.
 
Interessante notare che alcune analisi delle miscele e dei fattori mitiganti hanno indicato che le combinazioni di PFAS risultano più predittive di effetti negativi rispetto ai singoli composti, e suggerito l’allattamento al seno, la dieta materna (pesce, noci) e l’educazione e stimolazione cognitiva domestica come potenziali fattori protettivi.
 
In generale, gli studi sugli effetti a lungo termine nel periodo adolescenziale risultano ancora scarsi e i sostituti dei PFAS sono poco studiati, nonostante la loro potenziale neurotossicità.
 
Infine, non si può che condividere la necessità di realizzare studi basati su campioni ben dimensionati ai fini della potenza statistica e che considerino adeguatamente i possibili fattori confondenti, in primo luogo lo status socioeconomico e la presenza di sottogruppi vulnerabili.
 
In sintesi, l’evidenza finora acquisita, sebbene ancora limitata, suggerisce che l’esposizione precoce a PFAS è associata a numerosi effetti avversi e gli esiti identificati sono già sufficienti a indirizzare le politiche ambientali verso la protezione dalle PFAS in generale e anche mirata alla fase precoce della vita.
Se da una parte c’è bisogno di ulteriori studi, soprattutto con disegno longitudinale e focalizzati su nuove generazioni di PFAS e su popolazioni vulnerabili, dall’altra non ci possiamo affidare unicamente agli studi ma occorre molto altro.”
 
Difatti, il dottor Bianchi, sembra rispondere al quesito etico: nel 2026 è concepibile, in pieno centro abitato, questa fabbrica ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale? E così anche ISDE concorda con noi: “c’è da chiedersi se e quanto la sede penale sia idonea a dare Giustizia e non siano necessarie anche azioni inibitorie e risarcitorie in sede civile, e una continua mobilitazione civile per bloccare ulteriori vittime e realizzare le bonifiche.

Quanti Pfas sono nei soft drink dentro il tuo frigo.

I Pfas, sostanze perfluoroalchiliche dette inquinanti per sempre, connesse a diverse gravi patologie, sono ormai onnipresenti nell’ambiente e nei prodotti agroalimentari di consumo quotidiano. Diversi studi e test di laboratorio le hanno rilevate anche in alcune bevande. Già nel 2023, una class action negli Stati Uniti era stata avviata dopo che nei succhi Simply Tropical Fruit Juice della Coca-Cola, in indagini indipendenti, erano stati trovati Pfas nonostante il succo fosse pubblicizzato come “naturale”.
 
Il test di agosto del Salvagente ha rilevato Pfas in soft drink acquistati nei supermercati italiani delle marche Sprite, Coca-Cola, Pepsi, Schweppes, Oransoda, San Benedetto allegra, Sanpellegrino, Fanta, Lurisia, Fuze tea, Estathè, Sant’Anna Tè, san benedetto thè e San Bernardo tè.
 
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