Ben oltre pentole antiaderenti e giacche goretex. Ben oltre settori sanitario, siderurgico e metallurgico, packaging, automobilistico, elettronico e energia. La serrata attività di lobbying portata avanti a livello globale da Solvay e dagli altri colossi del settore chimico si esprime in particolare nel settore militare. I PFAS infatti, trovano largo impiego in molti settori industriali strategici, tra i quali spicca quello militare e duale (dual use: civile e militare), che in tempi di guerra come questi ne garantiscono uno status di relativa “immunità”, anche quando è di dominio pubblico che la produzione di queste sostanze cancerogene “forever chemicals” va a discapito della salute pubblica e dell’ambiente.
Gli usi critici dei PFAS sono identificati in quasi tutte le principali categorie di sistemi d’arma, compresi ma non limitati a velivoli ad ala fissa (addestratori, caccia, bombardieri, trasporti, rifornitori di carburante, supporto a terra, senza equipaggio e apparecchiature di supporto associate); velivoli ad ala rotante (da attacco, trasporto, trasporto pesante, ricerca e salvataggio e attrezzature di supporto associate); navi di superficie (combattimento, cacciatorpediniere, portaerei, cutter, mezzi da sbarco); sottomarini; missili (aria-aria, terra-aria, aria-terra, balistica); sistemi di siluri; sistemi radar; e carri armati, veicoli d’assalto e di trasporto per la fanteria.
Il Pentagono è il principale alleato delle lobby industriali: “I PFAS sono fondamentali per raggiungere e centrare gli obiettivi del Dipartimento della Difesa e per molti settori nazionali […]. Collettivamente, azioni normative internazionali e statunitensi per gestire gli impatti ambientali dei PFAS, identificarli ed eliminarli dal mercato, e i successivi cambiamenti del mercato, pongono rischi per le operazioni del DoD Departement of Defence e la catena di fornitura della base industriale della difesa. Inoltre, gli impatti sulla catena di approvvigionamento globale dei PFAS presenteranno rischi per il programma di vendite militari estere del Dipartimento della Difesa e per l’Interoperabilità del North Atlantic Treaty Organization (NATO)”.
Dunque l’industria bellica americana afferma il ruolo di alcuni di questi composti PFAS insostituibile, o difficilmente sostituibile, per cui “occorrerà un decennio o più per trovare validi sostituti”. D’altronde gli USA sono il Paese che spende più di ogni altro in armamenti (nel 2022 la spesa militare degli USA è stata di 877 miliardi di dollari, il 39% della spesa militare globale) e che vanta nel proprio territorio 51 tra le 100 maggiori industrie belliche del mondo (nel 2022 il fatturato delle 100 maggiori industrie belliche del mondo è stato di 597 miliardi di dollari). Di conseguenza, per fronteggiare le restrizioni normative sui PFAS, le lobby industriali degli States si sono riunite, nel 2022, sotto la sigla “Sustainable PFAS Action” (SPAN).
Anche in Europa l’attività di lobbying attorno ai fluoro-composti si fa sempre più martellante, specie dopo l’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo. Infatti, la European Chemical Industry Council (CEFIC, la lobby delle industrie chimiche europee), ha istituito “FluoroProducts &PFAS for Europe ” (FPPFE), riunendo alcuni dei maggiori produttori e consumatori di PFAS, tra cui figurano AGC, ARKEMA, BASF, Bayer, Chemours, Daikin, DU Pont, ExxonMobil, GFL, Merck, Gore, e naturalmente Solvay Syensqo.
Per avere una dimensione del business, si consideri che l’industria PFAS può contare su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e 21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.