Processi Pfas. Ad Alessandria è campo minato.

Molti lamentano di aver ricevuto la mailinglist “Storica sentenza PFAS a Vicenza. Scandalo ad Alessandria” con un articolo (https://www.rete-ambientalista.it/2025/06/27/scandalizza-i-comitati-e-le-vittime-il-processo-solvay-di-alessandria/ ) gravemente mutilato. Riproduciamo il paragrafo compromesso:
Scandalizza i Comitati e le Vittime il processo Solvay di Alessandria.
Pene fino a 17 anni -per dolo– nella storica sentenza “Miteni” di Vicenza. Sono le stesse condanne che nel 2010 la procura di Alessandria (procuratore capo Michele Di Lecce, sostituto Riccardo Ghio) aveva chiesto per il management per il reato di avvelenamento doloso delle acque. Solvay era stata graziata con una mite condanna per colpa.
Il nuovo capo della procura (Enrico Cieri), benchè Solvay a Spinetta Marengo avesse per un altro decennio reiterato il reato (anzi peggiorando il disastro ambientale e sanitario), e ignorando 11 miei esposti che chiedevano di intervenire per dolo, Cieri (con Eleonora Guerra sostituto procuratore) infine ha addirittura rinviato a giudizio Solvay solo nel 2024 e con un blando capo di imputazione per colpa: a carico di due direttori privi di potere decisionale, assolvendo cioè il management e privando degli equi risarcimenti miliardari le Vittime  e la Bonifica.
Dunque, il capo di imputazione del processo bis di Alessandria scandalizza, e ancora più il pasticciaccio del patteggiamento in corso con il Gup (Andrea Perella). Il tutto è raccontato, giorno per giorno, in “Ambiente Delitto Perfetto” (di Lino Balza e Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia) disponibile a chi ne fa richiesta.
Ripetiamolo chiaro e tondo: Alessandria non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie in sede civile.

Le Vittime non ottengono Giustizia nei tribunali penali.

Ripetiamolo chiaro e tondo: Alessandria non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie. Qui, più che altrove, le Vittime rischiano di diventare Vittime una seconda volta. Si consuma drammaticamente il “delitto perfetto”.
 
DELITTO PERFETTO PER SOLVAY
L’idea del “delitto perfetto” ha ossessionato l’umanità fin dai tempi antichi. Il “delitto perfetto” è quel crimine efferato commesso consapevolmente sapendo che, anche quando portato allo scoperto, resterà impunito. Appartengono a questa categoria proprio i crimini contro l’ambiente: più sono potenti gli autori, più mietono Vittime, e più sono assolti nei tribunali penali. Così che le Vittime diventano Vittime una seconda volta (talvolta terza ecc.). Il libro “Ambiente Delitto Perfetto” (di Lino Balza e Barbara Tartaglione, prefazione di Giorgio Nebbia) raccoglie una vasta casistica di delitti italiani. Il terzo volume è interamente dedicato alle Vittime di Alessandria.
Qui, ogni famiglia del circondario del polo chimico di Spinetta Marengo, nei decenni, ha fatto per conto proprio il calcolo di quanti morti e ammalati in più rispetto alle famiglie di parenti e conoscenti più distanti nell’alessandrino. Queste indagini epidemiologiche erano “domestiche” confermate da quelle istituzionali che conteggiavano l’eccedenza enorme di morbilità e decessi. Tutte le volte i giornali fanno grossi titoli: “In Fraschetta si muore di più”. Bella scoperta, lì c’è la fabbrica. Sempre lì, cambiando nome: Montecatini, Montedison ecc. e da venti anni Solvay. Solvay è riuscita a consolidare il secolare disastro ambientale e sanitario, peggiorandolo anziché bonificarlo. Con la complicità di Comune, Provincia, Regione, governi, e malgrado Comitati e Associazioni.
La soluzione è una: è la chiusura delle produzioni inquinanti, per bloccare nel tempo ulteriori Vittime (come per l’amianto). Almeno il sindaco avrebbe avuto la potestà di interrompere la spirale (invece di querelare Lino Balza). Intanto le Vittime si sono moltiplicate: a nessuna di loro è possibile restituire vita e salute. La salute non ha prezzo. Però, accidenti, almeno vada risarcita (esclamò il PG di Cassazione). Non l’hanno fatto -nemmeno quello- i Sindacati a indennizzo dei Lavoratori. Né i Tribunali hanno provveduto per i Cittadini. Né intendono farlo con l’attuale Processo in sede penale.
 
VITTIME UNA SECONDA VOLTA
Facciamo un esempio concreto. Nel primo processo (2010) alla Solvay, la mia associazione aveva chiesto 400mila euro come risarcimento patrimoniale per il bambino (TLD) colpito da leucemia, attribuibile alle sostanze emesse dall’azienda. 978.450 euro per gli eredi del tumore dell’operaio AA E così via, documentando, per tutte le nove persone costituitesi Parti Civili. Per un totale di 2.848.450 euro. Ebbene, il Tribunale evitò di entrare nel merito delle patologie e del prevedibile contenzioso causa-effetto della Difesa, e (2015) sentenziò -per gentile “elargizione”- 10mila euro di risarcimento: indistintamente per tutte le Parti Civili. A quale titolo? A titolo di danno psicologico: da “metus” (timore, paura, preoccupazione, ansia, turbamento emotivo) derivante dal (presunto) comportamento penale di Solvay.
10mila euro per “l’ansia” della famiglia per la leucemia? Per il “turbamento emotivo” del tumore mortale? E così via per tutte le altre Vittime. Questa è la giustizia nei processi penali. Per altro, fu applaudita dagli avvocati -penalisti- dell’accusa, soddisfatti della propria parcella. Benchè inutilmente appellata dalla Procura. (Per inciso: la Bonifica è rimasta lettera morta anche dopo la sentenza del 2019 della Cassazione).
Insomma, il “metus”, paradossalmente, si aspetterebbe a tutti i 300mila abitanti della provincia di Alessandria! E così per i 350mila vicentini, piuttosto che l’irrisorio risarcimento di 15mila euro per quelle poche centinaia di Parti Civili fisiche della odierna sentenza, pur storica, di Vicenza.
 
IL METUS NON E’ GIUSTIZIA, E’ INGUISTIZIA. ABERRANTE PER LE VITTIME.
Ripetiamo chiaro e tondo la previsione: l’attuale Processo bis alla Solvay sarà “antistorico”, destinato com’è ad un risultato analogo al primo, anzi peggio. Anche perché, a strozzarlo, è stato inserito il cappio del “Patteggiamento” tra Solvay e Procura. Contro questo assolutorio patteggiamento, il fronte è rimasto compatto tra i Comitati e le Associazioni ambientaliste (ma con Medicina democratica e Pro Natura spaccate al proprio interno), mentre tra le Parti Civili istituzionali il Comune di Alessandria (per l’elemosina di 100mila euro) ha aperto la breccia a Regione Piemonte e Governo, ai quali il GUP ha concesso niente meno che quindici mesi per mercanteggiare.
E’ comunque pacifico che, con o senza patteggiamento “strozza dibattimento”, la futuribile sentenza non fermerà le produzioni inquinanti – non lo chiede il capo di imputazione- e la bonifica dunque resterà araba fenice. E’ altrettanto vero che la sentenza, con o senza rito abbreviato, ripeterà lo scandalo delle “vere Vittime”, tutte quali non saranno riconosciute i risarcimenti per le morti e le malattie: non lo chiede il capo di imputazione! Questa ingiustizia apparirà addirittura come una beffa perché gli avvocati sono costituiti quali Parti Civili persone fisiche (meno di 300) rinunciando a documentare patologie e cartelle cliniche: essendo queste “vittime fittizie” essi si limitano alle facili elemosine del “metus” (oltre alle parcelle). Diciamo: 10mila euro come nel primo processo. 300 alessandrini pescati tra 100mila, vieni in una lotteria! Totale: 300.000 mila euro di risarcimenti! Una inezia per chi, come Solvay, fa profitti miliardari. In questa aberrante logica del “metus”, semmai, 10mila euro a testa spetterebbero a tutta la popolazione alessandrina a rischio. Limitandoci ai 100mila cittadini del comune capoluogo, il totale dei risarcimenti per Solvay ammonterebbe a 1.000.000.000 di euro. 1 miliardo, rispetto a 300 mila euro, farebbe una bella differenza.
Ma perfino il fantastico miliardo sarebbe immane ingiustizia sul piano etico e morale. Perché le Vittime, morte e ammalate, sarebbero indistintamente “risarcite”: 10mila euro al bambino con la leucemia, nemmeno con un miserabile milione! Questo scempio dell’etica e della morale (sia tramite dibattimento ovvero patteggiamento) può lasciare indifferenti gli avvocati, che lavorano per la parcella, ei politici per le seggiole. Ma non la comunità alessandrina, i Comitati, le Associazioni, i Sindacati. Non la Giustizia con la maiuscola.
 
Si profila un altro delitto perfetto, insomma. Non si tratta di fare moralismo o vittimismo. Bisogna reagire. Bisogna agire. Venire? Ripetiamolo chiaro e tondo (giova): non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni inibitorie e risarcitorie. “Dura lex, sed lex” difficile da tradurre in italiano. 
 

Ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia.

E’ scontata l’indecenza di attribuzioni di vittoria e di autoassoluzioni di politici e amministratori… all’unanimità. Invece, la sentenza Pfas di Vicenza va ad assoluto ed esclusivo merito della popolazione che si è mobilitata. La sentenza per quanto tardiva assume comunque valenza storica perché è la prima che condanna per dolo: pene fino a 17 di reclusione per i manager. Ma è insufficiente per fare giustizia. La Giustizia non si realizza certo con i 50mila euro per organizzazioni ambientaliste o con i 25mila per i sindacati Cgil e Cisl. Mentre sarebbe fondamentale se assicurasse i massimi risarcimenti alle Vittime: le quali, invece, in poche centinaia su centinaia di migliaia, sono state indennizzate con irrisorie 15mila euro.
 
L’altro aspetto nevralgico è la bonifica. Chi la paga? chi e come e quando la realizza? Gli inquinatori?  Il ministero dell’Ambiente, al quale è stato riconosciuto un indennizzo da 58 milioni? La Regione Veneto con i sei milioni di euro di indennizzi? Con i circa 844mila euro di indennizzo all’Agenzia regionale per l’ambiente del Veneto (Arpav)? Con in media gli 80mila euro ciascuno per i trenta comuni della zona rossa?
 
La Regione Veneto ha già speso 2,8 milioni in filtri e nuove reti acquedottistiche e 3,5 milioni per finanziare Arpav. Mai finiti i monitoraggi ambientali.  A cui si aggiungono i costi elevati dei monitoraggi sanitari per 350mila residenti, del dosaggio dei Pfas nel sangue, delle patologie di preeclampsia in gravidanza oltre che malformazioni alla nascita, cancro del rene e del testicolo e della tiroide, malattie cardiovascolari, colesterolo e funzionalità epatica eccetera.  A tacere i costi per le cure.
 
Secondo l’Arpav ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la falda più inquinata d’Italia.  Le altre 16 Regioni già individuate da CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), sono Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Friuli, Basilicata, Liguria, Umbria, Abruzzo, Puglia, Sardegna, Molise e Calabria.

Cento anni di veleni non sono bastati.

La Regione Liguria ha indicato Cengio in Valbormida , con Cairo e Vado Ligure, come possibile sede per un inceneritore (pardon, termovalorizzatore) dove bruciare i rifiuti: la Liguria produce 326 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati l’anno.
 
I sindaci interessati finora hanno detto no, ma qualcuno, forse intenerito dalle compensazioni, pare vacilli.
 
A Vado Ligure, a due passi da Savona, la centrale a carbone – chiusa nel 2016 dopo un’inchiesta giudiziaria – secondo uno studio epidemiologico del Cnr avrebbe causato quasi quattromila morti.
 
A Cairo, il capoluogo della Valbormida con 40 mila abitanti, il paesaggio è ancora ingombro degli scheletri di fabbriche chimiche – come la Ferrania – ormai abbandonate. Qui abbiamo ancora l’Italiana Coke. Il benzopirene ancora all’inizio del 2025 ha mostrato limiti superiori fino a 13 volte ai valori obiettivo.
 
L’Acna ha chiuso nel ’99 (dopo un secolo di lotte contro acido solforico, dinamite, gas tossici per la guerra d’Abissinia, defolianti per il Vietnam, poi coloranti) ma la bonifica di Eni Rewind non è nemmeno finita.
Clicca qui, tratto dal “manuale” di Michele Boato “Quelli delle cause vinte”, il capitolo di Lino Balza “I contadini, con un secolo di lotte, salvano la Val Bormida dall’Acna”.

Rispondo come medico e politico.

 Egregio sig. Balza,
                                 ho letto con attenzione la lettera aperta (https://www.rete-ambientalista.it/2025/05/30/fermare-subito-le-produzioni-inquinanti-di-solvay/) che è stata pubblicata sul sito del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, coinvolgendomi, come medico e come Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, sul problema PFAS.
Ricopro il ruolo di Presidente dal luglio 2022, la mia Commissione ha
affrontato il problema dei PFAS numerose volte, tanto che più del 50%
delle convocazioni è stato dedicato ai composti perfluoroalchilci. In
audizione abbiamo ascoltato più volte: dirigenti del Comune, medici
dell’Ospedale di Alessandria, avvocati delle parti civili nel processo
in corso per presunto disastro ambientale colposo,  rappresentanti
dell’ASL di Alessandria, dell’Arpa di Alessandria e Torino,
dell’Università del Piemonte Orientale, delle associazioni
ambientaliste. Nella prima seduta abbiamo invitato l’ing. Claudio
Lombardi, già assessore all’ Ambiente del Comune, per cercare di dare
continuità al suo lavoro.

Grazie ai lavori della Commissione siamo riusciti a portare in
Consiglio comunale, approvandola all’unanimità, la proposta popolare di
deliberazione presentata da 300 cittadini della Fraschetta, poi
trasformata in un atto di indirizzo e in un ordine del giorno. Sempre in
Consiglio comunale ho presentato una mozione, approvata all’unanimità,
che sollecitava Camera e Senato a produrre una legge quadro sui PFAS.
Negli ultimi mesi in Commissione è passato anche l’approvazione
dell’istituzione dell’Osservatorio sulla qualità dell’ambiente.

Si poteva fare di più? Certamente sì, visto la gravità della
situazione ambientale-sanitaria, che mi preoccupa come medico e come
politico.  Siamo ben consapevoli che se il problema PFAS è il più
urgente da affrontare, ma l’inquinamento della zona data da oltre un
secolo. La presenza ubiquitaria di numerosi composti chimici come il
cromo esavalente, ma l’elenco sarebbe ben più lungo, non è mai stata
affrontata con un’opera di bonifica ambientale.

Riteniamo però che rispetto alla legislatura precedente si siano fatti
numerosi passi in avanti. Le Commissioni comunali non hanno un ruolo
esecutivo, ma di proposta, di controllo, di approfondimento dei
problemi.Stiamo lavorando ad alcune iniziative importanti e alla luce anche
della recente sentenza del Tribunale di Vicenza e delle prese di
posizione di numerosi Ordini dei medici, italiani ed europei, cercheremo
di arrivare a risultati concreti.

La saluto cordialmente, Adriano Di Saverio

Dalla “battaglia di Marengo” alla “battaglia di Spinetta Marengo”.

La battaglia napoleonica di Marengo del 14 giugno 1800 contro gli austriaci viene rievocata ad Alessandria ogni anno. La battaglia di Spinetta Marengo contro i belgi di Solvay viene commemorata ogni giorno negli ospedali e nei cimiteri, ma anche in piazza ad esempio il 14 giugno con il presidio organizzato dal gruppo “Vivere in Fraschetta”, il Comitato che anch’esso si oppone al tentativo di “strozzare” il processo bis per disastro ambientale (il primo sancito dalla Cassazione) tramite   un assolutorio patteggiamento con la Procura da consumarsi addirittura davanti al GUP Giudice Udienza Preliminare.
 
Tra le parti civili, rifiutano apertamente l’idea di patteggiamento Greenpeace, Legambiente, Movimento di lotta Maccacaro, CGIL, ISDE, Comitato Stop Solvay e gli altri Comitati, tra cui Vivere in Fraschetta. Stessa intenzione per il WWF. Ambigue Pro Natura e Medicina democratica. Mentre pesa come un macigno l’accordo (l’elemosina di 100mila euro di Solvay stigmatizzata da tutti) per l’uscita del Comune di Alessandria dal processo: infatti ha lo scopo di fare da apripista ai patteggiamenti con Regione Piemonte e Governo.
 
“Vivere in Fraschetta” raggruppa in particolare i pensionati iscritti alla CGIL nei sobborghi di Alessandria, tant’è che si è rivolta per un intervento al segretario Maurizio Landini, perorando che siano fermate le produzioni inquinanti della Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo. Il 14 giugno, con indosso la maglietta “No Pfas” ha appunto organizzato un presidio per denunciare ancora una volta che nel territorio si registrano i livelli più alti di contaminazione in Italia ad opera dell’unica fabbrica attiva nel Paese.  Non si può continuare a vivere in un territorio inquinato dove la popolazione neppure è sottoposta a monitoraggio di massa, pur in presenza di storiche indagini epidemiologiche che evidenziano  il costante superamento delle  soglie di malattie e mortalità.  

Stop Pfas, anche in ambito sanitario. Senza eccezioni.

“L’unico modo efficace per proteggere i cittadini della UE dall’esposizione ai PFAS è quello di interrompere l’uso dei PFAS. Anche in ambito sanitario”. Lo scrivono associazioni e professionisti del settore medico, tra cui medici, infermieri, operatori sanitari da tutta Europa, in una lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, al vicepresidente esecutivo per l’industria Stéphane Séjourné e alla commissaria all’ambiente Jessika Roswall.
 
Tra i firmatari, soggetti che si occupano della salute delle persone, bambini in particolare: dal Dipartimento di oftalmologia del Centro medico universitario di Leiden, Paesi Bassi, all’International Network on Children’s Health Environment & Safety (INCHES), dalla Società islandese dei medici per l’ambiente al Centre for Sustainable Hospitals danese all’Associazione dei medici di sanità pubblica olandesi; e poi oltre un centinaio di professionisti della salute: pediatri, medici di base, infermieri, anestesisti, endocrinologi…
La lettera giunge mentre l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) discute della proposta di restrizione per circa 10.000 composti della famiglia dei PFAS avanzata da 5 Paesi UE (Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia). Questo dossier “prevede deroghe fino a 13,5 anni per alcuni dispositivi medici”.
 
Deroghe che considerando che la restrizione non entrerà in vigore prima della fine di questo decennio, “le aziende avrebbero fino a 20 anni per eliminare gradualmente i PFAS da alcuni dispositivi medici”.
 
Ebbene, afferma il documento “noi rifiutiamo fermamente l’uso dell’assistenza sanitaria come giustificazione per l’inattività sulla crisi dell’inquinamento da PFAS”.
 
E a chi risponde (l’industria) che nel settore sanitario non esistono alternative, ricordano il lavoro di “colleghi che hanno già iniziato a eliminare gradualmente i PFAS nella loro pratica quotidiana”. Ricordano ad esempio che molte sale operatorie in Europa “hanno già smesso di usare i gas anestetici e sono passate all’anestesia endovenosa” eliminando così le emissioni di gas fluorurati dalle loro pratiche grazie ad una procedura “altrettanto sicura, con meno effetti collaterali”. Un altro esempio di pratiche virtuose PFAS-free è la nuova direttiva olandese che promuove la prescrizione “consapevole del clima”: che incoraggia i medici nella prescrizione di “inalatori a polvere secca invece di inalatori dosati a base di propellenti che si basano sui gas fluorurati”.
Non ci sarebbe dunque ragione, affermano i firmatari della lettera, per fare della filiera dei dispositivi medici un’eccezione al bando dei PFAS“Sosteniamo pienamente la proposta di restrizione universale, compresi i periodi di transizione concessi per i dispositivi medici essenziali. Questa restrizione è necessaria per guidare l’innovazione nel settore e per incentivare e accelerare lo sviluppo di alternative più sicure e sostenibili”

Allarme Pfas? Cambiamogli il nome.

L’ “Unione internazionale della chimica pura e applicata” (IUPAC, l’ente che raggruppa organizzazioni accademiche, singoli scienziati e 70 aziende del settore) vorrebbe cambiare la definizione dei Pfas per evitare blocchi alla produzione, ovvero crollo degli enormi profitti,  come POTREBBE avvenire per la Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo alla luce sinistra dei dati ambientali e sanitari, anzi, come DOVREBBE avvenire secondo le mobilitazioni delle organizzazioni, associazioni e comitati, ma anche di Stati europei, che chiedono di mettere al bando le cancerogene  sostanze perfluoroalchiliche che si accumulano indistruttibili nell’organismi, benchè nessuna sia indispensabile ma tutte sostituibili.
L’intento dello IUPAC, nel quale si intravede la “longa manus” della lobby chimica, è ridurre i parametri, relativi alle caratteristiche chimico-fisiche della famiglia dei Pfas, necessari per vietarli. Il trucco per mantenere il “far west normativo” consisterebbe nel cambiare un atomo per ottenere una molecola diversa, più “leggera”, ma che comunque manterrebbe le stesse devastanti peculiarità della precedente: bioaccumulo, persistenza, mobilità nell’ambiente. La mossa dello IUPAC rientra nella strategia di allungare i tempi di sopravvivenza delle produzioni incriminate, come sta facendo Solvay nel corso del processo penale di Alessandria strozzandolo tramite la manovra del patteggiamento assolutorio con Procura e Parti civili. Insomma, a mano a mano che un Pfas viene dichiarato ufficialmente cancerogeno (Pfoa) è pronto un sostituto (cC6O4, ADV): “a catena corta”, peggio del precedente.
Nello IUPAC è fortemente impegnato il coordinatore italiano, Pierangelo Metrangolo, professore ordinario di chimica al Politecnico di Milano, ma soprattutto, da ben 20 anni responsabile della partnership con Solvay Solexis sui nuovi materiali chimici, impegnandosi a brevettare diversi Pfas, cavillandoli in gruppi e sottogruppi, sofisticandoli  in base a proprietà fisico-chimiche e profili di tossicità, comunque tutti mai definiti “innocui” ma, al più, “meno pericolosi” “meno bioaccumulabili” “meno tossici” “meno cancerogeni”. “L’astuto” accorgimento sarebbe non vietarli ma ridurne le quantità ingerite e inalate. Sul concetto di Metrangolo la più entusiasta (che potremo ascoltare nel processo di Alessandria, se non passerà il rito alternativo) è Patrizia Maccone, lei quanto meno non sospettabile di conflitto di interessi essendo trasparente manager di Syensqo Solvay dopo essere stata responsabile del settore fluoropolimeri di Ausimont.
La manovra dello IUPAC si contrappone alle ricerche sviluppate negli ultimi trent’anni dalla letteratura scientifica internazionale, e infatti  contro di essa  si è schierato il gruppo di scienziati indipendenti pubblicando una lettera sulla rivista scientifica Environmental Science&Technology a difesa dell’attuale definizione di Pfas, adottata dalla Commissione europea: “Il tentativo dello IUPAC è dettato da ragioni politiche ed economiche, piuttosto che scientifiche”

Solvay manovra da sempre il parlamento italiano.

Sono consapevoli che l’unica soglia sicura per la salute è “lo zero tecnico”. Ovvero il divieto assoluto di uso e produzione dei Pfas. Eppure, la potente lobby chimica della Solvay manovra da sempre il parlamento italiano. Piuttosto che la messa al bando di produzione e uso, la Commissione affari sociali del Senato (con il visto della Commissione bilancio) ha, infatti, dato il suo via libera al decreto legislativo che fissa a 20 nanogrammi per litro i livelli consentiti dei Pfas ((PFOA, PFOS, PFNA e PFHXS): una soglia superiore anche dieci volte rispetto ai limiti restrittivi adottati in altri paesi europei, come la Danimarca (2 nanogrammi per litro) o la Svezia (4 nanogrammi per litro). Nonchè ha fissato 10 microgrammi per litro per il TFA (acido trifluoroacetico).
 
Questo benchè l’Italia annoveri gli epicentri più gravi del disastro ambientale europeo legato ai PFAS, in particolare in Veneto (350mila persone esposte) e in Piemonte (che ospita a Spinetta Marengo l’unico stabilimento produttivo). Con tassi di cancro e mortalità superiori alla media nelle aree contaminate. Ma campioni positivi si trovano in ogni regione italiana. E, nonostante l’emergenza i controlli sui PFAS nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche.
 
In questo deficitario contesto, si calerà la direttiva europea 2020/2184 che impone dei limiti normativi a partire dall’inizio del 2026, limiti superati dalle più recenti evidenze scientifiche: quelle ad es. diffuse dall’EFSA, tant’è che l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato che i limiti in via di adozione sono inadeguati a proteggere la salute umana. Infatti, hanno già adottato valori più bassi numerose nazioni europee (Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione belga delle Fiandre),  e gli Stati Uniti … a rischio Trump.

Forever Pollution Project contro la campagna della lobby Pfas.

La situazione europea è talmente intollerabile che 94 organizzazioni europee, che rappresentano milioni di persone, hanno inviato una lettera a Ursula von der Leyen esortandola ad “agire con audacia e chiarezza” contro quello che è diventato il “veleno del secolo” e probabilmente “la più grave crisi di inquinamento che l’umanità abbia mai affrontato”, dunque per vietare i PFAS.
Di fronte c’è la lobby di Solvay & Co. Infatti, Il gruppo europeo di giornalisti Forever Pollution Project ha indagato sulla campagna orchestrata di lobbying e di disinformazione da parte dell’industria PFAS e dei suoi alleati, con l’obiettivo di annacquare la proposta dell’UE di vietare “per sempre le sostanze chimiche” e spostare l’onere dell’inquinamento ambientale sulle società. L’indagine transfrontaliera e interdisciplinare ha calcolato per la prima volta il costo sbalorditivo della “bonifica” della contaminazione da PFAS in Europa se le emissioni rimangono senza restrizioni: 2 trilioni di euro in un periodo di 20 anni, una fattura annuale di 100 miliardi di euro. Questo però solo se smetteremo immediatamente di produrli e diffonderli. Costo a carico pubblico o dell’inquinatore?
Quando si parla di “bonifica” bisogna usare le virgolette, in quanto una bonifica definitiva è impossibile perché i Pfas (molecole a “catena lunga” o, peggio, “corta” o “ultrasonica”) sono praticamente indistruttibili in qualsiasi matrice ambientale (aria acqua suolo pioggia ciminiere rifiuti discariche fogne depuratori falde fiumi agricoltura cibi e bevande), ineliminabili con filtri o incenerimenti, e in definitiva ineliminabili nel sangue umano (già presenti nel feto). Da qui la definizione di forever chemicals, sostanze chimiche eterne. Quello che si può fare è bloccarne la diffusione, mettere in sicurezza le popolazioni. 
Dunque, la soluzione ecologica e sanitaria ed economica è: immediatamente chiudere le fabbriche che li producono ed eliminare i Pfas dall’infinità di oggetti che usiamo nella vita quotidiana (dalle padelle antiaderenti al fino interdentale, passando per   imballaggi alimentari, tessuti antimacchia abbigliamento impermeabile, frigoriferi, condizionatori e perfino inalatori per l’asma eccetera), a tacere gli utilizzi nel settore militare.
Forever Pollution Project ha mappato la diffusione dei PFAS in Europa individuando 23mila siti contaminati, 20 impianti di produzione ancora attivi e più di 21mila siti ritenuti pericolosi. Alla diffusione di questi dati è seguito il tentativo di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia di inserire una “restrizione universale” nel regolamento europeo sulle sostanze chimiche (REACH, Registration evaluation authorisation and restriction of chemicals).
E immediatamente c’è stata la levata di scudi degli lobbisti finanziata dai miliardi del settore chimico (Fluoropolymers Plastics Group: Syensqo Solvay e Arkema in Europa) ma anche dei settori di batterie, tecnologie mediche e farmaceutiche, semiconduttori e altri ambiti manifatturieri, e soprattutto del settore degli armamenti.
Le tattiche usate sono sempre le stesse: studi orientati, finanziati e diffusi dall’industria del settore, lobbying diretto, creazione di reti di alleati a supporto delle aziende, impiego di consulenti e grandi studi legali privi di attendibilità scientifica. Insomma, assomiglia, in tutto e per tutto, alle campagne di boicottaggio nei confronti della legislazione sul tabacco, sui combustibili fossili o sul gas. La lobby insiste particolarmente sulle “deroghe” di esenzione dal bando totale: Solvay Syensqo sui fluoropolimeri di Spinetta Marengo.
Neppure l’appello delle 94 organizzazioni europee pare destinato a fare breccia nella chioma di Von der Leyen, troppo impegnata a fare la guerra alla Russia (anzi, i Pfas sono un business per gli armamenti). Non a caso alcuni paesi, come Francia, Danimarca e Paesi Bassi, stanno già introducendo divieti più rapidi per specifici prodotti contenenti PFAS. Per le acque potabili i limiti attuali delle leggi italiane sono di 0,50 microgrammi (µg/l) per il “Pfas totale” e di 0,10 microgrammi per la “somma di Pfas”, mentre in Danimarca il limite di legge in vigore è di 0,002 microgrammi per Pfoa, Pfos, Pfna, Pfhxs. ll Governo danese stanziando 54 milioni di euro è stato il primo in Europa ad approvare un Piano d’Azione Nazionale per prevenire, contenere e bonificare le contaminazioni da PFAS.  La Francia ha approvato una legge che proibisce l’uso di Pfas per cosmetici, prodotti a base di cera, impermeabilizzanti per abbigliamento, vestiti e prodotti tessili.
Per quanto riguarda in Italia l’attività di lobbing della Solvay sui decisori politici (parlamento, comune, regione ecc.) per influenzare il processo decisionale, stiamo ampiamente documentando.

Longa manus di Solvay sulla politica, dalla destra alla sedicente sinistra.

La potenza PFAS della lobby chimica capitanata da Solvay, in grado di condizionare pesantemente il Parlamento, è di evidenza plastica nel tergiversatore Ordine del giorno presentato alla Camera dai deputati. https://www.camera.it/leg19/995?sezione=documenti&tipoDoc=assemblea_allegato_odg&idlegislatura=19&anno=2025&mese=03&giorno=10.
Viene a malapena citato lo storico avvelenamento aria-acqua-suolo del territorio di Alessandria ad opera dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo: unico sito di produzione PFAS in Italia, della quale la chiusura -immediata- è invece la “conditio sine qua non” per avviare seriamente lo stop della tragedia ecosanitaria dei cancerogeni PFAS. Di conseguenza, non si chiede una legge nazionale di messa al bando –immediata- della produzione.
D’altronde tra i deputati firmatari primeggia Sergio Costa, ex poliziotto, generale dei carabinieri forestali, vicepresidente della Camera, il quale, da “ministro dell’ambiente nei governi Conte I e II”, annunciò più volte e solennemente addirittura di “fissare il limite zero Pfas”, salvo affossare il Disegno di legge di Mattia Crucioli, senatore del suo stesso partito, che metteva al bando in Italia la produzione Pfas (Solvay, Spinetta Marengo) e il suo uso industriale e nei consumi, nonché stabiliva le procedure di bonifica (https://www.edocr.com/v/kv5mnoyz/bajamatase/crucioli-ddl). Costa fu dai Comitati ridicolizzato e contestato in piazza  “Con la salute dei nostri figli non si scherzi”, eppure attualmente è coordinatore nazionale del comitato “Pianeta 2050”, piattaforma interna al M5S che si occupa di politiche ambientali, agricole, alimentari e protezione animali. (sic).

La Solvay: il patteggiamento s’ha da fare. La politica: obbedisco.

Alla prossima udienza del 26 giugno davanti al GUP, è giunto al pettine il nodo del procedimento penale ad Alessandria contro Solvay (Syensqo) per i reiterati reati del disastro sanitario e ambientale. Onde strozzarne condanne e risarcimenti miliardari, già scansati nel primo processo, la multinazionale belga ha proposto alla Procura il patteggiamento e, durante i sei mesi di proroga dibattimentale, ha avviato il mercanteggiamento con le Parti civili affinchè si ritirino.  Il Comune del capoluogo alessandrino, dietro compenso di 100mila euro, prontamente ha aperto la strada a Regione Piemonte e Governo per benevoli accordi, per ora tenuti sottobanco. Nevralgica la posizione della Regione.
 
I Comitati e le Associazioni ambientaliste (non tutte: ambigue Medicina democratica e WWF) hanno chiesto alla Regione, come già invano al Sindaco, di rifiutare ogni patteggiamento, bensì “di bloccare immediatamente la produzione e la dispersione dei Pfas a Spinetta”. “Non ci sono più alibi” dopo la sentenza storica del Tribunale di Vicenza sulla correlazione mortale causa-effetto dei Pfas. Il Comitato Stop Solvay prende, dopo il sindaco, direttamente nel mirino l’assessore regionale alla sanità Federico Riboldi che dalle ribalte cittadine è scomparso da mesi, nascondendosi appunto per patteggiare.
 
A complicare l’arrendevolezza dell’assessore sono subentrate due ulteriori complicazioni. Una è la soluzione scandalizzante dell’Autorità Rifiuti Piemonte di prendere atto che discariche e depuratori non sono in grado di smaltire i veleni, e dunque di sospendere i limiti di legge sugli scarichi industriali, di lasciarli liberi nei corpi idrici e di esportare l’inquinamento da Pfas verso Regioni con normative non restrittive. (Nel dettaglio, clicca qui l’articolo).
L’altra questione, propria di Alessandria, riguarda l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), risalente al 2010, rinnovata nel 2021. Dunque, Solvay era autorizzata a produrre in deroga dal 2020: a condizione che neppure una sola molecola di Pfas ricada in suolo, acqua e aria. Invece, ha prolungato l’attività produttiva oltre il termine decennale previsto malgrado che in questo arco temporale di 15 anni è stato ufficializzato il pesante inquinamento della falda acquifera e dell’atmosfera, peraltro noto agli abitanti della Fraschetta da decenni. La Regione ha scaricato la responsabilità delle drammatiche violazioni sulla Provincia, ovvero sulla Conferenza dei Servizi. 

Greenpeace: no patteggiamenti bensì fermare le produzioni Solvay.

Secondo l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), risalente al 2010, rinnovata nel 2021 dalla Conferenza dei Servizi provinciale, Solvay era autorizzata a produrre in deroga dal 2020: a condizione che neppure una sola molecola di Pfas ricadesse in suolo, acqua e aria. Invece, ha prolungato l’attività produttiva oltre il termine decennale previsto malgrado che in questo arco temporale di 15 anni è stato ufficialmente riconosciuto il pesante inquinamento della falda acquifera e dell’atmosfera, peraltro noto agli abitanti della Fraschetta da decenni.
 
“Il Comune di Alessandria aveva vietato di attingere acqua di falda in una vasta zona intorno al Polo Chimico. Le analisi hanno evidenziato che l’acqua risulta inquinata sia all’interno che all’esterno della fabbrica, fino a notevoli profondità. Indagini successive condotte da Ispra e Arpa hanno inoltre dimostrato che l’inquinamento si trasferisce ai prodotti ortofrutticoli, alle uova e al latte, aggravando ulteriormente la situazione ambientale e sanitaria”.
 
ARPA ha reso pubblici i risultati di una campagna accurata e continuativa di analisi dei PFAS che ricadono sui centri abitati alessandrini e che permeano l’aria circostante -le analisi hanno rilevato la presenza allarmante di queste sostanze anche ben oltre 10 km di distanza dal Polo Chimico- e sta proseguendo le indagini per determinare l’ulteriore estensione dell’inquinamento atmosferico. Le indagini confermano che il dilavamento delle sostanze nocive in Bormida e nelle falde acquifere continua, evidenziando l‘inefficacia della cosiddetta ‘barriera idraulica’, più volte assurdamente citata da Solvay.
 
Ebbene -denuncia Greenpeace con i Comitati– la Conferenza dei Servizi, conclusasi nel 2021 ha autorizzato Solvay ad ampliare la produzione del PFAS cC6O4, nonostante fosse già noto il grave sversamento nelle falde e nelle acque superficiali. “La Provincia, pur consapevole della situazione, date le evidenze riportare da Arpa, ha scelto di privilegiare gli interessi economici dell’azienda, concedendo l’ampliamento e comunicando alla cittadinanza una fantomatica tutela dei loro diritti fondamentali imponendo prescrizioni che si sono rivelate del tutto inefficaci nel contenere l’inquinamento. Ricordiamo che tra le 32 prescrizioni previste per il rilascio dell’Autorizzazione, la prima prevedeva che nessuna molecola di inquinante sarebbe più dovuta fuoriuscire dallo stabilimento: a quattro anni di distanza sappiamo con certezza che quella prescrizione non è mai stata ottemperata”.

Oggi Comune, Provincia e Regione dispongono di una significativa quantità di dati e studi scientifici che offrono l’opportunità di prendere una decisione storica e finalmente responsabile: pretendere che ogni emissione venga azzerata in ogni matrice, in acqua, nel suolo e in atmosfera; non permettere che questi impianti continuino a produrre PFAS .
 
Questa, in Conferenza dei Servizi” riaffermano Greenpeace e Comitati “è l’unica scelta davvero lungimirante per tutelare il territorio e la salute delle persone. Permettere la prosecuzione della produzione significherebbe continuare ad esporre deliberatamente la popolazione ai rischi di contaminazione da sostanze altamente persistenti. Bloccare l’attività di produzione di PFAS dell’impianto è un atto di responsabilità istituzionale, un segnale concreto che la salute pubblica non è più negoziabile”.
 
Ha negoziato il sindaco di Alessandria, piuttosto che esercitare il suo ruolo di massima autorità sanitaria locale (e mentre querela Lino Balza per diffamazione a mezzo stampa). Sta negoziando la Regione. “Mentre decine di cittadini apprendono di avere il sangue contaminato, le istituzioni continuano a dimostrare di non avere le giuste priorità, discutendo su cavilli tecnici del tutto irrealizzabili e contribuendo deliberatamente al danno verso la salute di tutta la cittadinanza”.

Fermare subito le produzioni inquinanti di Solvay.

Lettera aperta a Adriano Di Saverio, presidente della Commissione Ambiente e Sicurezza del Comune di Alessandria.
 
Egregio dottor Adriano Di Saverio,
 
prima ancora di riconoscersi presidente della “Commissione Ambiente e Sicurezza” del Comune di Alessandria, sono convinto che Lei innanzitutto risponda ai “principi etici che guidano la professione medica sulla tutela della salute individuale e collettiva”. Dunque, “per agire con spirito di solidarietà mettendo a disposizione le proprie competenze in situazioni di emergenza e calamità che gravano sul territorio”. 
 
Il territorio è quello di Alessandria su cui incombe il disastro ambientale e sanitario. Della gravità del quale Lei ha piena conoscenza: sia per ben due procedimenti penali nei confronti di Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo; sia per la sentenza del tribunale di Vicenza sulla relazione causa-effetto nocività Pfas;  sia per le numerose indagini epidemiologiche morti-ammalati ASL di cui l’ultima del 2019; sia per tutti i catastrofici campionamenti aria-acqua-suolo documentati da ARPA; sia per gli astronomici referti ematici (Pfas) contenuti nelle cartelle cliniche dei lavoratori Solvay; sia per le catastrofiche analisi (Pfas) dell’Università di Liegi; sia per l’altrettanto (rallentato) monitoraggio Pfas pubblico; sia per il diktat del  Comitato Tecnico Regionale (Vigili del fuoco, Regione Piemonte, Arpa, ASL, Provincia e Comune di Alessandria) sul sistema di gestione della sicurezza interna ed esterna dello stabilimento Solvay; sia per il  delittuoso “colabrodo” dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) in deroga dal 2020, anzi 2010, denunciato da Greenpeace e Comitati e perfino dal partito suo e del sindaco; sia per l’esplicito confronto pubblico con noi associazioni e comitati; sia per la convincente voluminosità della documentazione scientifica internazionale peraltro a sua disposizione su il Sito e la mailing list del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”; sia per i grandi rilievi mediatici nazionali su Spinetta e Pfas (vedi Greenpeace); eccetera.
 
Per queste Sue ineludibili consapevolezze Lei, dati alla mano che non lasciano onesti spazi al dubbio se esista un collegamento tra inquinanti e malattie: al riguardo si legga la sentenza del tribunale di Vicenza che ha certificato il decesso collegato alla contaminazione da Pfas, Lei si è espresso nell’intervista su “Il Piccolo”: “La sensazione è che la gente della Fraschetta abbia a che fare con un problema ambientale serio”. Anzi, “esprime la propria preoccupazione perché i dati mostrano evidenze di alti livelli di Pfas nelle matrici ambientali”.
 
Ebbene, egr. Di Saverio, quale medico: libero per giuramento di Ippocrate da condizionamento politico, Lei non ritiene di fare un passo in avanti? Come ha fatto da tempo “ISDE Associazione Medici per l’Ambiente”, come ha fatto l’ “Ordine dei medici di Torino” (Omceo), che non hanno paralizzanti dubbi sulla cancerogenicità dei Pfas (“nuovo amianto: professor Philippe Grandjean dell’Università di Harvard) prodotti e diffusi aria-acqua-suolo da Solvay Spinetta Marengo: unica attività produttiva in Italia. Insomma, Lei non ritiene quale medico (ancor che autorevole politico, anche se non la massima autorità sanitaria locale) che la situazione di emergenza ambientale e sanitaria di Alessandria debba essere affrontata assolutamente con provvedimento urgente che, oggi e non domani, e senza scaricabarili, alla luce del sacrosanto principio di precauzione elimini all’origine gli estremi pericoli che gravano sulla salute dei cittadini, cioè fermi le fonti di avvelenamento che stanno uccidendo e ammalando? Ogni minuto che passa è paralisi imperdonabile. Non resti a guardare.
 
Lino Balza – Movimento di lotta per la salute Maccacaro.

Basta chiudere gli occhi sui Pfas.

Lettera aperta degli scienziati all’Unione Europea.
Chiudere un occhio e rimandare l’azione ai prossimi decenni o introdurre nuovi modi per aggirare: non fa che aggravare il problema e creare una sfida sociale, ambientale ed economica molto più grande per il futuro.
Oltre 450 scienziati e scienziate di tutta Europa, coordinati dall’European Environmental Bureau (EEB), hanno chiesto all’Unione Europea di aggiornare rapidamente gli standard di inquinamento dell’acqua per affrontare adeguatamente le sempre più numerose fonti di contaminazione chimica, PFAS inclusi.
A sostegno dell’iniziativa hanno partecipato anche una quarantina di ricercatrici e ricercatori italiani, tra cui Roberto Romizi, presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia, Serge Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, Vanessa De Santis, rappresentante di European Fresh and Young Researchers (EFYR), forum dei giovani ricercatori e ricercatrici nel campo delle acque dolci in UE, e Alfieri Pollice, ricercatore capo dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque del CNR di Bari.
Clicca qui la lettera aperta.

In Italia due delle più gravi contaminazioni da PFAS a livello europeo.

Due gli epicentri. La Miteni di Trissino in Veneto e la Solvay di Spinetta Marengo in Piemonte. La Miteni  è chiusa dal 2018. Solvay è l’unica produttrice di Pfas in Italia. Clicca qui le storie.
Il  Dossier “Pfas. Basta!” è disponibile on line a chi ne fa richiesta. In tre volumi Lino Balza racconta la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi 2025 ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comune, Provincia, Regione, governo, Asl, Arpa, sindacati, magistratura e giornali, che ha ora raggiunto il culmine con la querela del sindaco di Alessandria a Balza… per diffamazione a mezzo stampa.

Finalmente i controlli Pfas ai vigili del fuoco.

Quando già lo studio dell’Università dell’Arizona Health Science ha scoperto che i pompieri -esposti ai Pfas dalle schiume antincendio e dall’abbigliamento composto da tessuto ignifugo-  sono i lavoratori con il più elevato tasso di PFAS nel sanguefinalmente la Direzione nazionale dei Vigili del fuoco suona l’allarme alle Direzioni regionali e interregionali dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, invitandoli a segnalare qualsiasi caso di contaminazione da Pfas, così da poter sottoporre il personale a screening e verificare problemi all’organismo. “Successivamente si procederà ad un monitoraggio ambientale (acqua ed aria) all’interno delle sedi di servizio (locali interni ed aree all’aperto) dei Comandi interessati, per poi procedere, qualora risultasse la presenza di inquinamento ambientale da Pfas, all’effettuazione di uno studio sul personale potenzialmente esposto con le stesse modalità (esame del sangue e del capello del personale vigile del fuoco su base volontaria)”.  Il documento è stato inoltrato anche alle organizzazioni sindacali territoriali e all’Osservatorio bilaterale per le politiche sulla sicurezza sul lavoro e sanitarie del Corpo dei Vigili del fuoco.
 
In Italia i vigili del fuoco sono stati particolarmente colpiti da una vicenda che ha registrato, tra il 2022 e il 2023, il decesso per tumore al cervello di quattro loro uomini, che avevano lavorato ad Arezzo. Si è attivata anche l’Associazione Medici per l’Ambiente (Isde) che ha presentato denunce in 35 Procure della Repubblica italiana, chiedendo di aprire inchieste sui danni causati dai Pfas alla salute umana.

Il TFA della numerosa famiglia dei PFAS. Nel rubinetto, nel vino e nell’acqua minerale. 

Sei minerali bocciate, di cui cinque a causa della presenza di TFA (acido trifluoroacetico), una sostanza che fa parte della famiglia degli PFAS. Sono questi i principali risultati dell’ultimo test di Altroconsumo su 21 marche di acqua minerale naturale, provenienti da diverse zone dell’Italia (più la Evian, che sgorga dalle Alpi francesi). Uno dei parametri di valutazione dell’inchiesta, infatti, era proprio la presenza dei Pfas.
 
Il TFA è un inquinante persistente derivato dalle attività industriali, che si accumula nell’ambiente e resiste ai processi di degradazione naturale, che in precedenza, è già stato ritrovato nell’acqua minerale, di rubinetto e nel vino. I prodotti bocciati da Altroconsumo ne contengono quantità eccessive, superiori ai parametri usati per gli altri PFAS nell’acqua potabile (non esiste ancora un limite specifico per l’acido trifluoroacetico). Gli effetti sulla salute del TFA non sono ancora del tutto noti, ma si sospettano ripercussioni sulla salute del fegato e sulla fertilità, e attualmente l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) sta rivalutando la sicurezza di questa sostanza.
 
I marchi bocciati a causa del TFA sono: Panna, Esselunga Ulmeta, Levissima, Maniva, Saguaro Lidl.
 
 
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Il Trentino affronta l’allarme Pfas.

Il progetto ITINERE (esposizione nazionale italiana ai contaminanti ambientali e valori di riferimento), è uno studio di biomonitoraggio umano realizzato nell’ambito del programma europeo PARC. Per l’Italia il progetto è coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS) e in Trentino viene realizzato dal Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria.
 
Saranno coinvolte cento persone, che riceveranno a casa una lettera di invito per partecipare al progetto. I cento partecipanti trentini, tra i 18 ei 39 anni, devono essere residenti da almeno tre anni nei territori oggetto di indagine. Chi aderirà allo studio potrà sottoporsi al prelievo di campioni biologici (sangue e urina) effettuato dall’Apss per misurare la presenza di specifiche sostanze chimiche di interesse attuale quali PFAS, bisfenoli, DINCH, ftalati, metalli, pesticidi.

Il sindaco di Alessandria querela il giornalista no Pfas.

Conferenza stampa di Lino Balza, Movimento di lotta per la salute Maccacaro.
Sono stato appena avvertito che presso la Procura di Alessandria verrà instaurato un procedimento penale art. 595 comma 3 e 4 CP diffamazione a mezzo stampa, per querela del sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante.
Clicca qui il video.
Clicca qui la trascrizione.

Landini, facciamo class action contro Solvay.

Lettera aperta a Vivere in Fraschetta.
“Vivere in Fraschetta” è il Comitato che raggruppa i pensionati CGIL dei sobborghi della Fraschetta, tra cui Spinetta Marengo, e che insieme ai Comitati e alle Associazioni aveva chiesto a tutte le parti civili di respingere qualunque trattativa con Solvay per un patteggiamento che interrompesse e bloccasse il dibattimento del processo penale a carico della multinazionale belga. Tant’è che “Vivere in Fraschetta”, insieme agli altri Comitati e Associazioni, ha preso una posizione molto dura nei confronti del sindaco di Alessandria che ha patteggiato con Solvay 100mila euro per… l’urgenza di tagliare l’erba dei cimiteri. Non solo, “Vivere in Fraschetta” ha di recente inviato un accorato appello al segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, sollecitandogli un intervento diretto.
Ci auguriamo che l’intervento non sia volto a scongiurare, impedire che la Camera del Lavoro di Alessandria intraprenda un patteggiamento con Solvay. Anzi, vogliamo dare per scontato che essa abbia già rifiutato l’iniziativa dell’azienda imputata per il disastro ambientale e sanitario: rifiuto in coerenza con quanto annunciò (20 febbraio 2024) per la propria costituzione a parte civile. Cioè “parte offesa per l’omessa bonifica di contaminazioni pregresse e un rilascio di altri contaminanti di produzione recente (PFAS), contaminazione (dati ARPA) che riguarda il sottosuolo, le acque sotterranee, l’aria, con la persistente presenza di inquinanti a base di cloro e fluoro”Nello stesso documento, la CGIL Camera del Lavoro Provinciale, dopo aver precisato di sentirsi rappresentate dei lavoratori, dei pensionati e cittadini tutti, nonché riferendosi ai risultati degli studi epidemiologici svolti da Asl e Arpa, ovvero alla  correlazione tra le sostanze inquinanti e le patologie in eccesso, concludeva:  “Ci sono persone che hanno subito danni o rischiano di subirli in futuro: vengano risarciti da chi ha fatto profitti procurando danni alla salute, se lavoratrici e lavoratori rischiano nel presente e nel futuro di subire conseguenze patologiche per il loro lavoro che siano risarciti e che si aprano per loro benefici previdenziali come in passato per il tema amianto”. 
Noi lo ribadiamo fino alla noia: i processi penali non determinano reali risarcimenti alle Vittime, al più risarcimenti simbolici. La via è quella dei processi civili. A questo scopo, le cartelle cliniche delle Vittime, lavoratori e cittadini, sono ormai raccolte in massa. Vanno utilizzate. 
Dunque, pensiamo che l’invito a Landini di intervenire sia rivolto alla Camera del Lavoro provinciale, affinchè apra finalmente cause civili contro Solvay per risarcire i lavoratori morti e ammalati. Anzi, affinchè la CGIL dia disponibilità a contribuire ad aprire cause civili, class action, per tutta la popolazione: lavoratori e cittadini.
La CGIL faccia ammenda del proprio immobilismo, la convinca infine la sentenza del Tribunale di Vicenza che ha condannato Inail a pagare il risarcimento per malattia professionale ai familiari di un ex operaio morto per un tumore a contatto con le sostanze Pfas della fallita azienda Miteni. “Si ritiene raggiunta la prova, con elevato grado di probabilità, del nesso di causalità fra l’ambiente in cui il ricorrente ha prestato la propria attività lavorativa la patologia in questione”, si legge nella sentenza della giudice Caterina Neri.
Si tratta di una sentenza storica: di una vittoria per l’INCA CGIL del Veneto, una vittoria   fondamentale per tutti i lavoratori a contatto coi Pfas, composti considerati pericolosi dagli anni 2000 e prodotti ancora in Italia dalla Syensqo Solvay.
Oggi a maggior ragione, La Cgil in Piemonte abbia il coraggio denunciare in sede civile Solvay, di imitare la consorella del Veneto, che già nel 2020 perseguì la via del processo civile: quanto meno ci tentò visto che il processo stato archiviato per vizio di forma della perizia del consulente tecnico del tribunale.

Landini, abbiamo Pfas nell’aria, nell’acqua, nel sangue. Intervieni.

Non si preoccupa del taglio dell’erba nei cimiteri il Gruppo “Vivere in Fraschetta” che, invece, ha consegnato al segretario della Cgil Maurizio Landini (ad Alessandria per promuovere i referendum dell’8 e 9 giugno) una accorata  lettera sul tema dei Pfas, sollecitandogli un intervento diretto.
 
 “Ti scriviamo con grande preoccupazione, perché quello che sta succedendo qui da noi ci riguarda tutti, cittadini e lavoratori. La nostra salute è ormai compromessa da un inquinamento che a Spinetta Marengo dura da decenni, e in particolare dai pfas, sostanze tossiche e per nulla biodegradabili. Conosci bene la vicenda della Miteni, ora in fallimento ma ancora inquinante, e della Solvay, che continua a produrre i PFAS più pericolosi al mondo. Ricordiamo i casi negli Stati Uniti, in Belgio, e in altri Paesi, dove queste sostanze hanno provocato malattie e disastri ambientali, ricordiamo l’Eternit”.
 
“Qui da noi la situazione è simile: abbiamo pfas nell’aria, nel sangue, e nei corpi di tanti di noi, anche di quei lavoratori di ditte esterne che non vengono monitorati. Le istituzioni, i sindacati, la politica, sanno tutto, eppure non fanno niente. È come parlare al muro di gomma dell’indifferenza. La nostra paura è grande: temiamo per noi, per i nostri figli, per il futuro del nostro ambiente e della nostra salute”.
 
“Vivere in Fraschetta” è il Comitato che raggruppa i pensionati CGIL dei sobborghi della Fraschetta, tra cui Spinetta Marengo, e ha preso una posizione molto dura nei confronti del sindaco che ha patteggiato con Solvay 100mila euro per il taglio dell’erba dei cimiteri.

Il sindaco taglia l’erba nel cimitero di Spinetta Marengo.

L’annuncio di risultati trimestrali in calo ha fatto sprofondare in borsa il titolo Solvay. Ma il titolo a picco non si ripercuoterà sulla esigua somma di 100mila euro che Solvay Syensqo deve versare al Comune di Alessandria quale merito del patteggiamento che ha aperto la strada ai patteggiamenti delle altre parti civili, innanzitutto Regione Piemonte e Governo, che consentirebbero alla multinazionale belga di uscire praticamente indenne dal processo per il disastro ambientale e sanitario del sito di Spinetta Marengo: senza risarcimenti per le Vittime, senza bonifica del territorio, proseguendo indisturbata nelle produzioni inquinanti.
 
Il sindaco di Alessandria si è giustificato del patteggiamento, che ha scandalizzato Comitati e Associazioni di tutta Italia: “ha svenduto la salute”, con la necessità urgente di far fronte al degrado dei cimiteri.  Il lavoro di sfalcio dell’erba è già avviato nei camposanti di Spinetta e Litta Parodi. “Proseguirà” rassicura il sindaco Giorgio Abonante “in tutti i cimiteri. Stiamo facendo l’impossibile con le risorse che abbiamo a disposizione. Non è facile trovare 1.5 milioni di euro.” L’affermazione ha rinfocolato le polemiche: per far quadrare i conti ci volevano proprio gli scandalosi 100mila euro?
 
In più, il sindaco ha annunciato di voler utilizzare il diserbo chimico, malgrado non sia ammesso dal regolamento comunale. Ciò ha provocato critiche da parte delle opposizioni, che hanno ironizzato: diserbanti prodotti da Solvay? Però anche si è scossa la tenuta della sua maggioranza, con la contrarietà ambientalista dei Cinquestelle, già feriti dall’inaudita decisione di contrattare il patteggiamento con Solvay.

Pfas alla foce del Po: mozioni per monitoraggi e per divieti di produzione.

Messo in moto da Alessandria tramite la nostra campagna nazionale contro i Pfas, nel 2010 a Ferrara il compagno Valentino Tavolazzi, della locale Sezione nonché consigliere comunale di “Progetto per Ferrara”, si attivò a informare i mass media (tra cui L’Espresso) e soprattutto per allarmare il controllo (fino ad allora assente) di Ato, Asl ed Hera sulla alta concentrazione di Pfoa nelle acque del Po, dalle acque superficiali del quale Ferrara attingeva il 70% dell’acqua da potabilizzare.
Oggi, i consiglieri comunali di “Civica Anselmo” e “La Comune di Ferrara” presentano una mozione per “richiedere al Gestore Hera Spa di sviluppare ulteriormente il monitoraggio e la quantificazione della somma di Pfas nell’acqua destinata al consumo umano nel Comune di Ferrara”, nonché per “procedere, in collaborazione con il gestore, all’analisi puntuale a campione dell’acqua potabile, o dell’acqua in bottiglia, erogata nelle scuole pubbliche presenti nel Comune”, infine per “rendere pubbliche integralmente le risultanze provenienti da Hera Spa – ed eventualmente da indagini effettuate in autonomia dal Comune stesso – circa la quantificazione della presenza delle singole sostanze Pfas, e comunque della qualità dell’acqua dell’acquedotto pubblico, e di farne capillare pubblicità, attraverso tutti i canali istituzionali, al fine di aumentare la consapevolezza della popolazione circa la qualità dell’acqua consumata”.
La mozione, inoltre, invita  a “richiedere alla Regione Emilia Romagna di implementare il piano di monitoraggio capillare su tutto il territorio regionale al fine di accertare il reale stato di contaminazione delle acque destinate al consumo umano”, e a “richiedere alla Regione Emilia Romagna di farsi promotrice della sperimentazione che ha per oggetto il monitoraggio diffuso dell’acido trifluoroacetico Tfa, al fine di conoscerne la diffusione e l’accumulo nel tempo, verificando al contempo l’efficacia dei sistemi di trattamento delle acque rispetto a questi inquinanti”.
La mozione conclude con la richiesta di “sollecitare Governo e Parlamento, anche tramite l’invio di questa mozione, all’introduzione del divieto di produzione in Italia di questi inquinanti ‘eterni’“.

Manco più due uova occhio di bue.

Era un gran mangiare: due uova biancorosse al tegamino con un bel bicchiere di vino (rosso).  Ora non più,  non puoi più fidarti né delle uova né del vino.
Si ripete l’allarme francese, quando i PFAS furono trovati nelle uova dei pollai domestici del Sud Oise, nell’Alta Francia, e le autorità sanitarie avvertirono di non consumarle.
 
Anche in Olanda scatta il divieto di mangiare le uova dei pollai domestici, allevati sul retro delle case, negli orti, nei pascoli per animali e nelle fattorie biologiche.  Perché contengono alti livelli di Pfas: compromettono il sistema immunitario, la riproduzione e lo sviluppo dei bambini non ancora nati, così come anche alterano i livelli di colesterolo nel sangue, danneggiano il fegato, causano tumori ai reni e ai testicoli ecc. L’Istituto nazionale per la salute e l’ambiente (RIVM) olandese ha calcolato la quantità di PFAS che le persone possono ingerire attraverso le uova prodotte in casa in 60 località del Paese. Questi valori sono stati confrontati con la soglia di sicurezza per la salute relativa ai PFAS. In 31 di queste località, le persone superano già tale limite consumando meno di un uovo alla settimana.
 
Come finiscono i Pfas nelle uova? Evidentemente dal cibo delle galline: mangimi, residui organici e perfino lombrichi. Trovati Pfas nelle uova biologiche: la colpa è dei mangimi dati alle galline, secondo il nuovo studio danese.
Eppoi, c’è l’allarme vino. I vini europei, tra cui anche tre prodotti italiani (Chianti120 microgrammi per chilo, Prosecco 69 microgrammi e Kalterersee 43 microgrammi) contengono livelli di Pfas superiori fino a cento volte rispetto a quelli che sono stati trovati in acque minerali, specie nell’agricoltura intensiva e convenzionale. La denuncia viene da Bruxelles dove i membri dell’European Pesticide Action Network Europe (PAN Europe) hanno presentato uno studio inedito e allarmante sulla contaminazione alimentare da acido trifluoroacetico (Tfa) nel vino, condotto in dieci paesi del continente, su una quarantina di vini. Il Tfa fa parte della famigerata famiglia delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) utilizzate nell’industria e, sotto forma di fitosanitari, anche in agricoltura.
 
Chi pensa, come il ministro Francesco Lollobrigida, che il vino non faccia più male dell’acqua deve ricredersi. E dato che siamo il primo paese produttore di vino a livello globale, dovremmo considerarla un’emergenza nazionale.

Città per defunti ma non per bambini.

Il Comune di Alessandria ha patteggiato l’assoluzione processuale per Solvay vendendole la salute di 100mila cittadini per 1 euro a testa. Totale 100mila euro subito destinati al taglio urgente dell’erba dei cimiteri. Con questo osceno lasciapassare del sindaco, Solvay potrà continuare a scaricare tranquillamente i cancerogeni Pfas, e non solo, nelle acque di falda, nell’atmosfera e nei suoli.
 
Compreso il nucleo urbano di Alessandria. Qui, in pieno centro, sopravvivono tre parchi giochi per bambini, che abbiamo avuto la disavventura di raggiungere.
 
In quello superstite nei pressi della stazione ferroviaria, il laghetto, nel quale un tempo nuotavano sotto il ponticello pesci e cigni, è una arida discarica di barattoli e cartacce. Sulle prospicienti panchine scampate non ci sono mamme a chiacchierare perché assenti i bambini sul solitario scivolo, mentre invece tranquilli individui si aggirano a contrattare bustine.
 
Meglio scappare al parco giochi davanti alla scuola “Don Orione”: di bambini neanche l’ombra, l’erba è alta sopra il ginocchio di un adulto (la sfalciatura è riservata ai defunti) e cela le cacche di una moltitudine di cani di grossa taglia che disdegnano la loro piccola area riservata ma scorrazzano liberamente e sostano alzando la zampa sul solitario scivolo, adibito a desco per alticci, e sotto i resti dell’altalena, allontanati da un rapido gesto quando si avvicinano troppo ai tossici che sdraiali stanno manovrando i loro attrezzi. La fontanella esisterebbe se fosse raggiungibile guadando la pozza paludosa, ospitale per nugoli di zanzare pomeridiane.  
 
L’ultima speranza è il parco vicino all’ex centro sportivo “Don Stornini”, ma in così poco e soleggiato spazio, fra erba alta e buche piovasche, c’è tale affollamento che i bambini devono fare la fila (meglio imparare fin da piccoli) per salire sugli scivoli (due) e sui seggiolini (due) dell’altalena. Meglio allontanarsi sul pietrisco dei marciapiedi caccosi, se non si è allergici alla parietaria. Ma neppure esiste l’isola pedonale da raggiungere. Tutto sommato, sono poco distanti i giardini affacciati alle ciminiere della Solvay a Spinetta Marengo…

Il 14% degli ingredienti presenti nei pesticidi è costituito da PFAS.

I pesticidi rappresentano un autentico flagello per la biodiversità. E molti di essi contengono composti fluorurati classificabili come perfluoroalchili (PFAS), la cui presenza, negli ultimi anni, è andata in aumento. Sono due studi appena pubblicati a puntare il dito contro decine si prodotti di cui l’agricoltura moderna non riesce a fare a meno, ma che probabilmente dovrebbero essere utilizzati con molto più parsimonia, e adottando strategie finalizzate a mitigarne gli effetti tanto sull’ambiente quanto sulla salute umana.

Questione Pfas. Vittoria o sconfitta? Bilancio quasi definitivo.

Chi cominciò a seguirci nel 2008 sul nostro Blog, ovvero dal Sito www.rete-ambientalista.it gestito dal “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, imparò a conoscere la “questione Pfas”, di cui nessuno in Italia fino ad allora si occupava. L’informazione e la politica l’appresero nel corso degli anni dai nostri 1.200 articoli (post) sul Sito e dalla relativa mailinglist della “Rete Ambientalista. Movimenti di lotta per la Salute, l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza”, che raggiunge circa 42mila utenti, molti a loro volta opinion leaders. Il nostro dossier “PFAS BASTA!”, da par suo, è al terzo volume.  Così oggi che la “questione Pfas”, il nostro storico cavallo di battaglia, è diventato un conflitto apice all’ordine del giorno nazionale, è maturo un interrogativo: vittoria o sconfitta?  Rispondiamo  nei tre capitoli che seguono, rammentandoci che la medaglia della vittoria deve portare due facce: la legge di messa al bando dei Pfas in Italia e la chiusura delle produzioni della Solvay di Spinetta Marengo (AL).
 
Lino Balza

Il sindaco di Alessandria patteggia con Solvay la vendita della salute dei cittadini. Ma la colpa è dei cittadini che l’hanno eletto.

Abbiamo appreso da “Radio Gold News Alessandria”, ore 13,30 venerdì 4 Aprile 2025 (fosse stato 1° aprile per un attimo si poteva pensare al pesce d’aprile):
Sì del Comune di Alessandria al risarcimento Solvay: “100mila euro per tavolo ambientale e ripristino cimiteri”.
ALESSANDRIA – Il Comune di Alessandria ha accettato il risarcimento di 100 mila euro proposto dalla multinazionale Syensqo (ex Solvay, ndr) nell’ambito del processo per disastro ambientale colposo nei confronti degli ex direttori dello stabilimento di Spinetta Stefano Bigini e Andrea Diotto. Come ha precisato Palazzo Rosso in una nota “l’unica voce a cui possono appellarsi gli Enti Locali è il danno di immagine”.
Due le destinazioni di questa cifra: “Implementare le risorse del tavolo di monitoraggio ambientale del Comune e far fronte ai lavori straordinari che interesseranno i cimiteri cittadini” “L’offerta dell’azienda, accettata dopo un lungo lavoro di analisi da parte dell’avvocatura comunale (Roberto Calcagni) e un dialogo serrato con i legali che tutelano i cittadini costituitisi parte civile nel processo” ha rimarcato l’amministrazione “andrà a potenziare il monitoraggio delle condizioni ambientali del territorio e per far partire i primissimi lavori di ripristino del decoro dei cimiteri della città. L’obiettivo è quello di mettere a frutto l’intero stanziamento, in favore della collettività”.
Il sindaco che ha bypassato l’effimero consiglio comunale si chiama Giorgio Abonante, eletto con il consenso del 20% degli aventi diritto. I cittadini del Comune di Alessandria sono circa 100.OOO, cioè un euro a testa del cosiddetto “risarcimento”. Cifra pari a quella patteggiata, sempre per danno di immagine, dal Comune di Montecastello (274 abitanti). Con il patteggiamento, cioè con la strozzatura del processo penale, Solvay fa conto che non sarà chiamata a pagare milioni di risarcimenti alle Vittime: migliaia di ammalati e morti. A meno che Abonante, invece che al grottesco potenziamento dei loculi cimiteriali, destini i 100mila euro a finanziare un pool di avvocati e consulenti in causa civile contro Solvay.  Conoscendo Abonante, questa ipotesi è surreale.
Così, il mercanteggiamento della salute è scontato che si concluda anche fra Solvay e la Regione Piemonte dell’inverosimile assessore alla sanità Federico Riboldi detto il temporeggiatore.  Idem per il governo, considerando che Gilberto Pichetto Fratin è l’attuale ministro dell’Ambiente.
Gli avvocati delle parti civili fisiche considerano che fra i loro assistiti, magari extracomunitari occasionali, sono numerosi quelli non toccati da malattie proprie o dei loro famigliari o amici, e che non disdegnano una inaspettata elemosina risarcitoria (2.500 euro) di Solvay.
Insomma, contrarie al mercimonio della salute restano, con scandalizzate e pesanti prese di posizione, le Associazioni ambientaliste che chiederanno, salvo solitari ripensamenti, ai loro avvocati il rigetto del patteggiamento.
Con queste carte in mano, Solvay si farà forte presso la debole Procura di Alessandria per concludere il patteggiamento già nella prossima udienza di giugno davanti al GUP, quel giudice Andrea Perelli che ha addirittura escluso Lino Balza come parte civile dal processo. Va da sé che il patteggiamento è una pacchia per tutti gli avvocati.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro

Ma di quale bonifica sta ciarlando Solvay?

Assieme alla propaganda lobbistica a tutto campo europeo, a livello mediatico  locale Solvay  fa sfoggio di ricorrenti “opuscoli  informativi” alla popolazione. Nell’ultimo patinato, distribuito dal nuovo direttore Federico Frosini, vecchia volpe dei famigerati Pfas, e anticipando la linea difensiva al processo (eventuale), Solvay sostiene un presunto “raggiungimento degli obiettivi di bonifica per i solventi clorurati nella falda all’interno del sito, anche se per certificarlo prega di avere la pazienza di aspettare almeno altri due anni. Solvay sostiene questa prospettiva seducente gratificando (secondo noi: chiamando in correo, ovvero annegando nel ridicolo) partner qualificati come l’Università del Piemonte Orientale di Alessandria e gli Enti localiper la loro costante collaborazione”.  
Insomma, le attività di bonifica starebbero  “procedendo verso il progressivo raggiungimento di tutti gli obiettivi” e i monitoraggi confermerebbero “il significativo miglioramento dello stato qualitativo dei terreni e delle acque di falda”. Anche se tra i denti deve ammettere che è ben lontana la bonifica delle aree contaminate dal vecchio micidiale cromo esavalente, appunto perché non è andata oltre alla primordiale  messa in sicurezza della sua inefficiente barriera idraulica. Per quanto riguarda, poi, la bonifica delle aree esterne: il bollettino autostende un pietoso velo definendola “fase in progetto”.
La realtà di Alessandria propagandata da Solvay è smentita dall’Arpa, con i dati raccolti nel corso del 2024 sulla presenza dei cancerogeni pfas (il Pfoa vietato fin dal 2013 e i brevettati cC6O4 e l’Adv). Infatti, nei pozzi l’Arpa ha rilevato stabilmente 10mila microgrammi per litro di C6O4, oltre al picco di  200mila microgrammi.  Per molto molto meno fu chiusa la Miteni in Veneto.
 
Oltre alla situazione interna al sito, Arpa ha spiegato al Comune, che fa finta di niente, la situazione della contaminazione esterna, a cominciare dall’inquinamento da Pfas nell’aria in punti precisi. Nel sobborgo di Spinetta, davanti allo stabilimento (dove lavorava chi scrive), i cittadini respirano fino a 3,8 nanogrammi per metro quadrato di cC6O4 al giorno. Un valore che si abbassa -ma è in aumento!- quando si vive vicino all’Istituto tecnico Volta, nel centro di Alessandria (dove abita chi scrive), dove addirittura è stato riscontrato il GenX: il Pfas ritrovato pure  in alcuni campioni di alimenti coltivati intorno al polo chimico, assieme al Pfoa da 4 a 10 microgrammi per  litro nei terreni.
Insomma, il Comune, con la Provincia e con la Regione, fa finta di niente anche se da anni e anni i valori superano di svariate volte il limite ambientale stabilito dal pur blandissimo  decreto ministeriale del 2016 (0,5 microgrammi per litro), un dato allarmante perché cronico. Paradossale è la Provincia, che, nascondendosi dietro il governo, per i parametri di bonifica del Pfoa fa riferimento ante 2019. Dunque, in pratica la bonifica è sospesa. Una situazione ben diversa da quella di Arpa Veneto, che è riuscita a ottenere i limiti del Pfoa coinvolgendo direttamente il Nucleo operativo ecologico (Noe). Arpa Alessandria, organo tecnico della Procura, non sembra intenzionata a seguire la stessa strada.
La bonifica della Solvay è proprio una balla.

La santa alleanza tra ambiente e produzione, officiata da sindaco e regione.

Di fronte a siffatta situazione ambientale che abbiamo più volte denunciato (esempio: https://www.rete-ambientalista.it/2024/05/16/altri-pozzi-di-acquedotto-chiusi-ad-alessandria-per-i-pfas-ma-lasl-fa-il-gioco-di-solvay-2/ e a tacere i 20 miei esposti alla Procura), corrisponde la drammatica situazione sanitaria.  Il sindaco di Alessandria avrebbe avuto il dovere di affrontarla fermando le produzioni inquinanti della Solvay di Spinetta Marengo https://www.rete-ambientalista.it/2024/01/01/il-biomonitoraggio-di-massa-la-pistola-fumante-che-solvay-soci-devono-disarmare/,  e invece è complice della Regione Piemonte a rinviare all’infinito il monitoraggio di massa della popolazione che inchioderebbe definitivamente la multinazionale belga anche in momento processuale https://www.rete-ambientalista.it/2024/06/23/per-29-abitanti-il-monitoraggio-di-massa-della-regione-per-i-pfas-della-solvay-criminale/.
La Regione dunque, facendo l’occhiolino a Solvay, ha avviato un finto monitoraggio, furbescamente cioè un micro monitoraggio al rallentatore: dopo un primo step l’anno scorso a 135 residenti entro 500 metri dal Polo Chimico di Spinetta, ora, nel 2025, scatta  la fase del biomonitoraggio su base volontaria ai residenti entro 3 chilometri dallo stabilimento. La fase due si protrarrà quanto meno per tutto il 2025. Poi, di questo passo, nel giro di qualche decennio coinvolgerebbe le altre potenziali Vittime (400 mila a livello provinciale, o solo 90mila per il capoluogo). Vittime potenziali? Più che potenziali: se si esaminano le otto indagini epidemiologiche (l’ultima nel 2019) che hanno interessato la provincia, confrontandole con le analisi epidemiologiche che riproducono le patologie scientificamente attribuibili ai Pfas, a tacere le altre 21 sostanze tossiche cancerogene dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.
Insomma una colossale presa in giro. Orchestrata l’assessore alla sanità Federico Riboldi con la fanfara della santa “alleanza tra ambiente e produzione”. Né potrà fungere da piffero magico il progetto finanziato dall’Unione Europea (Scenarios)  che chiederà a 300 residenti del comune campioni di sangue, urine e di acqua potabile proveniente dalle loro abitazioni, al fine di validare procedure e metodologie scientifiche innovative per scopi di ricerca e futuri studi.

Parti civili che tutelano ambiente e salute, e altre che non lo fanno.

Proseguono le udienze al processo Pfas di Vicenza. Mentre al processo gemello di Alessandria associazioni e avvocati dovrebbero -senza nascondersi dietro il mignolo della Procura della Repubblica- sottoporsi ad un esame di coscienza  (A fronte di un siffatto disastro sanitario ed ecologico, quanti ad Alessandria hanno la coscienza a posto?) dopo aver ascoltato le richieste di risarcimenti di Wwf, Medicina democratica, Italia Nostra, Isde, al processo Miteni di Vicenza. E precisamente 250mila euro ciascuno i 53 operai parti civili e 110mila euro per ciascuna organizzazione. Legambiente ha chiesto 330mila euro. Sconcertante confrontare Vicenza con  Alessandria, dove Solvay offre

per uscire pulita dal processo- un patteggiamento a Comuni-Regione-Ministero, e dove avvocati stanno contrattando… 3.500 euro   per ciascuna parte civile fisica.
 
Invece a Vicenza, non sono “le due ultime ruote del carro” come ad Alessandria, bensì sono 15 i manager della Miteni di Trissino, o a quest’ultima riconducibili, finiti alla sbarra (121 anni di carcere) per avvelenamento delle acque, disastro ambientale, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari con l’aggravante della condotta dolosaper consapevolezza e occultamento, insomma per “un crimine efferato, un crimine voluto”, come dovrebbe per Solvay di Alessandria e non è. Anzi, le parti civili venete hanno chiesto la condanna di tutti e quindici gli imputati, senza lo sconto assolutorio  dei PM per 6 di essi.
 
Anzi, hanno inoltre chiesto di inviare alla Procura della repubblica gli atti che riguardano le condotte del medico aziendale, il professore Giovanni Costa -lo stesso di Spinetta Marengo- inserito in un disegno strategicamente inteso giustappunto  “all’occultamento delle responsabilità aziendali”. Questo medico, infatti, in possesso di secretate analisi del sangue di Trissino (Miteni) e Spinetta (Ausimont), inviò nel 2001 le provette ai laboratori di 3M a Denver in Colorado e a Brema in Germania: tutte che superavano le soglie limite Pfas.  Al punto che le Assicurazioni rifiutarono polizze per l’esposizione Pfas in quanto di “alto il rischio associato all’industria chimica, in termini di responsabilità civile, operai e ambiente”. Ma, fregandosene, Miteni e Ausimont, poi Solvay… aumentarono addirittura le produzioni, e fregandosene degli allarmi dell’EPA (Ente Protezione Ambientale) americana. Non solo, Costa nel 2014 su incarico di Solvay effettuò uno studio sui risultati delle campagne annuali di monitoraggio biologico nei lavoratori esposti a PFAS.
 
Infine, le richieste delle parti civili non istituzionali al processo di Vicenza  sono chiare: la battaglia per l’acqua e per l’ambiente non può concludersi senza un completo ripristino della risorsa idrica. Il disastro ambientale non si è fermato con il termine dei capi d’imputazione del processo in corso, e chi ha inquinato deve assumersi la responsabilità di riparare il danno. La Procura è chiamata a intervenire per garantire giustizia e impedire che il problema venga lasciato irrisolto. Affiancandosi alle oltre 300 parti civili già costituite, infatti la società di servizio idrico integrato Viacqua ha ribadito  che dopo il 2013 Mitsubishi Corporation e ICIG (ex Miteni) non hanno minimamente  provveduto alla bonifica dell’area contaminata dai Pfas: nelle falde e  nel sangue di migliaia di cittadini tra Vicenza, Verona e Padova; anzi, è mancata l’interdizione dell’area dopo il fallimento di Miteni nel 2018.
 
Non sfugga che anche in Veneto, come in Piemonte, in palese contrasto con le parti civili che tutelano onestamente le Vittime persone fisiche, sono invece “compiacenti” le istituzioni accusate di omissioni e complicità:  le richieste risarcitorie del ministero dell’Ambiente che si accontenta di 56 milioni di euro, della Regione Veneto, delle aziende sanitarie di Vicenza, Padova e Verona, del comune di Trissino, che hanno avanzato un conto di 20 milioni.

Mai fatta la bonifica all’ACNA.

Merita massima attenzione. Il sito ex ACNA di Cengio continua a rappresentare una criticità per il territorio e la salute dei cittadini. Dopo 24 anni e oltre 420 milioni di euro investiti, l’area non è mai stata bonificata, ma solo messa in sicurezza. Questo significa che il presidio, la manutenzione e i controlli dovrebbero essere costanti e senza limiti di tempo. Ma i dati parlano chiaro: dal 2010 al 2022 i piezometri hanno sistematicamente registrato il superamento dei limiti consentiti. L’attenzione si sta spegnendo.  Il passato è un rischio attuale e concreto per i cittadini valbormidesi e piemontesi. Piuttosto che ipotizzare qualsiasi nuovo insediamento sull’area, come l’ipotesi di un termovalorizzatore avanzata, è importante verificare che sia tutto sotto controllo: avere un quadro chiaro dello stato attuale del sito perché le  ricadute ambientali e sanitarie interessano direttamente sia la Liguria che il Piemonte.

A fronte di un siffatto disastro sanitario ed ecologico, quanti ad Alessandria hanno la coscienza a posto?

I Sindacati? I sindacati, nei primi cinquanta anni di esistenza del polo chimico di Spinetta Marengo hanno fatto quello che hanno potuto in quella che venne subito soprannominata “la fabbrica della morte” ma che sfamava centinaia di famiglie per metà contadine. Solo dopo il Sessantotto, fino alla sconfitta sindacale degli anni ’80, la tutela della salute è al primo posto in fabbrica e finanche fuori. E’ dal “Consiglio di fabbrica” che viene elaborata la rivendicazione dell’”Osservatorio ambientale della Fraschetta”. Dopo, invece, il ricatto occupazionale, vero o presunto, spinge il sindacato in un patto di subordinazione politica e culturale con Montedison e Solvay, pur nella consapevolezza della tragica nocività: è emblematico il volantino aziendale della CGIL del 2002 che per prima denuncia il cancerogeno PFOA, e poi tace per sempre pur conoscendo le analisi del sangue (PFAS) dei lavoratori. E’ emblematico il fatto che, in decine di anni, né all’Inail né in tribunale sia mai stata avviata causa di risarcimento per malattie e morti operaie. Neppure sostenuto nei due processi penali contro Solvay [*] .
 
I Movimenti? L’ “Associazione dei Comitati della Fraschetta” e la “Rete ambientalista provinciale”  dagli anni ’80 al 2000 svolgono azioni di supplenza all’inazione dei sindacati, non solo riferite al polo chimico ma anche alle altre situazioni di crisi del territorio. Si tratta di manifestazioni che coinvolgono in piazza migliaia di persone e sono contrassegnate da una forte conflittualità  nei confronti di Provincia e sindaci  di Alessandria (prevalentemente di sinistra).
 
I politici? La democratica e rivoluzionaria proposta di “Osservatorio ambientale” è in aperto conflitto con la criminale opacità di Montedison prima e di Solvay poi; dunque con la complicità delle istituzioni. Anzi, con la loro connivenza, addirittura corruzione: come emerge clamorosamente nelle dichiarazioni della stessa Solvay al primo processo del 2009 (nei verbali delle udienze e leggendo “Ambiente Delitto Perfetto”). Eppure, sotto la spinta popolare, essi effettuano “obtorto collo” le prime (delle otto) indagini epidemiologiche esplodenti l’eccesso di patologie e tumori fatalmente riconducibili alle emissioni tossiche e cancerogene di Montedison e Solvay. Ma il loro piede sul freno resterà sempre premuto a negare o rallentare i monitoraggi di massa del sangue della popolazione (“la pistola fumante”) [**]. A tacere il peso della lobby Solvay sull’intero Parlamento [***] .
 
I magistrati? La prima, e unica, Procura di Alessandria che non viene contestata da Comitati e Associazioni è quella diretta da Michele Di Lecce (con il sostituto Riccardo Ghio) che nel 2009 incrimina l’intero management Solvay per avvelenamento doloso (fino a 16 anni di reclusione), ma che viene abbattuta dalla sentenza che rimpicciolisce i reati a blande colposità, non risarcisce le Vittime, e non obbliga alle bonifiche. Così, dei venti esposti alle Procure del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, ben 11 sono invano depositati presso il nuovo procuratore capo Enrico Cieri. Così, benchè tutti chiedono di intervenire -per presunti reati dolosi- su dettagliati e reiterati fatti di lesione all’ambiente e alla salute dei lavoratori e dei cittadini,  invece, il capo di imputazione del ritardato processo odierno è ristretto a un leggero reato colposo e a carico delle ultime ruote del carro (due semplici direttori). In più (a tacere la clamorosa esclusione di Lino Balza quale parte civile [****]) il GUP ha avviato addirittura la verifica con le parti civili di un patteggiamento che sarebbe un clamoroso colpo di spugna economico e penale per Solvay [*****] .
 
Gli avvocati e i medici?  Ad Alessandria gli avvocati si sono sempre accodati, e accomodati, ai capi di imputazione delle Procure (nel bene: Di Lecce e nel male: Cieri), mai opponendosi nelle memorie e nel dibattimento. Questi processi in sede penale si risolvono con sostanziose parcelle legali, con regali a Associazioni che piombano sui processi come avvoltoi, con “risarcimenti” a Enti locali e sindacati che piuttosto meriterebbero di sedere sul banco degli imputati. Non si risolvono mai, né ieri né oggi nella storia di Alessandria, in risarcimenti pubblici per il disastro del territorio e, quanto meno, in risarcimenti alle Vittime: alle centinaia o migliaia di Ammalati e Morti. Per questi risarcimenti gli avvocati non hanno mai intrapreso azioni collettive in sede civile -efficaci “class action- scusandosi della difficoltà di censire una massa di persone lese  (cosa ci stanno a fare Comitati e Associazioni?), nonché della mancata collaborazione dei medici, nella fattispecie dei medici legali che offrano non speculativamente la propria prestazione.  
 
I giornalisti? Un velo pietoso su quelli di Alessandria, salvo eccezioni. Fanno epoca le clamorose intercettazioni della Procura sui rapporti di alcuni giornalisti con Solvay. Insomma, più luci sul passato (si legga “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza) e più ombre sul presente  (si legga sempre “Ambiente Delitto Perfetto).
 
[*****]

I depuratori non fermano i Pfas, bisogna bloccare produttori e utilizzatori.

Non per inveire “dagli all’untore”, ma non può che essere la Solvay di Spinetta Marengo ad avvelenare anche Torino.  E’ fuori di dubbio, infatti, che l’unico produttore dei cancerogeni Pfas in Italia è la multinazionale belga, in particolare con il brevetto C6O4, e che da Spinetta Marengo direttamente inquina in territorio alessandrino e, indirettamente, il Piemonte e l’Italia.
Infatti, La Stampa fa grandi titoli: Pfas, l’allarme di Smat: ‘I depuratori non bastano, bisogna bloccare gli scarichi industriali’.  Infatti, Rai Piemonte titola “I Pfas anche nelle fogne di Torino: trovati C6O4 e PFOA”.
 
Spiegano: Punte di 40mila nanogrammi per litro. Il composto con la concentrazione media più alta è proprio il C6O4. Tra le molecole maggiormente presenti ne salta all’occhio una trovata in corrispondenza di un’industria galvanica. Su oltre 200 controlli il maggior numero di campioni positivi è stato ricondotto a piattaforme di trattamento rifiuti. Il monitoraggio Smat sulle acque reflue riconduce la contaminazione a piattaforme di trattamento rifiuti, industrie galvaniche e alcuni altri impianti produttivi”.
 
Smat (Società Metropolitana Acque Torino S.p.A.) ammette di non essere in grado di depurare le acque nere dai Pfas. E dunque chiede al Comune di “introdurre dei limiti che impediscano alle aziende di sversarli nel reticolo fognario. Obiettivo: salvare i nostri fiumi. E in ultima istanza l’ambiente, e anche l’acqua potabile”. A maggior ragione perché la mappa di Greenpeace segnala il Piemonte e Torino tra i territori più colpiti.

Longa manus di Solvay sulla politica, dalla destra alla sedicente sinistra. 

Polvere di stelle.
La potenza PFAS della lobby chimica capitanata da Solvay in grado di condizionare pesantemente il Parlamento è ad esempio di evidenza plastica nel tergiversatore Ordine del giorno presentato alla Camera dai deputati. https://www.camera.it/leg19/995?sezione=documenti&tipoDoc=assemblea_allegato_odg&idlegislatura=19&anno=2025&mese=03&giorno=10.
 
Viene a malapena  citato lo storico avvelenamento aria-acqua-suolo del territorio di Alessandria ad opera dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo: unico sito di produzione PFAS in Italia, della quale la chiusura -immediata-  è invece la “conditio sine qua non” per avviare seriamente lo stop della tragedia ecosanitaria dei cancerogeni PFAS.
Di conseguenza, non si chiede una legge nazionale di messa al bando –immediata- della produzione.
 
D’altronde tra i deputati firmatari primeggia Sergio Costa, ex poliziotto, generale dei carabinieri forestali, vicepresidente della Camera, il quale, da “ministro dell’ambiente nei governi Conte I e II”, annunciò più volte e solennemente addirittura di “fissare il limite zero Pfas”, salvo affossare il Disegno di legge di Mattia Crucioli,  senatore del suo stesso partito, che metteva al bando in Italia la produzione Pfas (Solvay, Spinetta Marengo) e il suo uso industriale e nei consumi, nonché stabiliva le procedure di bonifica (https://www.edocr.com/v/kv5mnoyz/bajamatase/crucioli-ddl). Costa fu dai Comitati  ridicolizzato e contestato in piazza  “Con la salute dei nostri figli non si scherzi”, eppure attualmente è  coordinatore nazionale del comitato “Pianeta 2050”, piattaforma interna al M5S che si occupa di politiche ambientali, agricole, alimentari e protezione animali. (sic).
 
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro
 
A siffatti ordini del giorno si contrappone di fatto la diffida di Comitati e Associazioni https://www.rete-ambientalista.it/2025/02/11/politici-stop-patteggiamenti-con-solvay-sulla-pelle-della-gente/:
 
“I Comitati e le Associazioni invitano la Procura di Alessandria a non intraprendere procedimento di patteggiamento con Solvay/ Syensqo inteso a favorire in senso premiale all’imputato di chiudere anticipatamente senza dibattimento la vicenda penale relativa al disastro eco sanitario dello stabilimento di Spinetta Marengo.”
 
“I Comitati e le Associazioni diffidano le Istituzioni locali e nazionali (Comune, Regione, Ministero ecc.) di proseguire tavoli di trattative intesi a favorire tale patteggiamento che affievolisce i reiterati reati penali e civili di contaminazione ambientale e non riconosce alle Vittime, persone fisiche morte o ammalate, i reali risarcimenti rapportati ai danni individualmente subìti”.
 
“I Comitati e le Associazioni, a discrimine di ogni ipotesi di patteggiamento,  pongono  irrinunciabilmente al primo posto l’immediata interruzione della condotta di contaminazione che continua a perdurare, cioè pongono l’arresto della produzione e dell’utilizzo delle sostanze tossiche e cancerogene: con l’azzeramento delle emissioni in aria, nel sottosuolo ed in falda e col procedere contestualmente -a carico dell’azienda- ad una reale e completa bonifica dell’inquinamento fino ad oggi generato”.

IARC conferma l’estrema tossicità e cancerogenicità dei Pfas.

Recente valutazione della IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro. Un gruppo di lavoro di 30 esperti internazionali provenienti da 11 Paesi è stato convocato dal programma delle Monografie IARC e, dopo aver esaminato a fondo la vasta letteratura pubblicata, riporta una sintesi dei principali risultati di uno studio delle Università di Bologna e di Padova pubblicato nel giugno 2023 sulla rivista Toxics che conferma una serie di effetti negativi sulla salute legati all’esposizione ai PFAS.
 
Ad esempio, una forte regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile. Tutti elementi che possono spiegare gli effetti dannosi dei PFAS sulla fertilità e sullo sviluppo fetale.
 
I dati raccolti mostrano inoltre che l’esposizione ai PFAS produce una sovraregolazione di un gene coinvolto nello sviluppo di vari tipi di cancro, tra cui leucemia, cancro al seno e al pancreas.
 
I dati epidemiologici suggeriscono che un’elevata esposizione a questi materiali possa aumentare significativamente la mortalità di individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo.
 
Lo studio sembra inoltre confermare l’effetto tossico sul sistema immunitario. L’esposizione ai PFAS aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio e ossidativo e favorisce così lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.
 
È emerso, inoltre, che l’esposizione a PFAS sia in grado di aumentare la concentrazione di trigliceridi e colesterolo nel sangue.

Pfas responsabili della omeostasi tiroidea.

Carcinoma papillare multifocale  della tiroide 
L’esposizione a sostanze per- e poli-fluoroalchiliche (PFAS) – note come appartenenti ai disruttori endocrini (Endocrine Disrupting Chemicals, EDCs) – sia individuali che in combinazione, è associata a cambiamenti nella sensibilità degli ormoni tiroidei periferici, piuttosto che centrali. È quanto emerge da uno studio pubblicato su “The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism”, condotto da Xinwen Yu e Yufei Liu, del Dipartimento di Endocrinologia del Secondo Ospedale Affiliato dell’Università Medica dell’Aeronautica Militare, a Xi’an (Cina).
 
I PFAS sono ampiamente riconosciuti per la loro persistenza nell’ambiente e i potenziali effetti di disturbo endocrino: questo studio trasversale ha investigato le associazioni tra l’esposizione ai PFAS e i parametri della omeostasi tiroidea in soggetti adulti (2386, età media 47.59 anni; 53.94% uomini; 42.88% bianchi) partecipanti a due cicli della National Health and Nutrition Examination Survey (2007-2008 e 2011-2012).

Osteoporosi nei giovani anche con Pfas a bassi livelli.

Un nuovo studio condotto da ricercatori dell’Università di Padova e dall’Ospedale di Vicenza, grazie ad un finanziamento regionale dal Consorzio per la Ricerca Sanitaria (CORIS) della Regione Veneto, ha messo in luce quanto l’esposizione prolungata ai PFAS possa alterare il metabolismo osseo modificando i livelli di calcio. Pubblicato su Chemosphere, lo studio ha coinvolto 1.174 adulti (655 uomini e 519 donne di età compresa tra i 20 e i 69 anni) provenienti da un’area da decenni interessata da contaminazione delle acque potabili.
 
Una delle più frequenti manifestazioni cliniche riscontrate in soggetti esposti anche a bassi livelli di PFAS è l’osteoporosi, una maggior fragilità dell’osso tipica dell’invecchiamento ma che si può già manifestare in giovane età laddove si sia esposti anche a basse concentrazioni di queste sostanze”, spiega il professor Carlo Foresta, coordinatore dello studio.

“I nostri risultati ci spingono a riflettere su come un’esposizione prolungata a PFAS, anche se invisibile, possa avere ripercussioni sulla salute a lungo termine”, conclude il professor Foresta. “Abbiamo dimostrato che la ben nota associazione tra PFAS e osteoporosi, ormai dimostrata a livello internazionale, non è tanto mediata da una riduzione di vitamina D, quanto da un’azione diretta dei PFAS sull’osso con conseguente liberazione di calcio”.

Solvay ringrazia Montecastello per grazia ricevuta.

“E di trista vergogna si dipinse” (avrebbe detto Dante?) il consiglio comunale di Montecastello, che ha deliberato di accettare i centomila euro di patteggiamento di Solvay. E’ come, hanno esclamato gli ambientalisti, se WWF, Greenpeace, Medicina democratica mercanteggiassero con Solvay l’elemosina a beneficio di se stessi e di quei pochi cittadini che i loro avvocati rappresentano, quali parti civili nel processo di Alessandria (il secondo) per il disastro ecologico e sanitario, quasi fosse una lotteria fra le centinaia di migliaia di persone della provincia. Sarebbe, infatti, un insulto etico e morale se Solvay se la cavasse elemosinando a poche decine di persone un “compenso per il metus”, cioè per la paura di ammalarsi, timore peraltro comune a tutta la popolazione provinciale, piuttosto che essere condannata a risarcire alle Vittime gli enormi danni per le malattie le morti. Come incitò a fare, tramite class action, il Procuratore generale della Cassazione: Questi (il management Solvay) dovete colpirli nel portafoglio.
 
In forza di quella “grazia penale” concessa alla Solvay dal consiglio comunale, i cittadini di Montecastello non saranno risarciti per i danni patrimoniali e non patrimoniali subìti avendo bevuto l’acqua avvelenata dai PFAS della Solvay, fino a quando il sindaco è stato costretto a chiudere l’acquedotto. I centomila euro a malapena coprono i costi, con tanto di mutui, sostenuti direttamente a collegare e tombare i pozzi idrici, in aggiunta a quelli sopportati dalla Regione. Il sindaco Gianluca Penna “carte alla mano” ha cercato di giustificarsi…  esaltando i settemila euro, in aggiunta ai centomila, “strappati” a Solvay quale “danno di immagine”. Il vero danno di immagine è, semmai, quello che stanno sopportando con lo sconsiderato patteggiamento gli incolpevoli cittadini di Montecastello.
 
Nota Bene. Il patteggiamento di Montecastello o, peggio, di Alessandria, è in grado di condizionare  le azioni giudiziarie penali e civili  degli altri Comuni alessandrini della “Fraschetta, dove è già stata rilevata una allarmante presenza di Pfas, esempio Piovera, Castellazzo Bormida…

L’offerta di Solvay a Comune e Regione per comprare la salute della popolazione.

Ufficializzato il patteggiamento con il Comune di Montecastello (100mila euro), ora si attendono gli esiti delle trattative in corso di Solvay con il Comune di Alessandria. Al quale, per uscire come  parte civile dal processo sarebbero state offerte altrettante 100mila euro… “quale danno di immagine”. 1 milione sarebbe comunque oltraggioso a vendere la salute dei propri cittadini. 100mila, al pari del piccolo Montecastello, è addirittura irridente sul piano “contrattuale” considerando che ogni sindaco ha il potere, quale massima autorità sanitaria locale, di fermare precauzionalmente con ordinanza le produzioni inquinanti la salute della popolazione. Ma il sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, aveva già omesso questo dovere morale e istituzionale: oggi non più considerato un “debito esigibile”.
Solvay considera inoltre aggiudicata la complicità del sindaco che finge di non sapere che a Spinetta Marengo in giornate invernali si registrano concentrazioni di PFAS nell’aria di 1000 volte superiori come ordine di grandezza ai valori assunti come riferimento, e resta inerme di fronte alle clamorose fughe di gas, come l’ennesima del 16 febbraio: gravissima perchè riferita al micidiale “perfluoroisobutene”, che in passato ha ucciso. Clicca qui il commento dell’ex assessore Claudio Lombardi. Peraltro, la complicità di Abonante è data per scontata dopo le giustificazioni illegittime per un sindaco: “E’ l’Asl che mi deve ordinare la chiusura degli impianti”, mentre si nasconde dietro l’altrettanta complice Regione Piemonte, accusandola.
Per i danni inferti al territorio e alla popolazione piemontesi, Solvay dovrebbe pagare fior fiore di miliardi in un processo secondo Giustizia. Invece cerca di uscirne con un patteggiamento di qualche centinaia di milioni con la Regione Piemonte. Per preparare l’opinione pubblica alla scandalosa rinuncia di parte civile nel processo, è all’opera l’altisonante “Task Force” dell’imbonitore assessore regionale alla sanità, Federico Riboldi, con assemblee ad Alessandria che coinvolgano i Comitati. Invece di sottoporre finalmente ad un monitoraggio di massa fino a centinaia di migliaia di persone, la Regione appunto dichiara “Non sono valori allarmanti” i livelli di Pfas nel sangue della popolazione estraendo “un campione di 135 residenti entro 500 metri dal Polo Chimico di Spinetta” (29 nel primo step). Lo sono allarmanti invece, anche in queste estrapolazioni.
Lo sono fingendo di ignorare che, per PFOA o ADV o C6O4 ecc., per la salute l’unico valore sicuro nel sangue di tutti i Pfas è ZERO, e pur affidandosi ai “valori soglia” ufficiali.  Lo sono perché, nel campione, TUTTE le persone hanno Pfas nel sangue, alcune addirittura superiori a 20 ng/ml. Se rapportiamo il dato al complesso della popolazione provinciale: la situazione sanitaria è catastrofica, altro che “non allarmante”. Infatti, per non allarmare -in cambio del fare cassa nel patteggiamento di una manciata di milioni- la Regione ha il compito di rallentare al massimo il monitoraggio provinciale. Per questa mistificazione mediatica la Regione si avvale di una “Commissione Clinica” appositamente da lei stessa nominata.
Il micro-monitoraggio per loro sarebbe “non allarmante” anche se -è allucinante!!- “consigliano” “specialmente in popolazioni sensibili come le donne incinte, misure di riduzione dell’esposizione quali: utilizzare a fini alimentari le sole acque provenienti dall’acquedotto evitando le acque di pozzo, non utilizzare l’acqua di pozzi privati o da falda superficiale sia per uso domestico che per uso alimentare o agricolo, l’integrazione regolare nella dieta del consumo di alimenti di produzione propria o in generale locale, con il consumo di alimenti di provenienza diversa,” altro che chilometro zero, “considerare l’azione additiva di queste esposizioni con altre esposizioni a rischio (ad es tabacco, alcool, sedentarietà e alimentazione). Gli “esperti” della Regione se ne lavano infine le mani consigliando ai Medici di base di consigliare alle persone “con valori superiori a 20 ng/ml nel sangue, poiché esiste un incremento del rischio di effetti avversi, di adottare le misure di riduzione dell’esposizione” licenziandosi o espatriando?  “e procedere con una serie di analisi e alla raccolta di alcuni dati sulla vita delle persone”. E’ allucinante!

I processi italiani cruciali per il destino dei Pfas in Europa.

I processi di Vicenza e Alessandria sono fratelli ma non gemelli: hanno grosse differenze. Quello di Alessandria è il secondo perché Solvay di Spinetta Marengo, malgrado la sentenza in Cassazione ha continuato a inquinare come prima e più di prima con 21 cancerogeni fra cui i PFAS, e, invece di una conseguente pesante condanna per reiterato comportamento doloso e criminale, rischia  addirittura di concludersi prima di iniziare con un assolutorio patteggiamento: un mercimonio di pochi  centinaia di milioni di euro anziché miliardi.
 
A Vicenza, invece, una dignitosa Procura, nel processo che sta per concludersi, disastro ambientale e avvelenamento delle acque, ha chiesto la condanna per dolo, “consapevolezza di avere inquinato senza prendere contromisure”,  di 9 amministratori e manager (Miteni, Mitsubishi, ICIG) che si sono succeduti nella gestione PFAS della  Miteni di Trissino: la pena più pesante è di 17 anni e sei mesi, la più tenue di 4 anni di reclusione. In totale le richieste di condanna raggiungono i 121 anni e 6 mesi di reclusione.
 
Solvay Syensko, unica produttrice di Pfas in Italia, ha bilanci in attivo stratosferici, Miteni invece  è fallita e senza soldi per i risarcimenti (con o senza coperture assicurative). In comune i due processi hanno lontane anni luce le bonifiche non solo dal completamento ma pure dal concepimento: suolo-acqua-aria di 21 cancerogeni per Spinetta e, per Trissino l’avvelenamento da Pfas della falda più grande d’Europa, in modo che i Pfas si sono trasferiti negli acquedotti finendo nei rubinetti delle case di decine di Comuni nelle  province di Vicenza, Verona e Padova, coinvolgendo il sangue di 350mila persone, causando gravissime malattie e  tumori: un’indagine epidemiologica ha quantificato in 4.000 le vittime in un arco di tempo di circa trent’anni.
 
Quali “bombe atomiche ad orologeria innescate” (definizione del pm Hans Roderich Blattner), il Veneto ha in comune con il Piemonte che rimane ammantata da un alone di ambigua omertà la catena delle responsabilità dei soggetti pubblici che avrebbero dovuto impedire che si materializzasse uno dei casi ambientali più gravi della storia recente del Vecchio continente.
A monte dei due processi epocali giganteggiano gli interessi in gioco. Sono  colossali. I Pfas sono sostanze artificiali cruciali per una miriade di applicazioni: microprocessori e produzione bellica in primis. Scalfire gli interessi del complesso militare industriale è una sfida di non poco conto. In Italia la Solvay Syensko, unica produttrice di Pfas nello stabilimento di Spinetta Marengo, guida la lobby confindustriale che blocca una legge di messa al bando dei Pfas in produzione e consumo. In Europa può esistere una maggioranza a favore del divieto totale, tuttavia la proposta di restrizione universale, avanzata da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, sta subendo un rallentamento inaccettabile a causa appunto delle lobby del settore chimico, che stanno investendo milioni per bloccare il divieto. L’esito dei due processi italiani diventa dunque cruciale.

I Pfas non dovrebbero mai trovarsi nei giocattoli per bambini.

Secondo l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente-Isde e l’Associazione Culturale Pediatri-Acp, i Pfas continuano a essere presenti nei prodotti destinati ai bambini, con il rischio di gravi conseguenze sulla loro salute. Isde e Acp hanno inviato una lettera ai ministri della Salute e dell’Economia per chiedere di vietare l’uso di Pfas e bisfenoli, già banditi dagli imballaggi alimentari in diversi Paesi, ma ancora ammessi nei giocattoli. Le evidenze scientifiche sono schiaccianti: i Pfas sono sostanze che indeboliscono il sistema immunitario, riducono l’efficacia dei vaccini e aumentano il rischio di malattie croniche, sono stati rinvenuti nelle urine dei bambini di tutta Europa e sono associati a problemi di sviluppo, obesità e persino tumori.
 
La partita ora si gioca nei palazzi della politica, tra pressioni industriali, in particolare di Solvay che, nello stabilimento di Spinetta Marengo, è l’unico produttore italiano di Pfas. Sono scelte che definiranno il livello di tutela per le nuove generazioni.