In Toscana ancora dati shock per i PFAS.

Come sempre in ogni verifica che si effettua in Toscana, e da anni ormai. L’Arpat ha pubblicato l’ennesimo dossier “Monitoraggio ambientale corpi idrici superficiali: fiumi, laghi, acque di transizione”, come parte di tutta una serie di analisi, verifiche e controlli che sono iniziati lo scorso anno e termineranno l’anno prossimo (triennio 2022/24). Il set completo dei dati ammonterà a varie decine di migliaia di analisi, sia chimiche che biologiche”.

“Con il 2022 inizia il nuovo ciclo triennale di monitoraggio su acque superficiali interne. La programmazione delle attività e il set di parametri da ricercare sulle stazioni di monitoraggio seguono i criteri dettati dalla direttiva europea, dal decreto di recepimento, e successivi decreti nazionali e delibere regionali di attuazione, e tengono conto delle linee guida del Sistema nazionale delle agenzie di protezione ambientale, Snpa”. Viene monitorata la matrice acqua, alla quale si aggiungono i sedimenti nelle acque di transizione e il biota, ovvero la ricerca di sostanze pericolose in organismi che occupano l’apice della catena alimentare in ecosistemi fluviali. Il monitoraggio sulle circa 250 stazioni dislocate in fiumi, torrenti, laghi e foci, viene dunque suddiviso in tre anni, all’interno dei quali si cerca di distribuire uniformemente sia i punti da controllare sul territorio sia il set di parametri da ricercare nel rispetto dei criteri, sufficientemente stringenti, dettati dalla linea guida Snpa per l’individuazione di pressioni e impatti sugli ecosistemi fluviali, lacustri e di transizione.

Se l’ARPA della Toscana sta facendo il suo lavoro, non altrettanto dall’opinione pubblica viene attribuito alla politica regionale: “Se si sa che l’inquinamento proviene chiaramente della industrie (tessile, conciaria e cartaria) può la Regione continuare a tacere invece di imporre prodotti privi di Pfas?”. A maggior ragione perché l’Ars Toscana (agenzia regionale di sanità) in un dossier dal titolo Welfare e salute in Toscana 2021 scrive: “Relativamente alla qualità delle acque destinate alla potabilizzazione, i monitoraggi del triennio 2017 – 2019 confermano i dati negativi degli anni precedenti. Dal 2004 nessun corpo idrico ha raggiunto la classificazione A1 (qualità buona), nel periodo 2017-2019 il 15 per cento dei punti sono classificati A2, il 53 per cento A3 e il 32 per cento subA3, ovvero categorie che richiedono interventi progressivamente più consistenti per la potabilizzazione. Il 96 per cento dei campioni monitorati presenta residui di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) e nel 16 per cento si sono osservati superamenti degli standard di qualità ambientale”.

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