Anche in Lombardia l’emergenza PFAS è fuori controllo.

Secondo i parametri vigenti negli Usa e in Danimarca l’acqua non sarebbe considerata potabile. Maglia nera alla provincia di Lodi. A Milano poco meno di un campione su tre è risultato contaminato.

Una nuova indagine di Greenpeace Italia sui PFAS, acronimo inglese di PerFluorinated Alkylated Substances (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, che contengono almeno un atomo di carbonio): micidiali perché idrorepellenti, stabili e resistenti alle alte temperature, micidiali incolori e inodori perchè una volta dispersi in natura -dalle calotte polari al latte materno delle orse, dal nostro cibo, nell’aria che respiriamo e anche nella pioggia – non si biodegradano mai tanto da essere definiti inquinanti eterni” (forever chemicals), micidiali per bioaccumulo nella catena alimentare perché tossici e cancerogeni (tiroide, fegato, sistema immunitario, obesità, diabete, colesterolo ecc.). Incolori e inodori, sono utilizzatissimi: dai cosmetici ai capi di abbigliamento impermeabili, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi in carta ecc.

Lo studio è stato condotto grazie a numerose richieste di accesso agli atti (FOIA) indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde: dei circa 4mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di PFAS, compreso il cC6O4 della Solvay di Bollate.  Un inquinamento che rischia di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari. Si può dire, quindi, con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini.

Secondo i parametri vigenti negli Usa e in Danimarca una parte dell’acqua della Lombardia non sarebbe considerata potabile.

Greenpeace Italia ha fornito una mappatura (disponibile su questo sito) per controllare gli esiti delle indagini e verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi proposti in altre nazioni come negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%). Il record negativo è detenuto dalla provincia di Lodi, con l’84,8% dei campioni risultato positivo alla presenza di PFAS; seguono le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive. Tuttavia, in termini assoluti, la provincia di Milano (dove si registra anche un numero più elevato di analisi effettuate) ha il triste primato del maggior numero di campioni in cui sono stati rilevati PFAS (ben 201), seguita dalle province di Brescia (149) e Bergamo (129). Particolari criticità emergono anche nei comuni di Crema (CR), Crespiatica (LO), Pontirolo Nuovo (BG), Rescaldina (MI) e nella zona di Cantù-Mariano Comense (CO). 

In particolare, per i record di Milano, Crema, Bormio clicca qui.

Greenpeace Italia chiede alla Regione Lombardia di individuare tutte le fonti inquinanti, al fine di bloccare l’inquinamento all’origine e riconvertire le produzioni industriali che ancora utilizzano queste sostanze. «È necessario varare un piano di monitoraggio regionale sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, rendendo disponibili alla collettività gli esiti delle analisi, e garantire il diritto della cittadinanza a disporre di acqua pulita e non contaminata», chiarisce Giuseppe Ungherese. La Regione deve, in particolare, «mettere in sicurezza gli acquedotti avviando una serie di controlli capillari e promuovendo un piando di riconversione industriale, quindi vietare l’uso di queste sostanze per quali esistono alternative più sicure e di minore impatto ambientale». Nel mentre, “Governo, Parlamento e Ministeri competenti devono assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i PFAS, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili dell’inquinamento».