IN ITALIA È IN ATTO UN CRIMINE AMBIENTALE E SANITARIO

CHIEDI AL GOVERNO ITALIANO LA MESSA AL BANDO DEI PFAS

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L’unico valore cautelativo della salute è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.  Eppure non esiste una legge che ne vieti la produzione e l’utilizzo in Italia.

Eppure in Italia nella scorsa legislatura è stato presentato in Senato da Mattia Crucioli un Disegno di Legge che vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

La situazione legislativa sarà oggetto della prossima puntata nel servizio, che partirà dalle analisi degli iceberg piemontesi e veneti: Solvay di Spinetta Marengo e Miteni di Trissino.

Questa puntata illustra invece le situazioni Pfas in Lombardia, Toscana e Trentino, utili anche da confrontarsi con le responsabilità in particolare della Regione Piemonte e del sindaco di Alessandria.

Anche in Lombardia l’emergenza PFAS è fuori controllo.

Secondo i parametri vigenti negli Usa e in Danimarca l’acqua non sarebbe considerata potabile. Maglia nera alla provincia di Lodi. A Milano poco meno di un campione su tre è risultato contaminato.

Una nuova indagine di Greenpeace Italia sui PFAS, acronimo inglese di PerFluorinated Alkylated Substances (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, che contengono almeno un atomo di carbonio): micidiali perché idrorepellenti, stabili e resistenti alle alte temperature, micidiali incolori e inodori perchè una volta dispersi in natura -dalle calotte polari al latte materno delle orse, dal nostro cibo, nell’aria che respiriamo e anche nella pioggia – non si biodegradano mai tanto da essere definiti inquinanti eterni” (forever chemicals), micidiali per bioaccumulo nella catena alimentare perché tossici e cancerogeni (tiroide, fegato, sistema immunitario, obesità, diabete, colesterolo ecc.). Incolori e inodori, sono utilizzatissimi: dai cosmetici ai capi di abbigliamento impermeabili, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi in carta ecc.

Lo studio è stato condotto grazie a numerose richieste di accesso agli atti (FOIA) indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde: dei circa 4mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di PFAS, compreso il cC6O4 della Solvay di Bollate.  Un inquinamento che rischia di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari. Si può dire, quindi, con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini.

Secondo i parametri vigenti negli Usa e in Danimarca una parte dell’acqua della Lombardia non sarebbe considerata potabile.

Greenpeace Italia ha fornito una mappatura (disponibile su questo sito) per controllare gli esiti delle indagini e verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi proposti in altre nazioni come negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%). Il record negativo è detenuto dalla provincia di Lodi, con l’84,8% dei campioni risultato positivo alla presenza di PFAS; seguono le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive. Tuttavia, in termini assoluti, la provincia di Milano (dove si registra anche un numero più elevato di analisi effettuate) ha il triste primato del maggior numero di campioni in cui sono stati rilevati PFAS (ben 201), seguita dalle province di Brescia (149) e Bergamo (129). Particolari criticità emergono anche nei comuni di Crema (CR), Crespiatica (LO), Pontirolo Nuovo (BG), Rescaldina (MI) e nella zona di Cantù-Mariano Comense (CO). 

In particolare, per i record di Milano, Crema, Bormio clicca qui.

Greenpeace Italia chiede alla Regione Lombardia di individuare tutte le fonti inquinanti, al fine di bloccare l’inquinamento all’origine e riconvertire le produzioni industriali che ancora utilizzano queste sostanze. «È necessario varare un piano di monitoraggio regionale sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, rendendo disponibili alla collettività gli esiti delle analisi, e garantire il diritto della cittadinanza a disporre di acqua pulita e non contaminata», chiarisce Giuseppe Ungherese. La Regione deve, in particolare, «mettere in sicurezza gli acquedotti avviando una serie di controlli capillari e promuovendo un piando di riconversione industriale, quindi vietare l’uso di queste sostanze per quali esistono alternative più sicure e di minore impatto ambientale». Nel mentre, “Governo, Parlamento e Ministeri competenti devono assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i PFAS, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili dell’inquinamento».

In Toscana ancora dati shock per i PFAS.

Come sempre in ogni verifica che si effettua in Toscana, e da anni ormai. L’Arpat ha pubblicato l’ennesimo dossier “Monitoraggio ambientale corpi idrici superficiali: fiumi, laghi, acque di transizione”, come parte di tutta una serie di analisi, verifiche e controlli che sono iniziati lo scorso anno e termineranno l’anno prossimo (triennio 2022/24). Il set completo dei dati ammonterà a varie decine di migliaia di analisi, sia chimiche che biologiche”.

“Con il 2022 inizia il nuovo ciclo triennale di monitoraggio su acque superficiali interne. La programmazione delle attività e il set di parametri da ricercare sulle stazioni di monitoraggio seguono i criteri dettati dalla direttiva europea, dal decreto di recepimento, e successivi decreti nazionali e delibere regionali di attuazione, e tengono conto delle linee guida del Sistema nazionale delle agenzie di protezione ambientale, Snpa”. Viene monitorata la matrice acqua, alla quale si aggiungono i sedimenti nelle acque di transizione e il biota, ovvero la ricerca di sostanze pericolose in organismi che occupano l’apice della catena alimentare in ecosistemi fluviali. Il monitoraggio sulle circa 250 stazioni dislocate in fiumi, torrenti, laghi e foci, viene dunque suddiviso in tre anni, all’interno dei quali si cerca di distribuire uniformemente sia i punti da controllare sul territorio sia il set di parametri da ricercare nel rispetto dei criteri, sufficientemente stringenti, dettati dalla linea guida Snpa per l’individuazione di pressioni e impatti sugli ecosistemi fluviali, lacustri e di transizione.

Se l’ARPA della Toscana sta facendo il suo lavoro, non altrettanto dall’opinione pubblica viene attribuito alla politica regionale: “Se si sa che l’inquinamento proviene chiaramente della industrie (tessile, conciaria e cartaria) può la Regione continuare a tacere invece di imporre prodotti privi di Pfas?”. A maggior ragione perché l’Ars Toscana (agenzia regionale di sanità) in un dossier dal titolo Welfare e salute in Toscana 2021 scrive: “Relativamente alla qualità delle acque destinate alla potabilizzazione, i monitoraggi del triennio 2017 – 2019 confermano i dati negativi degli anni precedenti. Dal 2004 nessun corpo idrico ha raggiunto la classificazione A1 (qualità buona), nel periodo 2017-2019 il 15 per cento dei punti sono classificati A2, il 53 per cento A3 e il 32 per cento subA3, ovvero categorie che richiedono interventi progressivamente più consistenti per la potabilizzazione. Il 96 per cento dei campioni monitorati presenta residui di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) e nel 16 per cento si sono osservati superamenti degli standard di qualità ambientale”.

Pfas “inquinante perfetto” in Trentino.

L’attenzione sui Pfas è stata riaccesa da un’inchiesta del quotidiano francese Le Monde: dai monitoraggi eseguiti dal 2018 ad oggi, in tutto il territorio provinciale sono state allarmate le acque sotterranee  nella  zona industriale di Rovereto dove è stata individuata come sorgente significativa l’area ex Gallox, e nella zona di Condino e Storo dove si ipotizza che la sorgente sia imputabile a un’ex fonderia, sulla quale sono in corso specifici accertamenti. Riguardo al comune di Arco sono stati previsti una serie di monitoraggi nelle acque sotterranee a valle della discarica della Maza.

Alla luce dei recenti dati, fanno sapere dalla Provincia, sono state tempestivamente avvisate le strutture competenti in materia sanitaria (Comune e Azienda provinciale per i servizi sanitari) per i controlli e le valutazioni in ordine alle problematiche connesse.

Le indagini andranno allargate e approfondite nella consapevolezza che i PFAS sono un inquinante ‘perfetto’ in quanto inodori, incolori, insapori e indistruttibili, non si riescono a percepire se non con un’apposita analisi chimica.

Porte aperte al deposito nucleare nazionale in Piemonte.

Legambiente: “Con la discarica Riccoboni a Sezzadio porte aperte al deposito nucleare? Con lo studio dell’Ato6 sulle aree di ricarica delle falde profonde viene meno uno dei motivi fondamentali di obiezione all’individuazione di AL13 come area idonea per il Deposito delle scorie radioattive”.

Ma quale emergenza?

Meloni, Von der Leyen e Bonaccini visibilmente commossi.

Le terre di Romagna vengono allagate per la seconda volta in un mese e le istituzioni a tutti i livelli e i loro giornali gridano all’emergenza. Ma, con dizionario alla mano, emergenza significa circostanza non prevista. Ma come si fa a definire “circostanza non prevista” un fenomeno che, come dimostrano gli annuali rapporti dell’Ispra, è strutturale? Scorrendo l’ultimo di questi (2021) si legge che il 93,9% dei Comuni italiani (7423) è a rischio frane, alluvioni e/o erosione costiera. Più precisamente, abbiamo 1,3 milioni di abitanti a rischio frane e 6,8 milioni a rischio alluvioni. Sempre secondo il rapporto, le regioni più a rischio sono Emilia Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria. Servono 26 miliardi, qui ed ora, per il riassetto idrogeologico del territorio. Continua qui.