Grazie, Follereau, ma la lebbra colpisce ancora.

<< In prima elementare con le suore, ricordo di aver conosciuto il grande papillon di Raoul Follereau. Sta animando  la campagna “il costo di un giorno di guerra per la pace”, rivolta all’ONU, a cui aderiscono in 125 paesi 4 milioni di giovani. Io tra essi. Ci racconta che, giornalista in Africa, la jeep con la quale viaggiava è costretta a fermarsi presso uno stagno: in quel momento dal fitto della foresta emergono i lebbrosi, dai visi impauriti e dai corpi distrutti e rovinati dalla malattia, con un disperato bisogno di cibo. Questo incontro aveva cambiato la sua vita. Follereau spiega che la lebbra si potrebbe curare con medicinali che costano pochissimo, allarga il discorso a quelle che lui chiama le “altre lebbre”: l’indifferenza, l’egoismo, l’ingiustizia. Prendo consapevolezza che la malattia non sarà mai vinta fino a quando milioni di persone saranno colpite dalla povertà, dallo sfruttamento, dalla fame,  dalla guerra. Grazie ad un cattolico apprendo i primi rudimenti del marxismo. Follereau sta girando il mondo con conferenze: morirà nel ’77 dopo essere riuscito a guarire un milione di lebbrosi, avendo percorso due milioni di chilometri e raccolto e distribuito ai malati milioni di dollari. Altro ricordo con le suore: il baciamano che rifiuto al vescovo perché aveva un enorme anello al dito. Me lo sognai negli anni a venire mentre glielo rubavo con la bocca. Nel suo piccolo, un esproprio proletario>>. (da Frammenti, di Lino Balza). Oggi la lebbra è stata ridimensionata ma colpisce ancora 200mila persone all’anno  (continua…)