“Non vogliono la guerra ma la fanno”.

Noi pacifisti nonviolenti, ignorati e giudicati con sufficienza anche da tanta parte dei media, non siamo passivi e non siamo equidistanti tra aggrediti e aggressori, ma non ci limitiamo a ripetere luoghi comuni: sosteniamo per esempio i nonviolenti russi e ucraini, che si oppongono con coraggio al pensiero dominante nei loro paesi e non chiedono sostegni militari per le loro patrie. Il movimento pacifista ucraino, per bocca del suo portavoce Yurii Sheliazhenko, docente alla KROK University a Kiev, ha scritto: « Per risolvere l’attuale conflitto militare a due binari, Ovest vs Est e Russia vs Ucraina, nonché per fermare qualsiasi guerra ed evitare guerre in futuro, dovremmo usare tecniche di politica nonviolenta, sviluppare una cultura di pace e educare alla pace le prossime generazioni. Dovremmo smettere di sparare e iniziare a parlare […]Sarebbe meglio resistere ai comportamenti sbagliati senza violenza e aiutare le persone fuorviate e militanti a comprendere i benefici della nonviolenza organizzata.» In verità il metodo nonviolento non è conosciuto, studiato e sviluppato, mentre quello violento militarista è di istintiva immediatezza ed ha alle spalle strutture collaudate e foraggiate con i soldi dei contribuenti.

Arrendendosi all’aggressore? Certo che no. Ma, pur comprendendo le giuste ragioni di sovranità e autodeterminazione dell’Ucraina, ritengo sconveniente combattere militarmente contro il prepotente nemico russo che bombarda l’Ucraina. Oggi mezza Ucraina è distrutta. E allora chiedo: non sarebbe stato meglio (e ancora oggi sarebbe meglio) concedere qualcosa dell’integrità territoriale, rinunciare all’ingresso nella Nato, accettare di essere uno stato neutrale, magari smilitarizzato?

Clicca qui l’intervento  del presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione branca italiana dell’IFOR (International Fellowship of Reconciliation)