Le sanzioni alla Russia? Un’arma spuntata secondo l’ISPI.

Intanto la guerra rischia di portare l’Italia in recessione economica. L’ISPI è un prestigioso istituto di ricerca sulla politica internazionale. Ha rilasciato un dossier sull’efficacia delle sanzioni sulla Russia. Il quadro è sconfortante: sono un’arma “spuntata”. La Russia ha facilmente aggirato molte sanzioni con triangolazioni verso i tanti paesi che non hanno aderito alle sanzioni lanciate dalla Russia e dall’Unione Europea. L’81% delle nazioni nel mondo non hanno seguito la NATO nel sanzionare la Russia. Non solo: le entrate per il gas sono aumentate e la Russia oggi ha più risorse economiche di prima grazie al gas diventato merce ricercata e pertanto pregiata. Proprio perché la guerra ha ridotto il flusso del gas, ecco che i prezzi sono schizzati alle stelle.

Zelensky, inoltre, pur chiedendo all’Europa di non comprare il gas russo, di fatto acquista il gas russo. Lo fa non direttamente da Putin ma dall’Europa che lo compra dalla Russia e lo rivende all’Ucraina. Quindi anche l’Ucraina finanzia la guerra del suo nemico. E le banche? Le banche russe tagliate fuori dal circuito mondiale sono solo una parte. Clicca qui.

E mentre ci viene presentata in televisione una Russia economicamente in ginocchio, la realtà è diversa. Il rublo ha riacquistato quota dopo una flessione dovuta ai primi giorni di guerra e ora è ai livelli pre-guerra. In conclusione: la teoria secondo cui sarebbe in corso – grazie alle sanzioni dell’Occidente – un tracollo dell’economia russa non ha riscontro nelle analisi dell’ISPI. Viceversa l’Italia sta per avvicinarsi alla recessione. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha delineato vari scenari: «Nel secondo scenario, la crescita 2022 scenderebbe ulteriormente all’1,6%, e all’1% nel 2023. Nello scenario più severo, nel 2023 saremmo in recessione conclamata. Numeri che spaventano, spaventano in maniera molto forte». 

L’Italia comanderà la Nato in Iraq. Chiediamo invece che esca da quel pantano.

La NATO  (North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord)  fu istituita nel 1949 in funzione difensiva: garantire la sicurezza del mondo occidentale dalla minaccia comunista (vera o presunta che fosse), ovvero reagire ad un attacco dell’Unione Sovietica  in Europa o in America settentrionale (art. 5 del Trattato). L’URSS e gli Stati  satelliti  risponderanno nel 1955 con il Patto di Varsavia.

Quale funzione collettiva contro la Russia ha  giustificato l’intervento della Nato  in Bosnia, Erzegonia (1995-2004), Kosovo (1999), Afghanistan (2001-2021), Libia (2011)?  In realtà la Nato è uno strumento militare e politico degli USA nel mondo. 

Quando il 20 marzo 2003 gli Usa invasero (la seconda guerra del petrolio) l’Iraq, migliaia di manifestazioni e proteste si tennero in tutto il mondo, al punto che il New York Times definì l’opinione pubblica mondiale l’unica “superpotenza” in grado di contrastare gli Stati Uniti.  Gli effetti pratici furono irrilevanti. L’Italia all’invasione fornì appoggio politico e logistico, e poi partecipò con un contingente “di pace” di 3.200 uomini e 33 morti (governi Berlusconi, Prodi).

L’Italia  è presente sul territorio iracheno da quasi vent’anni: tra il 2003 e il 2006 le truppe italiane furono impegnate nella missione Antica Babilonia, segnata dalla strage di Nassiriya. Fu poi parte attiva della prima Nato Training Mission Iraq, tra il 2004 e il 2011, ed entrò nuovamente in forze in Iraq nel 2014 con l’operazione Prima Parthica, nell’ambito della missione internazionale Inherent Resolve, avviata dalla coalizione globale contro Isis.

L’ormai prossima assunzione italiana del comando della Nato in Iraq, senza una minima discussione pubblica, amplierebbe la nostra missione da 500 a 4.000 uomini trasformandola di fatto in missione di combattimento.  L’Iraq infatti è un paese nel quale si combatte da tempo una parte del conflitto che oppone Stati Uniti e Iran. Un conflitto combattuto tramite terze parti e giocato con cinismo sulla pelle di donne e uomini iracheni e che tiene in ostaggio il Paese da anni. In questo pantano di un rinvigorito terrorismo, il rischio concreto è che l’Italia, sostituendo gli Stati Uniti, rimanga invischiata nella lotta per il controllo dell’Iraq, e con la conseguenza, tra l’altro, di nuovi gravi rischi anche per la sicurezza delle organizzazioni umanitarie italiane che operano in Iraq