Dona il Sangue, non il PFOA

Su Il Piccolo di venerdì scorso è stato pubblicato un articolo che testimonia la soddisfazione manifestata dall’AVIS per i risultati ottenuti nel 2009.
Ben 374 nuovi donatori solo nell’ultimo anno e un considerevole aumento delle sacche di sangue messe a disposizione dell’ospedale di Alessandria (oltre 4400).
Questi numeri spaventano sapendo che molti dei donatori sono dipendenti della Solvay Solexis e quindi che il loro sangue potrebbe essere contaminato da quantità più o meno alte di PFOA.
Quanto PFOA c’era nelle oltre 4400 sacche di sangue?
Ci auguriamo che l’AVIS abbia provveduto autonomamente ad escludere questo pericolo.
Medicina Democratica è molto preoccupata dall’inerzia dimostrata dal Sindaco, dai Politici locali e dagli Enti preposti nel non avere ancora adottato o quanto meno discusso misure preventive in tal senso.
La prerogativa deve essere la qualità del sangue donato non la quantità altrimenti non faremmo altro che condannare le persone che ricevono una trasfusione a malattie tiroidee.

Lettera a Mina

Cara Mina, (ti ascolto sempre) ti ho letto su La Stampa di domenica: “Ma il Po non morirà”. No, cara Mina, non è così. Ci si impressiona per l’onda minacciosa dal Lambro in quanto il petrolio è nero, si vede. Il PFOA invece non si vede, trasparente ma ben più micidiale. Il CNR Consiglio Nazionale della Ricerca l’ha trovato perfino alla foce del Po, dopo che ha percorso 600 chilometri. Perché è indegradabile nell’acqua (però bioaccumulabile nei tessuti viventi). E’ scaricato a Spinetta Marengo (Alessandria) dalla Solvay, società già sotto processo per lo scandalo del cromo esavalente, cancerogeno. Dalla Bormida finisce in Tanaro e infine nel Po. L’acqua contiene concentrazioni enormi di PFOA: fino a 1.500 ng/l, quando gli altri fiumi italiani ed europei non superano mai 1-20 ng/l. Il PFOA, acido perfluorottanoico, è tossico, mutageno, cancerogeno, teratogeno, se respirato o bevuto o mangiato col pesce e nella catena alimentare. Sono copiose le risultanze del mondo scientifico internazionale che abbiamo consegnato nei nostri esposti alla Procura della Repubblica di Alessandria: EPA Environmental Protection Agency, Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie, Codacons, WWF, Greenpeace, IRSA Istituto di ricerca delle acque, Joint Research Centre di Ispra, ISS Istituto superiore della sanità, Fondazione Maugeri, Ministero dell’ambiente, Parlamento europeo ecc. Medicina democratica ha chiesto di vietare la pesca in Bormida, Tanaro e Po, di vietarne l’uso potabile, di vietare le donazioni sangue dei lavoratori Solvay, e ovviamente di eliminare lo scarico dei veleni in aria e acqua.
Mentre in Italia mancano limiti di legge (colpevolmente, come era per l’amianto), il PFOA, utilizzato per il Teflon delle padelle antiaderenti e per il GoreTex dei tessuti,è stato finalmente messo al bando negli USA, dopo 101,5 milioni di dollari sborsati dalla Du Pont per risarcimenti alla popolazione, quando l’EPA (Environmental Protection Agency) l’ha trovato nel sangue umano e nei cordoni ombelicali, dopo aver accertato nelle cavie tumori, soprattutto al fegato, interferenze al sistema endocrino, con l’asse ipotalamo-ipofisi, alterazioni degli ormoni tiroidei, cancro alla tiroide, danni allo sviluppo e alla riproduzione, riduzione del peso alla nascita, inversione sessuale nei pesci ecc. In Italia, ha confermato il Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie. Così ha fatto l’Istituto superiore della Sanità. Il Codacons ha chiesto di sequestrare 150 milioni di pentole di Teflon. Il Ministero dell’Ambiente, invece, non ha saputo fare altro che commissionare un altro studio al CNR, peraltro senza finanziarlo. Nessuna legge è stata approvata. Perciò, cara Mina, a Pontelagoscuro (Ferrara), alla foce del Po, il PFOA è sempre a 200 ng/l, infatti non si degrada nell’acqua, anzi si accumula nei tessuti viventi. Così il Po morirà!

Lino Balza

Spinetta Blocco del Traffico ma non dell’Inquinamento

Riceviamo da un abitante di Spinetta Marengo e volentieri pubblichiamo.

Il Sindaco per motivi di prevenzione degli inquinamenti e tutela della salute, sospende la circolazione veicolare nell’area centrale interna agli spalti e nelle vie di competenza comunale dei sobborghi alessandrini compresa quindi anche l’area di Spinetta Marengo.
Come mai il nostro Sindaco non ha mai adottato alcuna misura di prevenzione per gli inquinamenti prodotti dalla Solvay Solexis?

Un inquinamento, per intensità e per natura ben più grave, dato
dallo scarico dei reflui nel fiume Bormida e dalle continue e spesso visibili emissioni in atmosfera.

La Solvay dichiara di scaricare nel fiume una tonnellata di PFOA all’anno.
In Bormida e Tanaro è stata trovata una quantità di PFOA fino a 1.500 volte superiore a quella riscontrata negli altri fiumi europei.
Recentemente dei ricercatori della University of Exeter, in uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives, hanno affermato che il Pfoa ovvero l’acido perfluorottanico depositandosi in alte concentrazioni nel nostro organismo attraverso ingestione o respirazione, è implicato nei cambiamenti dei livelli di ormoni tiroidei nel sangue provocando cosi problemi e malattie alla nostra ghiandola endocrina.
Il Pfoa raddoppia il rischio di malattie tiroidee nelle donne poiché soggetti già notoriamente più a rischio.

L’emissioni in atmosfera della Solvay sono costituite genericamente da gas di fluoroderivati (ACIDO FLUORIDRICO, TETRAFLUOROETILENE, PERFLUOROPROPENE, PFIB, PFOA ecc).
Nei migliori dei casi queste emissioni sono rappresentate dal vapore utilizzato nelle linee a bassa e a alta pressione o che deriva dalle attività della centrale elettrica interna allo stabilimento.
Questo vapore viene ottenuto dall’acqua di falda contaminata dal Cromo esavalente e da altri 20 diversi inquinati.

Black Out: Accesso Vietato ai Dati Ambientali della Solvay

Nel 2008 è scoppiato lo scandalo dell’inquinamento del polo chimico di Spinetta Marengo (AL): grazie all’azione della Magistratura i dati di inquinamento del suolo e dell’acqua (e presto anche quelli dell’aria) hanno finalmente finito di essere nascosti nei cassetti. Però da oltre un anno Comune, Provincia, Regione, Arpa, Asl, Amag ecc. non hanno più fornito alla popolazione i successivi dati ambientali, tanto meno quelli sanitari, e neppure è stato fatto nulla per la bonifica del sito dal cromo esavalente e da altre decine di veleni. I cittadini, di nuovo, non sanno da mesi cosa stanno respirando, bevendo, mangiando.
Abbiamo così fatto formale richiesta di avere e divulgare copia di questi dati. L’Arpa “rifiuta l’accesso alle informazioni ambientali richieste in quanto gli atti in oggetto sono sottoposti a sequestro da parte della Procura della Repubblica di Alessandria”. Restiamo perplessi. Non obiettiamo per gli accertamenti ordinati dalla Procura: senz’altro sono secretati per legge in relazione al processo penale che si sta per aprire. Ci chiediamo però se tutti, proprio tutti, i dati sono stati ordinati dalla Procura. Ci chiediamo, cioè, se Arpa e Asl non abbiano fatto controlli non ordinati dalla Procura, di propria iniziativa, fossero solo di routine: anche questi sono secretati? Ci chiediamo se Comune, Provincia e Regione non abbiano ordinato di propria iniziativa controlli ad Arpa e Asl, e se non l’hanno fatto: perché? E se l’hanno fatto: perché non li rendono pubblici?
Addirittura nulla si sa degli incidenti da noi denunciati.
A questo proposito, l’Arpa ci ha replicato di non avere il permesso di fare controlli dentro o nelle vicinanze dello stabilimento. Abbiamo allora sollecitato Comune, Provincia, Regione, Arpa, Asl, a chiedere con noi la modifica del Piano di emergenza esterno, quello che serve a salvare la vita a migliaia di persone.
In conclusione: c’è un black out di informazioni sul polo chimico. Altro che Osservatorio ambientale della Fraschetta! Non è che dobbiamo chiedere direttamente alla Solvay i dati ambientali, certamente perfetti?

Il Piano di Emergenza Esterno della Solvay Solexis

In merito all’incidente da noi denunciato del 20 gennaio alla Solvay di Spinetta Marengo, prendiamo atto delle circostanziate precisazioni del direttore dell’ARPA, Alberto Maffiotti, circa i lacci e laccioli normativi che impediscono all’ARPA di entrare dentro lo stabilimento e neppure nelle dirette vicinanze (zona rossa) per i controlli delle emergenze in corso, e che consentono all’azienda la esclusiva discrezionalità di dichiarare o lo “stato di attenzione” o lo “stato di preallarme” o lo “stato di allarme esterno”. Solo in caso di “stato di allarme”, che consente anche al Prefetto di far scattare l’eventuale “stato di emergenza alla popolazione”, infatti l’ARPA e l’ASL ecc. possono intervenire -a cessato allarme- nella “zona rossa” per rilevare i danni ambientali e sanitari. Solo in questo caso e comunque a posteriori, cioè quando i buoi (la salute) sono già scappati dalla stalla.
Ne prendiamo atto ma denunciamo all’opinione pubblica che tale anomalia è contraria alla tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini, e perciò chiediamo che sia radicalmente modificato il “Piano di emergenza esterno” redatto dalla Prefettura di Alessandria. Riteniamo che ARPA, ASL, Comune, Provincia, Regione, sindacati debbano associarsi a questa richiesta.

Dimissioni del Presidente e del Progetto Cromo dell’Amag


I reati ambientali, nonché di corruzione e peculato, che la Procura di Alessandria contesta al presidente dell’AMAG, Lorenzo Repetto, sono scaturiti dalle perquisizioni effettuate tramite i carabinieri del NOE durante le indagini sullo scandalo cromo esavalente della Solvay a Spinetta Marengo.
Repetto era stato oggetto di pubbliche contestazioni da parte di Medicina democratica in occasione del “piano Amag Fraschetta” che egli aveva presentato in linea, come si vede, con le sue competenze professionali e non. E’ auspicabile che con le sue dimissioni da presidente AMAG anche il finto progetto di bonifica si infogni. Su questo, che avevamo definito “business privato con soldi pubblici”, avevamo scritto ai giornali: a Repetto, presidente dell’AMAG, contestiamo il riproposto progetto di megadepuratore che dovrebbe “lavare” le acque inquinate del polo chimico spinettese. Si tratta di una ipotesi tecnicamente inefficace e costosa. Per l’impossibilità di captare completamente la massa d’acqua, il fiume che scorre sotto la Fraschetta. E per l’incapacità di eliminare non solo il cromo esavalente ma l’altra ventina di sostanze tossiche e cancerogene. Sarebbe come aver proposto di lavare il fiume Bormida dagli scarichi dell’Acna di Cengio! I veleni vanno invece eliminati a monte e non a valle. L’area di Spinetta Marengo va bonificata all’origine, i veleni vanno tolti dal suolo altrimenti per centinaia di anni continueranno incontrollabili a scendere e inquinare le falde. Ancor peggio dell’Ecolibarna di Serravalle Scrivia. A maggior ragione perché Repetto dichiara di realizzarlo in tutto o in massima parte con i soldi pubblici, il progetto del megadepuratore è ovviamente caldeggiato dalla Solvay altrimenti costretta a sopportare -come sosterrà Medicina democratica quale parte civile al processo- l’onerosità della bonifica integrale del sito. Piacerà anche a tutti gli inquinatori della Fraschetta che si sentiranno ancor più esentati dal contenere e purificare gli scarichi.


Il gravissimo inquinamento del suolo e delle acque nella avvelenatissima (anche nell’aria) zona Fraschetta di Alessandria è tutt’altro che affrontato e risolto dal piano AMAG benedetto tanto dal Comune che dalla Provincia. Si tratta di un piano faraonico, dal finanziamento incerto, per un costo già sottostimato a 52 milioni di euro ma, come sempre nelle grandi opere, destinato a lievitare negli anni, senza contare poi gli enormi oneri di gestione e di smaltimento. Un business che, invece di eliminare gli inquinanti all’origine e a totale carico dell’inquinatore, li scarica all’esterno a spese della collettività inquinata. Una spesa iperbolica che lascia i veleni dove sono sepolti, non li asporta dal terreno sotto la Solvay di Spinetta Marengo per la bonifica,ma cerca di raccoglierli quando sono già penetrati nelle falde acquifere. Però gli 11 pozzi spurgo, cosiddetta “barriera”, non riusciranno mai a “succhiare” l’intera falda, ad intercettare ed eliminare totalmente i veleni di cromo e solventi clorurati. Mai nei 20 anni previsti, previsione quanto mai ottimistica visto che, non avendo mai fatto capillari carotaggi, neppure sanno la quantità vera di veleni sotterrati sotto lo stabilimento. Con questo piano, ammesso che verrà mai alla luce e nei 18 mesi previsti, la Solvay potrà continuare a inquinare per altre decine di anni, anzi all’infinito, e la riduzione del danno sarà scaricata sulle casse pubbliche, finanziata da comune, provincia, regione, governo, sempre che si trovino i fondi, e con un “contributo” simbolico dell’azienda inquinatrice previsto al massimo per un decimo dei costi. Un business privato, uno spreco di denaro pubblico. Che dovrebbe invece essere utilizzato per una vera e completa indagine epidemiologica che renda finalmente giustizia e risarcisca le centinaia, forse più, di vittime dell’inquinamento della Fraschetta, dove non c’è famiglia che non sia stata colpita da tumori. Perciò, piuttosto che ai politici, ci affidiamo alla Magistratura, nel processo dove Medicina democratica sarà parte civile, per imporre secondo giustizia alla Solvay inquinatrice l’onere della bonifica e il risarcimento dei danni fisici e materiali agli inquinati.

Solvay Solexis: L’ennesimo incidente

Ieri pomeriggio alla Solvay Solexis di Spinetta Marengo pare si sia verificato l’ennesimo incidente.
Alle ore 13 al reparto Tecnoflon, con l’ausilio del vapore, il personale addetto ha messo in pressione un Bombolone di CTFE (Chlorotrifluoroethylene).
Il CTFE è un gas inodore, incolore, infiammabile e instabile che viene utilizzato nella produzione di Fluoro Elastomeri e come prodotto intermedio di pesticidi.
Sembra che l’apparecchiatura abbia superato la pressione di sicurezza facendo così intervenire le valvole di sfiato all’aria.
Questo automatismo è previsto proprio per evitare l’esplosione del bombolone stesso.
Pare che il personale Tecnoflon, vittima dell’improvviso evento, senza l’ausilio di maschere abbia tentato invano di intervenire.
Si sono dovute attendere parecchie ore prima che la situazione si ristabilisse con un imponente rilascio in atmosfera dell’inquinante.
A qualcuno risulta che sia stata data notizia dell’incidente dagli enti preposti o che sia stata avvisata la popolazione?
Le centraline di rivelamento dell’Arpa avranno individuato l’inquinante?
Se la risposta è no, ci chiediamo se sia lecito pensare che l’apparecchiatura utilizzata e la sua dislocazione rendano inattendibili i risultati dei controlli ambientali effettuati dagli enti competenti.

Perseverare è Diabolico

CERTIQUALITY è un Organismo al servizio delle imprese accreditato per la certificazione dei sistemi di gestione aziendale per la qualità, l’ambiente, la sicurezza e nella certificazione di prodotto.

CERTIQUALITY opera inoltre nella verifica della sicurezza alimentare, dei sistemi informativi, e nella formazione.

CERTIQUALITY è stato fondato nel 1989 da FEDERCHIMICA e ASSOLOMBARDA

CERTIQUALITY il 30 Gennaio 2008 certifica che la Solvay Solexis di Spinetta Marengo “HA ATTUATO E MANTENUTO UN SISTEMA DI GESTIONE AMBIENTE CHE E’ CONFORME ALLA NORMA”.

A Maggio dello stesso anno scoppia lo scandalo del Cromo Esavalente.

FEDERCHIMICA fa parte di CONFINDUSTRIA.

Il 10 Ottobre 2008 il direttore della Solvay Solexis (Stefano Bigini) riceve un avviso di garanzia in seguito al procedimento penale aperto dalla Procura Repubblica di Alessandria in merito all’inquinamento da cromo esavalente delle falde.

Il 30 Settembre 2009 CONFINDUSTRIA nomina STEFANO BIGINI Vice Presidente “con delega all’EDUCATION “.
Il 31 Ottobre 2009 ,a un mese dalla nomina di Confindustria e al termine delle indagini della Procura, il sig. Bigini compare nella rosa dei 38 indagati che dovranno presentarsi davanti alla Corte d’Assise per rispondere di avvelenamento doloso delle acque di falda (superficiali e profonde) e di omessa bonifica.

CERTIQUALITY: Inattendibile

Fai click sull’immagine per ingrandire

Questo sedicente “Istituto di certificazione della qualità” -il 30/1/2008– ha certificato, cioè attestato/assicurato/garantito, che la Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria) “HA ATTUATO E MANTIENE UN SISTEMA DI GESTIONE AMBIENTE CHE E’ CONFORME ALLA NORMA”. Alla luce di quanto è già successo (38 indagati per avvelenamento doloso e mancata bonifica), la domanda è spontanea: come è possibile? Semplice: basta pagare. Non dovrebbero invece essere le istituzioni pubbliche a effettuare i controlli?

Solvay Solexis pubblica le certificazioni sul proprio sito: Clicca qui

VIVERE CON I VELENI

Luigi Pelazza con i proprietari del Ristorante di Alessandria “IL VICOLETTO”

Solvay Solexis – Cromo Esavalente e PFIB
Il servizio dell’inviato delle Iene Luigi Pelazza si è concentrato nella prima parte sul cromo esavalente, un minerale con caratteristiche tossiche e cancerogene, in grado di provocare sterilità e mutazioni genetiche. Il problema risale agli anni ’60 quando a Spinetta c’era ancora la Montedison che produceva, tra le altre sostanze chimiche, anche il bicromato di potassio, contenente per l’appunto il cromo esavalente, che all’epoca poteva essere smaltito, senza alcun problema, semplicemente dissotterrandolo nel terreno della fabbrica. Lo scandalo risiede nel fatto che fino al maggio 2008, per un tacito accordo tra Montedison e abitanti di Spinetta, questi ultimi utilizzavano gratuitamente l’acqua accettando la presenza dello stabilimento inquinante a pochi passi dalle case. A partire dal 28 maggio 2008, il sindaco di Alessandria Fabbio vieta ai cittadini di Spinetta di utilizzare l’acqua proveniente dalla falda vicina per uso potabile e irriguo, data l’alta concentrazione di cromo VI riscontrata dalle rilevazione dell’ASL. Nel 2002 la Solvay acquista il polo chimico, nonostante sia a conoscenza della presenza di cromo VI, e si impegna a disporre un piano di bonifica con le istituzioni per evitare l’inquinamento delle falde acquifere. Ma il cromo finisce nelle falde e i danni inevitabilmente ci sono: per esempio, nell’inverno del 2005, in uno dei magazzini dello stabilimento, in seguito allo scioglimento della neve, comincia a trasudare dai muri e dal pavimento un liquido giallognolo riconosciuto come cromo esavalente. Quando uno dei lavoratori si rivolge al superiore, non ricevendo chiarimenti in merito, avverte il servizio Spresal dell’Arpa, che, dopo le analisi, vieta l’ingresso senza dispositivi di sicurezza (mascherine, occhiali). E immediatamente lo stesso lavoratore che aveva fatto la denuncia viene licenziato. Dopo la denuncia del lavoratore, anche sui giornali compaiono servizi al riguardo (si veda l’articolo della Stampa del 27 maggio 2008 a firma di Massimo Putzu). La magistratura di Alessandria inizia degli accertamenti e invia quattro avvisi di garanzia a quattro dirigenti della Solvay per inquinamento ambientale. Pelazza passa poi ad intervista tre dirigenti della Solvay: il direttore generale Bigini, il responsabile dell’ufficio stampa Novelli e il direttore del personale Bessone. Secondo il direttore generale, il fabbricato di cui si parlava poco sopra è ancor oggi inquinato, mentre secondo il direttore del personale in quelle stanze non è mai entrato alcun lavoratore, nonostante la foto di una scrivania con cartelle di lavoro e un telefono sembrano sconfessarlo. Pelazza chiede anche informazioni riguardo la lavorazione del PFIB o perfluoroisobutene, altra sostanza altamente tossica se inalata. Dinanzi al documento della dott.ssa Valeria Giunta, responsabile per l’igiene ambientale della Solvay, nel quale era scritto che “nel caso di presunta presenza di PFIB, sospendere l’analisi fino a conferma dell’assistente…“, il direttore generale Bigini non sa letteralmente cosa dire. Gli stessi dirigenti sono così preoccupati che quando il giornalista si rivolge ad un ingegnere per avere chiarimenti in merito alle rilevazioni di fughe di PFIB, i dirigenti si mettono in mezzo alla discussione per evitare di far parlare serenamente l’ingegnere. L’inviato delle Iene si reca poi al laboratorio contaminato dal cromo VI; a rispondere alle domande è ora Novelli, responsabile dell’ufficio stampa. Afferma che il laboratorio è stato chiuso, ma solo nel momento in cui sono emerse anomalie: solo quando è stato ritrovato cromo esavalente ai lavoratori è stato impedito di operare al suo interno cosicché il direttore del personale è stato sbugiardato per la seconda volta. Infine Pelazza ci parla del cosiddetto “pozzo numero 8”, situato all’interno della fabbrica, il quale ha rifornito di acqua non solo la fabbrica ma anche molte famiglie di Spinetta Marengo e la cui acqua, a detta di Novelli, era potabile. Tuttavia anche questo pozzo è stato chiuso dall’ordinanza del sindaco di Alessandria e la ditta è stata costretta all’allacciamento con l’acquedotto, sebbene, secondo i dirigenti, tale decisione sia stata presa solo a scopo precauzionale. Di tutt’altro avviso Fabbio: il pozzo “non aveva i valori corretti“; inoltre, “la pericolosità dell’azienda sta nell’aria, non nell’acqua”, in quanto una perdita può portare “alla morte di tremila persone in mezz’ora“. Sconcertanti sono le testimonianze degli abitanti di Spinetta: tutti hanno bevuto l’acqua contaminata, si fidavano della Solvay. E poi gente che racconta della polvere rossa sui marciapiedi o delle calze sintetiche letteralmente mangiate dall’aria. Ma c’è anche chi fa presente che ieri la Montedison e oggi la Solvay vogliono dire lavoro: senza di essa ci sarebbero molti disoccupati.
Ringraziamo Aldo Bonaventura per il dettagliato resoconto del servizio.
Le Iene – Vivere con i Veleni – 27 ottobre 2009