Libertà di stampa al tempo della propaganda di guerra.

Il giornalista lo fa per attitudine prostituente ma anche per mestiere ad attaccare i buoi dove vuole il padrone. Il pretesto è che la maggior parte delle testate è in perdita: il posto di lavoro del direttore e dei redattori dipende tutto dalla benevolenza di chi, l’editore, continua a ripianare il rosso:  la testata deve continuare a esistere solo perché gli serve per altro: ad esempio influenzare la classe politica locale e nazionale per ottenere leggi o provvedimenti favorevoli (spesso i nostri editori sono industriali, finanzieri, proprietari di cliniche, costruttori); per attaccare concorrenti o amministratori pubblici; per blandire chi potrebbe fare dei favori. Così, capita l’antifona, il giornalista o il direttore che teme di ridurre il proprio stipendio si mette al vento e vince l’autocensura. A maggior ragione quando tutto il quadro politico è compreso dentro la maggioranza di governo: i giornali e i telegiornali diventano l’uno la fotocopia dell’altro. Aggiungi la propaganda di guerra.