In Europa crescita di alta concentrazione di PFAS nell’acqua dolce, compresa l’acqua potabile.

Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea le “Linee guida tecniche sui metodi d’analisi per il monitoraggio delle sostanze per- e polifluoro alchiliche (PFAS) nelle acque destinate al consumo umano”. Nel documento si legge che “si rileva in tutta l’UE la crescita del numero di casi di alta concentrazione di PFAS nell’acqua dolce, compresa l’acqua potabile”, per questo la Commissione, con queste nuove linee guida, vuole imprimere un’accelerazione al monitoraggio dei PFAS con criteri omogenei nell’ambito dell’Unione Europea, in base a quanto stabilito dalla direttiva (UE) 2020/2184, recepita in Italia con il D.Lgs. 23 febbraio 2023, n.18). Clicca qui.

Occhio ai Pfas nelle vongole.

Nuova allerta alimentare per un lotto di vongole del Pacifico surgelate. Il Ministero della Salute ha disposto il  ritiro da un ipermercato di vongole sgusciate e surgelate: “Vongole del Pacifico sgusciate cotte surgelate” da 800 grammi del marchio Coralfish, importate da Panapesca Spa. Il nome del produttore è Ngoc Ha Co food processing and trading, con base in Vietnam. I supermercati dovrebbero aver  provveduto a rimuovere dagli scaffali le confezioni.
 
L’esposizione ai PFAS dunque non avviene solamente nelle zone altamente contaminate, ma anche, magari attraverso imballaggi alimentari, mangiando frutta, verdura, carne e derivati e prodotti ittici. Su questi ultimi lo studio americano condotto nel New Hampshire – tra i principali consumatori di frutti di mare degli Usa – ha evidenziato come il consumo frequente di frutti di mare comporti una maggiore esposizione ai PFAS. Per quanto riguarda frutta e verdura invece, è l’ONG PAN Europe a fare un quadro della situazione, tutt’altro che positivo: negli ultimi 10 anni, c’è stato un aumento del 220% delle tracce di forever chemicals in frutta e ortaggi dell’Ue. Altri studi hanno rilevato le sostanze per-e polifluoralchiliche anche in carne (soprattutto lavorata), uova, riso bianco e caffè.

Usare carta da forno solo se con l’etichetta “pfas free”.

L’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE Italia), ha pubblicato un position paper che raccoglie ricerche e documenti che analizzano gli effetti sulla salute dei PFAS tossici e cancerogeni.
 
Alternative alla carte da forno sono i tappetini riutilizzabili in silicone alimentare, che possono essere usati centinaia di volte, ma è  importanza cruciale affidarsi ad aziende che espongono nelle confezioni i marchi sulla sicurezza alimentare.
 
L’alternativa semplice è l’uso di grassi naturali (come l’olio d’oliva), oppure di foglie naturali, come quelle di banano, di vite o di cavolo.
 
L’alternativa globale è chiudere le produzioni Pfas si Spinetta Marengo e vietare per legge l’uso e il consumo di tutti i prodotti contenenti Pfas.

L’Italia cuoce nei Pfas a fuoco lento.

Sono passati più di vent’anni da quando, già licenziato e riassunto di nuovo dal pretore, stavo facendo campagna in Italia contro l’uso delle ormai famose “padelle antiaderenti” ai cibi, antiaderenti grazie al miracoloso Teflon prodotto dalla Solvay di Spinetta Marengo (AL), azienda di cui ero dipendente. Eppure vedo ancora oggi esposte nei negozi padelle antiaderenti senza il marchio “Pfas free”, e malgrado che nel frattempo la cancerogenicità del PFOA sia ormai scientificamente assodata e allertata. E malgrado che siano tranquillamente disponibili pentole e padelle in acciaio inox, ghisa, titanio, vetro e ceramica certificata. C’è da trasecolare, infine, a pensare  in chissà quante cucine si stiano  cuocendo Pfas  a oltre 260 gradi addirittura in padelle consumate e graffiate. D’altronde nessuna legge vieta alla Solvay la produzione di Pfas “forever chemicals” e in suo uso in una infinità di prodotti agricoli, alimentari, industriali, chimici, farmaceutici ecc. 

Delitto perfetto in quel di Alessandria.

Non fu un ossequio alla Giustizia italiana il titolo “Ambiente Delitto Perfetto” (Barbara Tartaglione – Lino Balza, prefazione di Giorgio Nebbia, pagg. 518) del primo volume. Il titolo è stato mantenuto anche nel secondo volume (pagg. 444), interamente dedicato al processo Solvay. Il titolo del  presente terzo volume era nell’ordine delle cose, non fatale ma inevitabile. Così va la giustizia. Esso  riferirà del  prossimo e forse ultimo processo alla Solvay di Spinetta Marengo. 

 A qualunque storico o giornalista, e non solo, che volesse seguire il prossimo procedimento in  Corte di Assise di Alessandria sarebbe estremamente utile la conoscenza della genesi storica, contenuta già nel primo e soprattutto nel secondo volume di “Ambiente Delitto Perfetto”.  

Il quale, infatti, comprende la documentazione riferita al processo in  Corte di Assise di Alessandria del  2012, nonché in Corte di Assise d’Appello di Torino del  2018 e infine in Corte di Cassazione del 2019. Inoltre, include i 20 Esposti alla Procura della Repubblica dal 2008 al 2023 presentati da Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro e mai respinti con archiviazione: i 9 depositati presso il procuratore capo Michele Di Lecce, e culminati con l’azione penale del 2012 condividendo in toto il reato di dolo per tutta la catena di comando, e gli 11 presso il P.R. Enrico Ceri e sfociati (insieme all’esposto di Legambiente e a quello del WWF) nel prossimo processo ma, purtroppo, ristretti al reato di colpa e per due imputati minori

Per completare il compendio, a qualunque storico o giornalista, e non solo, sarebbe anche utile la

conoscenza del  Dossier “Pfas. Basta!”:  una piccola enciclopedia che (“work in progress” prossimo alle 1.000 pagine in 3 volumi, disponibile anch’esso “on line”) racconta la storia in Italia delle lotte contro gli inquinatori Solvay e Miteni, dalle denunce degli scarichi in Bormida degli anni ’90 fino ai processi 2021-2023-2024 ecc. ad Alessandria e Vicenza. Una lunga storia di mobilitazioni anche contro connivenze, complicità, corruzioni, ignavie di Comuni, Province, Regioni, Governi, Asl, Arpa, Sindacati, Magistratura e Giornali. La lunga storia dei PFAS (PFOA e C6O4 e ADV e…) è tratta in breve da stralci dei libri “Ambiente Delitto Perfetto”, volume primo e secondo e terzo  e “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza”, nonché dal Sito “Rete Ambientalista Movimenti di lotta per la salute, l’ambiente, la pace e la nonviolenza” gestito dal “Movimento di lotta per la salute Giulio A. Maccacaro”.

Clicca qui l’INDICE  delle prime 66 pagine del VOMUME TERZO di AMBIENTE DELITTO PERFETTO.

Il Sito www.rete-ambientalista.it seguirà tutte le fasi del nuovo processo e della vecchia battaglia per la messa al bando dei PFAS. Mailinglist settimanale, libri e documenti sono disponibili a chi ne fa richiesta a lino.balza.2019@gmail.com

Clara pacta, amicitia longa.

Gli ambienti forensi avevano dato per certo (e noi prima di loro: clicca qui Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro. – RETE Ambientalista) che il Procuratore Capo di Alessandria, Enrico Cieri, era favorevole ad un patteggiamento con Solvay. Essendo Cieri stato trasferito, ci si chiede quale possa essere in merito la posizione del subentrante Procuratore Aggiunto,  Enrico Arnaldi Di Balme. Balme in sé è un debole indicatore: un salubre comune di 100 abitanti nelle Valli di Lanzo, che deve la sua notorietà alla presenza di sorgenti d’acqua considerata di gran pregio; ogni casetta del luogo è dotata di una propria fontanella zampillante acqua fresca e sana. Grazie alle sue proprietà l’acqua dell’altopiano rifornisce l’equipaggio americano della Stazione Spaziale Internazionale. A confronto, Arnaldi sarà rimasto scandalizzato dalle condizioni idriche dei dintorni provinciali del sobborgo di Spinetta Marengo. A tacere di quelle atmosferiche. Per non dire di quelle sanitarie.
 
Però, a fronte dell’evidenza, è difficile arguire se Arnaldi sia rimasto perplesso sul capo di imputazione impostato da Cieri: sui reati di colpa piuttosto che di dolo e per i soli due direttori. Avrà avuto il tempo di studiare il fascicolo, i miei 20 esposti ignorati da Cieri ? Infatti, è stato nominato procuratore ad Alessandria solo a febbraio. Tant’è che era presente Cieri e non lui questa estate a Roma nella sconcertante audizione  davanti alla Commissione  parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali (clicca qui).
 
Infine, c’è che chi tra gli avvocati attribuisce o nega  ad Arnaldi la propensione al patteggiamento in base al suo curriculum di procuratore  a Torino: magistrato molto preparato, autore di numerose inchieste su mafie italiane (ha fatto parte del pool che ha messo in cantiere la maxi-operazione Minotauro) ma anche straniere (con particolare rilievo su quella nigeriana e albanese).
 
Certo, l’azione della Procura nel patteggiamento farebbe scalpore. Intanto, voci danno già in corso con parti civili l’approccio di un patteggiamento (rectius nel linguaggio forense) premiale per l’imputato e le parti civili. I nuovi avvocati Solvay, Riccardo Lucev  e Guido Carlo Alleva, avranno valutato se si allenterebbe il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica che addita Regione e Sindaco come complici di Solvay, e che chiede biomonitoraggi di massa per la popolazione e addirittura ordinanze di chiusura degli impianti. A Solvay il patteggiamento servirebbe a derubricare ulteriormente i reati, ma soprattutto a prendere in tranquillità il tempo necessario per la sua strategia post 2026. Un modesto patteggiamento, condiviso con Edison (clicca qui) potrebbe essere un’alternativa all’incertezza della richiesta di trasferimento (“rimessione alla sede”) del processo (trasmissione degli Atti a Milano) “per incompatibilità ambientale”: eventualità che gli avvocati della difesa vedono con preoccupazione.  La richiesta di patteggiamento può essere formulata fino alla presentazione delle conclusioni in udienza preliminare, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Dunque, le risposte potrebbero venire già nella imminente udienza del 20 dicembre  davanti al GUP Andrea Perelli.  
 
Una cosa è già certa. Il combinato disposto fra capo di imputazione colposo e patteggiamento chiarirebbe  anche ai più miopi  che questo processo, anche questo processo, non determinerebbe  la bonifica del sito chimico di Spinetta Marengo. D’altronde, per noi è sempre stato chiaro che la “conditio sine qua non” per l’avvio di una vera bonifica non sono le aule penali bensì  la preventiva  chiusura delle produzioni inquinanti: non può esistere bonifica mentre si sta continuando a inquinare terra-acqua-aria. Per svuotare la vasca bisogna prima chiudere il rubinetto. Altrimenti va avanti eterna l’innocua  manfrina del primo processo Solvay, anno 2009,  per la quale ancora oggi sono in discussione con gli enti locali la “caratterizzazione dl sito” e la “analisi del rischio”,  dell’irrisolto micidiale cromo esavalente (e altri 20 veleni tossico cancerogeni), mentre si è aggiunto il dilagare dei Pfas: appena punta dell’iceberg di una realtà territoriale che -Calenzano dovrebbe rammentare-  ospita uno “stabilimento a rischio di incidente rilevante”, in pieno centro abitato, oltremodo più pericoloso del deposito Eni. Ci si dimentica facilmente  che decenni fa titolavo sui giornali “Inodore, insapore, incolore, una bomba chimica che può annientare la città senza scalfire un muro”; e che nei decenni i consigli comunali erano dai Movimenti costretti ad ordini del giorno per “situazione ad alto rischio chimico e di catastrofe industriale”, salvo poi non prendere provvedimento alcuno.  

Le Unioni Montane della Valsusa chiudono sui Pfas la bocca al Consiglio Nazionale delle Ricerche.

I Presidenti delle Unioni Montane, su mandato dei sindaci e di concerto con i Comitati, avevano deciso di affidare al CNR (Consiglio nazionale delle Ricerche) un Piano di Monitoraggio degli acquiferi e delle acque superficiali sul territorio per indagare le fonti inquinanti dei Pfas con concentrazioni vicine al limite di legge nelle acque di diversi Comuni. Si consideri che i Pfas non sono  prodotti da alcuna industria valsusina, bensì per tutta l’Italia dallo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (AL) detentrice del brevetto C6O4 ritrovato in Valsusa.
 
A tale fine era stata concertata la presenza al tavolo del ricercatore CNR-IRSA, il dottor Stefano Polesello, massimo esperto in Italia della problematica, per l’attribuzione formale dell’incarico. Però c’è stato  un improvviso cambiamento di programma da parte dei rappresentanti delle Unioni Montane, imbeccati dalla Regione Piemonte, che hanno comunicato che nessun incarico per il piano sarebbe stato affidato a Polesello, presente in sala. Ancora una volta la Regione non si smentisce. Clicca qui.

La dieta per le popolazioni avvelenate dai Pfas.

Altro che “dieta mediterranea”. Se vivi nella “zona rossa”, quella più contaminata da Pfas in Veneto, devi stare attento anche alle uova delle galline dietro casa e ai prodotti a chilometro zero. Un recente studio realizzato dai dottori Armando Olivieri Mario Saugo, in collaborazione con il professor Hyeong-Moo Shin della Baylor University di Waco in Texas, ha dimostrato che, per la popolazione già con precedente presenza  di Pfas nel sangue, il consumo di alimenti locali vegetali e animali è un’ulteriore accumulo di Pfas: “inquinanti eterni”. Insomma, i residenti veneti dovrebbero fare una dieta priva di prodotti locali per almeno 10-20 anni, mentre si curano  le patologie contratte già prima della chiusura della Miteni di Trissino.
A maggior ragione, la dieta dovrebbe soprattutto essere d’obbligo per la popolazione di Alessandria, dove, nel sobborgo di Spinetta Marengo, la fabbrica Solvay, unica produttrice di Pfas in Italia, inquina da decenni terra-aria-acqua di Pfas e altri 20 veleni tossico cancerogeni.
 
Di quali patologie stiamo parlando?
 
L’esposizione ai PFAS comporta una regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del sistema riproduttivo femminile; dunque i PFAS sono dannosi per la fertilità e lo sviluppo fetale. L’esposizione produce una sovraregolazione del gene ID1, coinvolto nello sviluppo di vari tipi di tumore, tra cui tiroide, leucemiacancro al seno e al pancreas. Inoltre, dai dati emerge che gli individui affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo, hanno più probabilità di andare incontro a esiti fatali se esposti continuativamente a questi composti. L’esposizione provoca l’indebolimento delle reazioni immunitarie, della produzione di anticorpi e delle risposte alle vaccinazioni, osservato nei bambini esposti ai PFAS durante il periodo prenatale e postnatale; entrare in contatto con Pfas aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio e ossidativo, favorendo lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.
L’analisi complessiva di tutti gli studi condotti sul tema è stata realizzata dai ricercatori dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova che hanno comparato i diversi lavori, pubblicando i risultati in un’analisi comparativa trascrizionale sulla rivista Toxics., con il titolo “Cross-Species Transcriptomics Analysis Highlights Conserved Molecular Responses to Per- and Polyfluoroalkyl Substances”. Questo studio del Dipartimento di farmacia e biotecnologie dell’Università di Bologna e del Dipartimento di scienze cardiache, toraciche, vascolari e sanità pubblica dell’Università di Padova, è la più ampia analisi della risposta trascrizionale ai PFAS mai realizzata.

La dieta anti pfas per tutti.

La dieta per le popolazioni che sono o sono state direttamente colpite  aria-acqua-suolo dalle aziende produttrici di Pfas (ieri Montedison e Miteni, oggi Solvay) deve essere addirittura drastica. Ma tutta la popolazione in generale deve stare attenta a cosa  mangia, a come limitare dalla propria dieta questi  interferenti endocrini  associati a forme di tumore e infertilità.
Quali consigli?
 
Non acquistare alimenti dalle suddette zone piemontesi e venete, né dalle zone dove i fanghi di depurazione vengono usati come alternativa al fertilizzante sui terreni agricoli, dove l’acqua per le colture e per il bestiame può risultare contaminata, così come i mangimi per animali, né dalle zone con fabbriche che usano Pfas, esempio concerie.
In cucina  non usare imballaggi e prodotti per la casa contenenti Pfas, a cominciare dagli utensili da cucina, primi fra tutti le padelle antiaderenti che non contengono l’etichetta “pfas free”. Per la scelta di cibi confezionati meglio preferire il vetro alla plastica.
Tra gli alimenti, come spiega The Guardian, ce ne sono alcuni che possono essere più ricchi di PFAS, come quelli trasformati e quelli da asporto o quelli sfusi contenuti nei contenitori per lo stoccaggio, spesso appunto trattati con gli inquinanti eterni. Dunque è raccomandata una dieta ricca di frutta e verdura fresca, che ha minori impatti sulla contaminazione da confezionamento e lavorazione. Meglio il biologico, purchè garantito. Anche un maggior consumo di uova, caffè e riso bianco sono stati associati a livelli più alti di PFAS nel sangueOcchio anche al pesce e ai frutti di mare. Una ricerca condotta nel New Hampshire, negli USA, ha rilevato la presenza di PFAS in tutte e 26 le tipologie di pesce analizzate, con i livelli più alti nei gamberi e nell’aragosta.
 
Insomma, è possibile solo una dieta che riduca l’esposizione da Pfas. Fino a quando non intervenga una legge di messa al bando di produzione e uso di Pfas, a cominciare dalla chiusura delle uniche produzioni in Italia della Solvay di Spinetta Marengo. 

Questo panettone è esente da Pfas?

Questo panettone è senz’altro ottimo, ma la carta e i cartone che l’avvolgono: sono esenti da Pfas?
Ci permettiamo di rivolgere la domanda a “il fatto alimentare” che ha annunciato in corso la pubblicazione di alcuni test sui panettoni firmati da Altroconsumo, Dissapore, il Gambero Rosso e forse Il Salvagente.

Gli spermatozoi senza scampo quando aggrediti dai Pfas.

Come i Pfas abbattono la fertilità
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che l’infertilità oggi colpisca una coppia su sei: siamo giunti ad un vero inverno demografico.
 
Quanto mai attuale è dunque la scoperta dell’Università di Padova presentata ufficialmente al XXXIX Convegno di Endocrinologia e medicina: “I Pfas interferiscono con la proteina che consente allo spermatozoo di fecondare l’ovocita».
 
La ricerca sperimentale è stata condotta dal professor Carlo Foresta, presidente della Fondazione Foresta ETS, in collaborazione con il professor Alberto Ferlin del Dipartimento di medicina dell’università di Padova e il professor Diego Guidolin del dipartimento di neuroscienze. “I risultati ottenuti sono fondamentali nella comprensione del meccanismo che porta a infertliità nelle popolazioni esposte ai PFAS”, commenta Foresta. “Dopo le pluriennali ricerche che avevano evidenziato diverse alterazioni a carico degli spermatozoi, quest’ultimo tassello permette di comprendere come queste sostanze siano in grado non solo di ridurre il numero di spermatozoi e di legarsi ad essi riducendone la motilità, ma, anche qualora uno spermatozoo riuscisse a raggiungere comunque l’ovocita, per via naturale o tramite tecniche di fecondazione in vitro, la sua capacità di fecondarlo sarebbe comunque significativamente ridotta per effetto del legame dei PFAS a questa fondamentale proteina”.
 
Quasi in contemporanea, a Lonigo si è tenuto, sul tema “Salute riproduttiva maschile”, un convegno (organizzato dal Comune e da un gruppo di associazioni) che ha fatto il punto sullo studio che Isde – medici per l’ambiente sta conducendo per valutare, tra le altre, la infertilità dei Pfas sui ragazzi della cosiddetta zona rossa. Lo studio,  dell’ematologo Francesco Bertola e dell’endocrinologo Enrico Ioverno, coordinati da Annibale Biggeri dell’Università di Firenze, si è avvalso della collaborazione di un migliaio di giovani con  visite e raccolta dei campioni di liquido seminale. La complessa  lettura ed  elaborazione dei dati potrebbe vedere la luce durante l’estate del prossimo anno.

I Pfas di Arzignano.

“Seguo il caso PFAS da molti anni. Ho dimostrato, con documenti, perché è inquinata la città di Arzignano, che si trova dalla parte opposta della Valle dell’Agno, però stesso livello dell’Agno alla Barchesse di RIMAR/MITENI; che si trova a 110 metri sul livello del mare. Il caso inquinamento, si scopre anni dopo…” Continua qui la storia, che riceviamo da Vittorio Rizzoli.

PFAS bomba ad orologeria in Svizzera.

Le acque sotterranee e l’acqua potabile in tutta la Svizzera sono contaminate da PFAS. L’acido trifluoroacetico (TFA), che appartiene al gruppo PFAS, creato dalla decomposizione di pesticidi e gas refrigeranti, è presente ovunque, soprattutto nelle acque sotterranee delle pianure e delle aree urbane, come riferisce la televisione svizzera romanda RTS riportando i dati dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM). Le dimensioni microscopiche dei TFA rendono impossibile la rimozione con i sistemi di filtraggio convenzionali, ha spiegato l’UFAM.

PFAS, ovvero TFA, nelle acque minerali. Le 7 marche più contaminate d’Europa.

Un’indagine svizzera di cui abbiamo parlato, aveva già rilevato la presenza di Pfas in alcune marche di acqua minerale. Ancora più noto è il recente scandalo che ha colpito la Francia, dove diverse inchieste sulle acque minerali Nestlé hanno evidenziato gravi anomalie legate alla contaminazione da PFAS (e non solo).
 
Ora, una nuova conferma arriva da un’indagine condotta da Pan Europe che segnala un quadro allarmante per quanto riguarda la presenza di “inquinanti eterni”, appunto PFAS, nell’acqua minerale. Tra questi, è in particolare il TFA (acido trifluoroacetico), prodotto della degradazione di pesticidi e gas fluorurati, a rivelarsi un contaminante significativo. Per condurre il test, tra maggio e giugno 2024, sono stati acquistati campioni di acque minerali da vari paesi europei: Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Ungheria, Austria e Germania. Le acque sono state inviate al Water Technology Centre di Karlsruhe per l’analisi. I test hanno analizzato la presenza di acido trifluoroacetico (TFA), utilizzando un metodo con limite di quantificazione di 50 ng/l.
 
Le acque più contaminate sono risultate, in ordine alfabetico: Gasteiner, Ordal,SPA, Villers, Vittel, Waldquelle.
L’Unione Europea ha fissato un nuovo limite cumulativo per i PFAS nelle acque potabili a 0,5 µg/l, che entrerà in vigore nel 2026. Gli Stati membri sono stati invitati a implementarlo.

Vietare PFAS ovvero TFA nei pesticidi.

L’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso che “l’acido trifluoroacetico (TFA) è uno PFAS ultra-breve rilevato nelle acque sotterranee, nell’acqua potabile e persino in fonti idriche incontaminate in tutta Europa”.
 
Sulla base delle conclusioni dell’EFSA, l’associazione ambientalista francese Générations Futures insieme a PAN Europe e ad altre 48 associazioni (tra cui 4 italiane) ha lanciato un appello urgente alla Commissione Europea per il ritiro dal mercato di tutti i prodotti contenenti flufenacet, un erbicida appartenente alla famiglia dei PFAS, che  provoca concentrazioni inaccettabili di TFA  nelle acque sotterranee, con livelli superiori a 10 µg/L. Il flufenacet non è l’unico pesticida a rappresentare un rischio per la salute e l’ambiente: anche il fluopyram, un fungicida, genera TFA durante la sua degradazione nel suolo.
 
Le evidenze scientifiche indicano che tutti i pesticidi della famiglia degli PFAS hanno il potenziale di rilasciare TFA nell’ambiente,

Il traghetto italiano dei Pfas: Solvay studia come salvare capra e cavoli.

Si sono autodefiniti désamorceurs » i vertici di Ilham Kadri, amministratrice delegata Solvay Syensqo, con Marco Apostolo, country manager in Italia (Ricatto occupazionale della Solvay a Spinetta Marengo), e con il nuovissimo team legale di Guido Carlo Alleva e Riccardo Lucev, nel merito del possibile scenario sulle sorti dello stabilimento di Spinetta Marengo, “champ de mines”, che comprende il processo avviato presso il GUP di Alessandria (Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro. ) e anche le paventate azioni inibitorie e class action di risarcimenti danni. Si è di recente aggiunta la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: Edison coimputata con Solvay? Di questi “Vertici dei disinnescatori del campo minato”, pomposamente convocati come Riunioni strategiche per tracciare la rotta della navigazione aziendale”, si potrebbero già intravvedere i riflessi nella imminente udienza GUP del 20 dicembre.  

Utile spunto di riflessione a Bruxelles, per le relative “azioni pianificate e strutturate”, verte attorno alle risoluzioni  in USA del sito Solvay di West Deptford. Qui, da Solvay è stato raggiunto un accordo con il “Dipartimento per la Protezione Ambientale (DEP)” dello Stato del New Jersey, poi che la multinazionale belga  è stata portata in tribunale nel 2020.  Esso segue la cessazione, dopo trenta anni, delle miscele Pfas  compreso l’ADV dal 2010 importato da Spinetta Marengo quale sostituto del PFOA. Discusso dallo Stato con Comuni-Organizzazioni-Cittadini, garantirebbe  la tempestiva bonifica di PFAS e sostanze pericolose nelle adiacenze del sito nella Contea di Gloucester, e risarcirebbe la cittadinanza per i danni. Infatti, l’accordo di transazione, prevede  azioni di risanamento ambientale più impegni finanziari di 392,7 milioni di dollari: “finanziare le indagini ambientali critiche, le attività di bonifica e i progetti di ripristino qualità ambientale nelle comunità di Gloucester e Camden County”.

A  prescindere dai rilievi  economici, a complicare la  disamina -tattica e strategica-  dei nuovi  avvocati c’è la diversa giurisdizione penale americana che consente alla Solvay di affermare che “l’indennizzo non va considerato come una ammissione di colpa”; ovvero c’è che la complice latitanza dello Stato italiano -inteso come centrale e locale- ora sarebbe più proficua  se si trasformasse in una edulcorata legge Pfas ispirata dalla Solvay proiettata a dopo il 2027 (l’opposto della messa al bando con il  Disegno di Legge ex Crucioli). La legge “ralenti” sarebbe utile a disinnescare, fra tutte, almeno questa mina: perché Ilham Kadri a Spinetta non  intende cessare a breve le produzioni di Pfas, proprio mentre cresce l’allarme sociale nell’intero territorio alessandrino per  l’avvelenamento acqua-aria-suolo di PFOA C6O4 e ADV -a tacere gli altri 20  tossici e cancerogeni- evidente anche nel biota acquatico e selvatico  e nei  prodotti alimentari raccolti proprio nei suoli implementati di “nuovi” composti a catena mediocorta precipitanti dalle ciminiere: ancor più bioaccumulabili  dei “vecchi” e ovviamente con standard analitici occultati da opportuni diritti brevettuali, al pari dei Fomblin e Aquivion.

In più, non può essere rallentato all’infinito un monitoraggio di massa della popolazione aperto a tutti gli standard analitici. Che potrà aprire il vaso di pandora sui risarcimenti alle Vittime, leggi class action. Il raffronto per gli avvocati va di nuovo alla Solvay di West Depford che, “per evitare l’onere e le spese di un contenzioso continuo” (si legge nella sua dichiarazione), ha accettato di pagare 1,3 milioni di dollari per chiudere una class action sulla contaminazione da Pfas delle riserve idriche del Parco nazionale di West Deptford, intentata per conto dei residenti del Parco nel giugno 2020, prevedendo gli esami del sangue gratuiti a tutti i cittadini, i risarcimenti individuali e per gli immobili residenziali, le spese legali e gli onorari. Inezie per la multinazionale, salvo che restino aperti i risarcimenti per le patologie sofferte.

A proposito di mine, infine, secondo fonti informate, serviranno a Bruxelles altre riunioni (in gergo: operational meetings, réunions opérationnelles) per affrontare l’impatto di una « azione inibitoria », la questione che è stata alla base del cambio del team di avvocati.

Non ti puoi più fidare di nessuno.

Quando hai i soldi puoi permetterti di essere difeso in tribunale dai più costosi luminari sul mercato. Trovi anche chi è disposto a farti una perizia che affermi che la concentrazione di Pfas nell’acqua potabile accertata nella “zona rossa” (i Comuni più inquinati del Veneto) “è protettiva per la salute umana”. Dunque l’allarme è spropositato tanto più, hanno sostenuto, che non esiste nemmeno una correlazione certa tra Pfas e patologie mediche, come le malattie cardiovascolari, la malattia ischemica del cuore, le malattie cerebrovascolari, l’ipertensione arteriosa, l’ipertensione gravidica, il diabete e il cancro; al massimo hanno ammesso  una limitata associazione tra Pfoa e tumori al rene e al testicolo.
 
Per arrivare a tanto, i due accademici, hanno abbattuto di 70 volte la presenza dei Pfas contenuti nell’acqua potabile e di conseguenza il rischio per la salute umana. E’ bastato, per sputtanarli, un avvocato con una calcolatrice in mano.   E’ accaduto al processo in Corte di Assise di Vicenza. dove si è svolto il contro esame dei due illustri docenti universitari, entrambi citati dai difensori dei manager di Icig Miteni di Trissino, Paolo Boffetta, epidemiologo e ordinario di Medicina del Lavoro all’università di Bologna, e Claudio Colosio, docente all’Università statale di Milano. La firma di entrambi è apposta in calce a una “Relazione di consulenza tecnica” (81 pagine!) che ha per oggetto la “revisione critica dell’evidenza sugli effetti sulla salute esercitati da sostanze Pfas”.
 
Se non fosse stato scoperto, “l’errorino”,  di scambiare la “dose massima consentita per ogni chilogrammo di peso” con “la dose massima consentita al giorno”, avrebbe voluto dimostrare come la quantità di Pfas ingeriti (con la sola acqua, ma ci sono anche quelli contenuti negli alimenti) nei Comuni della “zona rossa” fosse perfettamente compatibile con i limiti Efsa Autorità europea per la sicurezza alimentare. Invece hanno provato il contrario.
 
Solvay si è annotata i nomi di Boffetta e Colosio da cancellare  dal carnet dei consulenti al processo di Alessandria.

I Pfas nelle schiume antincendio sono ancora più pericolose di quanto si conosceva.

«Le concentrazioni di PFOA ramificato nella schiuma antincendio raddoppiano dopo un certo periodo di tempo nell’ambiente»: lo rileva il nuovo studio “Characterization of PFOA isomers from PFAS precursors and their reductive defluorination”, pubblicato su Water Research da un team di ricercatori australiani guidato da Denis O’Carroll e Michael Manefield dell’University of New South Wales (UNSW).
 
I ricercatori avvertono che è “importante capire che non c’è un solo PFAS nella schiuma antincendio o in altre fonti come padelle antiaderenti, indumenti, cosmetici, insetticidi ecc. Esiste una combinazione di fattori, ma la versione ramificata del PFOA si forma a partire dai precursori del PFAS attraverso le condizioni ambientali. E’ essenziale riconoscere che un’efficace bonifica dei PFAS richiederà delle combinazioni di trattamenti, poiché è improbabile che una singola tecnologia produca prodotti rispettosi dell’ambiente”.
 
A sua volta,  lo studio Underestimated burden of per- and polyfluoroalkyl substances in global surface waters and groundwaters” pubblicato su Nature Geoscience da un team di ricercatori dell’UNSW e dell’università dell’Oklahoma, ha valutato i livelli di contaminazione da PFAS nelle acque superficiali e sotterranee in tutto il mondo e ha scoperto che gran parte dell’acqua potabile supera i limiti di sicurezza per il consumo di PFAS.

I colpevoli sono gli uomini che i Pfas producono e consumano.

I gabbiani trasportano nel sangue e nelle piume elevate concentrazioni di Pfas, durante loro peregrinazioni in tutto il mondo, Polo Nord compreso. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, ricerca, condotta da un team internazionale di scienziati guidato da Don-Jean Léandri-Breton della McGill University, ha analizzato i dati di tracciamento GPS e i campioni di sangue di 64 gabbiani tridattili che nidificano alle Svalbard, un arcipelago norvegese nell’Oceano Artico. I risultati sono allarmanti: i gabbiani che svernavano più a sud, in zone con maggiore presenza di inquinanti, presentavano livelli di PFAS significativamente più elevati, con concentrazioni fino a dieci volte superiori rispetto a quelli che svernavano più a nord.
 
I PFAS, una volta rilasciati nell’ambiente artico attraverso gli escrementi e le uova dei gabbiani, contaminano la catena alimentare, mettendo a rischio la salute di volpi artiche, girifalchi, orsi polari e di tutte le specie che si nutrono di questi uccelli o delle loro uova. La contaminazione sale lungo la catena alimentare, perciò gli orsi sono più a rischio. Infine, sono noti i danni sulla  salute umana: insorgenza di tumori, interferenza con il sistema endocrino, alterando la produzione di ormoni e compromettendo il sistema immunitario, rendendo gli organismi più vulnerabili alle malattie.
 
Questo fenomeno, definito “migrazione di inquinanti”, non è nuovo per la scienza, ma lo studio sui gabbiani tridattili fornisce ulteriori prove sul ruolo degli uccelli marini nella diffusione globale dei PFAS. Soprattutto anche esso rileva come ormai i Pfas rappresentino un problema globale per il pianeta.

2 + 2, microplastiche + pfas, non fa 4 ma 8.

Quando le microplastiche e i PFAS sono presenti contemporaneamente nell’acqua (il che avviene quasi sempre: i Pfas servono a realizzare le microplastiche), avviene una sinergia devastante. L’hanno sperimentato, utilizzando la pulce d’acqua (Daphnia magna) come animale sentinella, i ricercatori dell’Università di Birmingham, come illustrato su Environmental Pollution.
 
Le miscele, infatti, rallentano lo sviluppo sessuale, e l’accrescimento, diminuiscono la fertilità e causano aborti di nidiate, in misura più marcata nelle pulci d’acqua già esposte in passato agli stessi contaminanti. E, soprattutto, microplastiche e PFAS hanno un effetto sinergico e additivo in parametri fondamentali quali la crescita, la sopravvivenza e la riproduzione, e non si neutralizzano a vicenda in nessuno dei parametri controllati. I cambiamenti osservati, inoltre, sono sicuramente sostenuti da mutazioni genetiche.
Gli studi  degli scienziati cinesi, su “ScienceDirect” hanno evidenziato  le  combinazioni di additivi plastici per il loro assorbimento di Pfas, con i conseguenti effetti tossici sinergici, in particolare come tossicità riproduttiva per l’apparato femminile: interruzione del normale ciclo riproduttivo e della fertilità alterando la produzione ormonale e le mestruazioni,  effetto di disruption endocrina dei PFAS sull’endometrio mediato dal progesterone, interferenza con la normale segnalazione riproduttiva e ormonale e lesione dell’ovaio eccetera.  

Divieto uova in Francia. Avvelenate da Pfas. E in Italia?

In Francia le analisi le hanno fatte. In Italia no, ad accezione di Alessandria: dove appunto sono stati trovati i Pfas. Ma il sindaco non ha emesso divieto. I negozianti apporranno il cartello: qui non vendiamo prodotti a chilometro zero?
 
A Verneuil-en-Halatte e Villers-Saint-Paul  a Chemours produce e inquina Pfas quasi quanto la Solvay a Spinetta Marengo. Infatti,  le uova provenienti da piccoli pollai domestici, dove le galline possono razzolare liberamente e sono alimentate in modo ottimale, è scattata l’allerta e il consumo di uova da allevamenti casalinghi è ora vietato: i livelli di Pfas nel 66% dei campioni, quattro pollai su sei, sono fino a 20 volte superiori a quelli consentiti.
 
L’Agenzia Regionale della Salute (ARS) ha emesso un avviso urgente: i risultati confermano le preoccupazioni già avanzate dalla ONG Générations Futures.

Bonifica impossibile: Solvay inquina come prima, più di prima.

Solvay nel 2019 è stata condannata definitivamente dalla Cassazione a bonificare a Spinetta Marengo un mare di  cromo esavalente, pfas ecc.  Nel 2024 è di nuovo sotto  processo  per aver omesso la bonifica. Si difende dicendo che ci vogliono anni per farla. Avrebbe ragione, perché ci vogliono, ad esempio, non meno di quattro decenni per permettere a una falda acquifera contaminata di liberarsi dagli PFAS (sostanze perfluoro alchiliche), i contaminanti perenni e ubiquitari che hanno gravi conseguenze sulla salute umana e sull’ambiente. Ma avrebbe ragione se avesse smesso di inquinare, e invece inquina terreni, acque e atmosfera come prima e più di prima. Dunque ogni bonifica è impossibile  se non si fermano le produzioni. Inutile chiudere il tappo ad una vasca se si lascia il rubinetto aperto.  Bisogna chiudere, subito,  il “rubinetto” e, poi,  ci vogliono 40 anni per svuotare  la “vasca”.  
 
Un esempio ci viene dalla Carolina del Nord dove c’era un impianto di produzione di PFAS dell’azienda Fayetteville Works. I ricercatori dell’Università Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston hanno voluto verificare a che punto fossero le acque più profonde visto che, dal 2019, in teoria, la contaminazione è cessata. Per questo hanno raccolto una serie di campioni in due bacini vicini agli impianti e hanno messo a punto un modello per verificare non solo la situazione attuale, ma anche l’andamento della qualità delle acque nel tempo. Quindi hanno identificato e quantificato diversi tipi di PFAS e, in più, hanno utilizzato dei traccianti radioattivi che riescono a datare le acque, e hanno combinato i dati con quelli dei rilevamenti delle concentrazioni di PFAS in atmosfera, e con quelli della cinetica dei flussi delle acque. Così hanno ottenuto delle formule che permettono di stabilire quantitativamente e temporalmente la presenza di PFAS nelle acque. Come hanno poi riportato su Environmental Science & Technology, i risultati sono stati sconvolgenti, perché hanno mostrato che alcuni PFAS erano lì da almeno 43 anni, con concentrazioni pari a 229 e 498 nanogrammi per litro, mentre la soglia limite per l’acqua potabile per l’HFPO-DA stabilita dalla US Environmental Protection Agency (EPA) è di dieci nanogrammi per litro.

Piuttosto che chiudere, “inventa” filtri seta/cellulosa miracolosi per bere acqua senza Pfas.

Piuttosto che fermare le lucrose produzioni, e avviare la costosissima bonifica, cioè eliminare a monte l’ecocidio, Solvay preferirebbe tamponare a valle…  se qualcuno inventa un filtro da applicare ai rubinetti. Sarebbe una soluzione demenziale, anzi criminale. Perché, ammesso e non concesso di risolvere l’acqua  domestica peraltro a costi inusitati per i cittadini, resterebbe contaminato tutto l’ambiente e dunque avvelenata la catena alimentare da cui dipende la salute umana. Eppure Solvay ci sta pensando in alternativa ai filtri a carbone, di cui noi abbiamo documentato l’assurdità (clicca qui).
 
Ecco che verrebbe utile, almeno sul piano della distrazione propagandistica, lanciare l’Università di Alessandria, giustificando così i finanziamenti di cui gode da parte della multinazionale belga. Dovrebbe inventare una membrana tramite la proteina di cui è costituita la seta, la fibroina, unendola  alla cellulosa in forma cristalli nanometrici, creando appunto una pellicola con potere filtrante nei confronti in particolare dei PFAS: che possiedono una carica elettrica fatta apposta per attaccarsi ai filtri con carica opposta opportunamente un po’ potenziata. Favolosi filtri, detto per inciso, che dovrebbero poi essere bruciati negli inceneritori… ma l’università poi dovrebbe studiare filtri per inceneritori… e poi e poi all’infinito. Un business mondiale.
 
Ma ci sarebbe di più. Per risparmiare nell’uso domestico, potrebbe essere sufficiente la seta raccolta come scarto dalle lavorazioni industriali, mentre per un impiego più esteso si possono cercare proteine simili, ma disponibili in quantità più elevate. L’università candidata al nobel.

La carta da forno senza etichetta “PFAS FREE” è tossica e cancerogena.

I Pfas hanno la capacità di respingere l’acqua, il grasso e le alte temperature, quindi sono perfetti per creare nella carta da forno  quella comoda superficie antiaderente. Però, soprattutto quando riutilizzata o ad alte temperature, la carta fa diventare tossici e cancerogeni i cibi. Poi, tramite i  rifiuti diventa ulteriormente nociva nell’ambiente. Infatti, i Pfas sono definiti “forever chemicals”, sostanze eterne che si accumulano nell’organismo e si collegano  a gravi malattie che interessano il fegato, gli apparati riproduttivi, la tiroide, con anche possibili patologie tumorali e compromissione del sistema immunitario. 
 
Dunque. Consiglia l’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE Italia): utilizzare carta da forno ecologica, cioè con etichetta “PFAS FREE”, esente da Pfas, ovvero tappetini garantiti riutilizzabili in silicone alimentare, o meglio ricorrere al tradizionali e gustosi metodi: un filo di olio d’oliva steso sulla teglia, magari con una manciata di farina, o foglie di vite o di cavolo, perfino di banano.

UE contro i cosmetici fuori legge per Pfas.

L’ispezione è stata condotta in 13 paesi europei, tra novembre 2023 e aprile2024, dall’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) su 4500 cosmetici, provenienti da vari venditori e a tutte le fasce di prezzo.
Oltre il 6% è risultato fuori legge come tossiche e cancerogene.  Le violazioni più frequenti hanno riguardato  eyeliner e matite labbra, in forma di matita o crayon,  balsami e maschere per capelli, quindi principalmente in prodotti da risciacquo. 
 
Le ispezioni sono state effettuate principalmente attraverso il controllo dell’elenco degli ingredienti, azione che può essere effettuata facilmente anche dai consumatori. L’elenco su Il Salvagente.

Veleni che arrivano nell’organismo dai contenitori tramite il cibo.

In merito alla contaminazione dei cibi a contatto con i contenitori, uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology dalle ricercatrici e dai ricercatori della Food Packaging Forum Foundation di Zurigo, in Svizzera, fa il punto su quanto scoperto finora in cinque programmi di biomonitoraggio di popolazione, e sui dati contenuti in tre grandi database dedicati a ciò che accade nei campioni biologici di persone esposte a sostanze chimiche. 
 
Al di là dei numeri, ciò che emerge è la sorprendente quantità di sostanze chimiche a contatto con gli alimenti che entrano nel corpo umano, arrivando direttamente dagli alimenti: PFAS, bisfenoli,  ftalati, perclorati ecc.

Divieti di pesca in Svizzera causa Pfas.

In Ticino è da 10 anni che si controlla la presenza dei Pfas tossici e cancerogeni nei pesci dei laghi. E un ultimo studio effettuato per conto della Commissione internazionale per la protezione delle acque italo-svizzere,  ha evidenziato che la loro concentrazione negli agoni (21 microgrammi al chilo) è nettamente superiore ai limiti appena introdotti dall’ordinanza federale (2 microgrammi). Sono in corso da parte del Laboratorio cantonale analisi preposte a fissare un divieto di pesca dell’agone.
 
 C’é anche un’analisi nazionale, la quale afferma che i pesci, soprattutto quelli a monte della catena alimentare, come il coregone e il cavedano, accumulano  queste sostanze persistenti e bioaccumulabili  ad elevato livello di rischio per la salute. Tant’è che si rileva ancora una forte presenza di Pfos benché  sia stato limitato e vietato dal 2011 in Svizzera, ma anche in Europa. 

Veleni che arrivano nell’organismo dai contenitori tramite il cibo.

In merito alla contaminazione dei cibi a contatto con i contenitori, uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology dalle ricercatrici e dai ricercatori della Food Packaging Forum Foundation di Zurigo, in Svizzera, fa il punto su quanto scoperto finora in cinque programmi di biomonitoraggio di popolazione, e sui dati contenuti in tre grandi database dedicati a ciò che accade nei campioni biologici di persone esposte a sostanze chimiche. 
 
Al di là dei numeri, ciò che emerge è la sorprendente quantità di sostanze chimiche a contatto con gli alimenti che entrano nel corpo umano, arrivando direttamente dagli alimenti: PFAS, bisfenoli, ftalati, perclorati ecc.

Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera.

L’Arpa Piemonte ha reso pubblici i dati giugno-luglio (clicca qui) dell’inquinamento dei Pfas nell’atmosfera di Alessandria, completando ormai il quadro annuale di questi tossici e cancerogeni che permeano polmoni, cibi, acque, suoli, acquedotti di Spinetta Marengo, Comuni di Alessandria (pozzi chiusi), Montecastello (acquedotto chiuso) e altri della Provincia.
 
La relazione ARPA denuncia, assieme al vecchio PFOA già vietato nel mondo, e al “nuovo” C6O4 malgrado il reparto fosse chiuso in quei mesi, la presenza del “nuovo” pfas ADV, ora denominato MFS, con concentrazioni più sensibili nel sobborgo di Spinetta. Quasi fosse una scoperta!! Mentre invece la nostra associazione ne denunciò pubblicamente l’impiego -non autorizzato- fin dal 2009 con un esposto alla procura. La successiva graziata  autorizzazione AIA della Provincia  è addirittura scaduta nel 2023. Nell’atmosfera alessandrina odierna, Solvay da 72 ciminiere spara in aria i pfas ADV, che si aggiungono ai C6O4, ai PFOA, nel cocktail di altri 20 tossici e cancerogeni, che, tutti assieme motivano le tragiche indagini epidemiologiche (l’ultima nel 2019, clicca qui alcune tabelle). Tutto ciò: malgrado sia già intervenuta una sentenza della Cassazione e per responsabilità della sopravvenuta magistratura.
 
Tira brutta aria ad Alessandria, non solo in atmosfera ma anche in politica e magistratura.

Brutta aria in politica.

 In primo piano, la tomba di Gianni Spinolo, grande avversario e vittima di Solvay.
Un gran daffare a nascondere la polvere (cancerogena) sotto i tappeti. Mentre Solvay si fa propaganda invitando frotte di studenti della provincia per ammirare le meraviglie dello stabilimento di Spinetta Marengo, a coprire le larghe spalle della multinazionale belga provvedono come sempre  le istituzioni locali: in questo frangente è presentata al ristretto  pubblico la “task force” del neo assessore alla sanità regionale Federico Riboldi. Tale denominazione bellica che in italiano è mitigabile  come “unità di pronto intervento”, fa abbastanza ridere perché, mentre Riboldi scopre l’acqua calda, il disastro ecosanitario di Alessandria è vecchio come il cucco, e nei recenti cinquant’anni i politici hanno fatto finta di affrontarlo sotto altri nomi: commissione consiliare, osservatorio ambientale, gruppo di studio, ecc. Tutte inconcludenti distrazioni ad uso dell’opinione pubblica. Con questa cosiddetta task force innanzitutto si punta a sviare l’attenzione sulla ventina di cancerogeni che Solvay spara in aria-acqua-suolo, limitandosi  solo alla punta dell’iceberg dei Pfas.
 
All’assessore Riboldi con l’elmetto di cartone in testa, Solvay Syensqo ha affidato il compito di prendere tempo-perdere tempo: diluire il più a lungo possibile i tempi degli esami del sangue di una ristretta popolazione, piuttosto che il monitoraggio di massa provinciale rivendicato e negato da decenni (i cittadini gli esami se li sono fatti a proprie spese). E, con ciò, rinviare l’unica discussione, ovvero decisione, da fare oggi: su come chiudere, ORA le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo e, POI, chiedere i risarcimenti per le Vittime in base ai monitoraggi ematici nel frattempo eseguiti: i cui risultati  inevitabilmente saranno oggetto di lunghissime valutazioni e discussioni in sede giudiziaria (senza riconoscimenti per i tanti Gianni Spinolo sulle lapidi del cimitero di Spinetta).  
 
Il trucco di Solvay-Riboldi è infatti  rovesciare le priorità dei tempi: DOPO che i cittadini faranno da cavie di laboratorio, e ponderati i pro e i contro delle morti e delle malattie, e soppesati i rapporti causa-effetto, e i valori di soglia dei veleni compatibili nel sangue (perdio! ma solo zero è compatibile!), insomma dopo un milione di se e di ma, POI eventualmente, non necessariamente, iniziare la discussione sulla chiusura… secondo i tempi nazionali e internazionali prefissati da Solvay Syensqo. “Altrimenti ha detto senza pudore Riboldi “si prendono decisioni di pancia”. Purtroppo alcuni attivisti ambientalisti si fanno pigliare nell’ingranaggio del trucco. Spontaneamente approva l’irresponsabile sindaco di Alessandria (vedi Adriano Di Saverio).
 
Affinchè tutto resti saldamente nelle mani di Solvay-Riboldi-Regione, la cosiddetta  task force è stata articolata in “commissione tecnica” e “commissione scientifica”, cioè polverizzata  in una pletora ininfluente di fedeli  funzionari provinciali e regionali, nonché di eterogenei dirigenti sanitari per successive diagnosi e terapie a lungo termine. Il fine evidente è annegare ancora una volta in un mare di informazioni tecniche, come non bastassero tutti i dati ambientali e sanitari pur usciti dai mafiosi Arpa e Asl, e nove indagini epidemiologiche nella Fraschetta, a tacere i referti delle Università di Liegi e Aquisgrana.  
 
In concreto, l’impegno “finanziario” consisterebbe  al momento in un annunciato camioncino attrezzato  che girerebbe a fare prelievi in un limitato  raggio di 3 chilometri attorno al polo chimico. “Sui tempi di chiusura” precisa la Regione, “non si possono al momento indicare delle date, perché dipendono dai risultati dei primi campioni”. Lo sappiamo, campa cavallo per il resto della Provincia, del Comune di Alessandria, degli altri Comuni , come Montecastello dove è stato addirittura chiuso l’acquedotto.
 
E’ stato commentato: “Quello della cosiddetta ‘task force’ è solo l’ultimo di una lunga serie di capitoli che da anni si susseguono e che continuano a raccontare la presenza di un inquinamento, di responsabilità relative e di risposte il più delle volte flebile e lascive”. Ecco, “lascive” è il termine appropriato, con i suoi sinonimi: scandalose, indecenti, immorali, vergognose, disoneste, criminali… Syensqo.

Il miracolo di S. Baudolino, santo protettore dei Pfas.

lI laboratorio “Medica” di Zurigo ha analizzato il sangue di 35 persone provenienti da 18 cantoni svizzeri alla ricerca di PFAS (PFOA e PFOS) persistenti “forever chemicals”  nell’ambiente malgrado siano vietati dal 2021.  Tutti i partecipanti allo studio, dai bambini di sette anni alle donne di 89 anni, hanno queste sostanze cancerogene nel sangue. I livelli di Pfas di 29 partecipanti sono  così alti che, secondo l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), insorge “Una necessità acuta d’intervento,  in particolare  per le donne, soprattutto in età fertile (danni al feto), e per i bambini  che porteranno danni irreversibili tutta la vita. Infatti sono le mamme svizzere le più disperate.
 
Disperate  come lo sono le “Mamme No Pfas” del Veneto, con i figli avvelenati dalla Miteni di Trissino, alle quali è toccato il tragico “merito” di essere state protagoniste a portare alla ribalta in Italia il dramma dei Pfas: da risolvere con una legge di  messa al bando.
 
L’assassinio dei bambini  a mezzo dei Pfas è uno scandalo che non preoccupa Alessandria. Qui non ci sono bambini con i Pfas nel sangue. Eppure qui la Solvay di Spinetta Marengo, unico produttore nazionale, spara Pfas in aria acqua suolo! Miracolo! Miracolo del patrono San Baudolino? O semplicemente il fenomeno non è sovrannaturale bensì  merito di ometti che coprono la carica di sindaci e assessori: che hanno sempre impedito analisi di massa del sangue dei bambini.  
 
Questo miracolo va però condiviso con i magistrati. La mia associazione, già nel primo (anno 2009) dei 20 esposti depositati alle Procure di Alessandria pubblicamente chiedeva -documentando i Pfas nel sangue dei lavoratori Solvay- di intervenire in fabbrica e indagando con monitoraggi ematici  la salute nella cittadinanza tutta. Non solo, scandalo nello scandalo, denunciammo su su fino al ministro della sanità che i Pfas erano trasmessi nelle sacche dei donatori di sangue.

Berrino: “Dobbiamo difenderci”. Sì, ma anche la magistratura ci volta le spalle.

Giulio Alfredo Maccacaromedicobiologo e partigiano, è stato il padre della biometria italiana, maestro  nell’analisi del processo d’insorgenza delle patologie e del loro sviluppo con particolare attenzione alle loro cause: ambientali e lavorative. Maccacaro  fu uno scienziato che visse in modo completo la sua professione di studioso e ricercatore con il suo impegno sociale: sempre dalla parte dei lavoratori e dei movimenti che verso il ’68 si andavano organizzando nelle fabbriche e nei territori. Perciò la nostra Associazione si ispira ai suoi insegnamenti al punto da assumermene il nome: “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”. Abbiamo avuto la fortuna di frequentare membri prestigiosi del Comitato di redazione di “Sapere”, rivista di cui era direttore, nel cui collettivo ricordiamo Luigi Mara, Laura Balbo, Sergio Bologna, Marcello Cini, Giorgio Negri, Vladimiro Scatturin, Benedetto Terracini, e fra i collaboratori: Angelo Baracca, Franco Basaglia, Virginio Bettini, Giorgio Bignami, Luigi Cancrini, Franca Ongaro, Ettore Tibaldi, Enzo Tiezzi eccetera.
 
A quella esperienza storica (da parte nostra aggiungiamo il nome di Giorgio Nebbia) che chiamò a costruire l’ambientalismo scientifico di massa  -efficace ad esercitare critica a disuguaglianze ed iniquità sociali e a progettare cambiamento, nei luoghi di lavoro e nei territori-, ha fatto riferimento Franco Berrino direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano al  convegno nazionale “Curare è prendersi cura. Impatto ambientale e rischio sanitario”, promosso dall’ “Associazione italiana contro le leucemie, i linfomi e il mieloma, AIL”.
 
“Siamo circondati da una grande quantità di veleni. Dobbiamo difenderci” ha esclamato con forza l’epidemiologo  “difenderci dai veleni della plastica, che è trattata con pfas, ftalati e il bisfenolo (Bpa), sostanze che interferiscono con gli ormoni e alterano il nostro sistema riproduttivo, causa di impotenza e sterilità”. Fossimo stati presenti per intervenire al convegno, non avremmo potuto non polemizzare con le istituzioni, comprese la magistratura. Avremmo ricordato che, dei nostri  20 esposti depositati alle procure di Alessandria, quello del 17 novembre 2020 (all’attuale procuratore Cieri) fra l’altro invano denunciò -documentando- che nel cocktail con i Pfas c’è anche un altro micidiale interferente endocrino: il bisfenolo, che Arpa  dichiarava sconosciuto.  

Cancerogeni nel pescato di Calabria e Toscana. E in Liguria?

Una contaminazione di Pfas fuori controllo che espone a rischio migliaia di consumatori. Greenpeace  ha consultato i dati delle Agenzie regionali per la protezione ambientale ARPAT e ARPACAL, e ha ribadito: “Questi risultati confermano l’urgenza di vietare l’uso e la produzione dei Pfas, cioè di chiudere le produzioni di Solvay a Spinetta Marengo”.
 
Dalle analisi effettuate in Toscana tra il 2018 e il 2023, circa il 60% di pesci (principalmente cefali) e crostacei delle acque marino costiere del Santuario dei Cetacei è contaminato da Pfas (Pfos), sono emersi valori molto elevati: in un cefalo alla foce del fiume Bruna a Castiglione della Pescaia (Grosseto) è stata trovata la concentrazione record di 14,7 microgrammi per chilo; 5,99 e 5,65 microgrammi per chilogrammo lungo la costa pisana, alle foci dell’Arno e del Fiume Morto.  
 
In Calabria, le indagini dell’Arpacal tra 2021 e 2023 evidenziano notevoli livelli di inquinamento da Pfas (oltre  3 microgrammi per chilogrammo)  in triglie, naselli e cicale di mare prelevati lungo la costa ionica e tirrenica.
 
Se analoghe indagini fossero eseguite in Liguria: ci sarebbe una rivolta di pescatori e ristoratori. Marco Bucci da candidato non le aveva promesse (al pari di tutte le forze politiche) e come neo presidente non le promuoverà (senza proteste delle altre forze politiche e sociali). In Liguria, d’altronde, per i Pfas neanche si effettuano analisi del sangue alla popolazione, anzi il reparto di Endocrinologia dell’Ospedale San Martino di Genova omette di accogliere le richieste di malati di tumore… perché Toti non le finanziava. Chissà ora Bucci, la cui moglie però afferma:  “Con Toti erano pappa e ciccia”.   

Fiumi veneti bocciati da Legambiente.

Fiumi veneti sotto la lente di Legambiente, che come ogni anno ha dato vita alla campagna di monitoraggio Operazione fiumi. Nell’edizione 2024 la novità sono i Pfas. Preoccupante  incremento dei valori di Pfoa e Pfos allo scarico sul Fratta Gorzone, a Cologna Veneta (Verona). Così anche a Padova come a Vicenza per lo stato del Bacchiglione e del canale Piovego. Per il Sile superamenti della media annua di Pfos presumibilmente derivante dallo scarico di depuratore e dalle attività aeroportuali.
 
Il contesto è che tra le province di Vicenza, Verona e Padova c’è uno dei più gravi casi di contaminazione di questi “inquinanti eterni” dell’intero continente europeo: per un avvelenamento della Miteni di Trissino  che interessa oltre 180 km quadrati e 350mila persone che stanno subendo da anni l’emergenza sanitaria.
 
A sua volta, Greenpeace in 220 tappe sta monitorando i Pfas nelle acque potabili delle città italiane. Le quali   in gran parte omettono i controlli fra le maglie sbrindellate della regolamentazione nazionale. La stessa Direttiva europea  partirà già vecchia nel 2026 con limiti ormai superati dagli studi scientifici internazionali, tant’è che molte nazioni (ma non l’Italia!) hanno già introdotto soglie  più cautelative per la salute umana, in considerazione dell’aumento delle patologie cancerogene generate da questi interferenti endocrini:  danni alla tiroide, al fegato, problemi alla fertilità, incremento dei livelli di acidi grassi nel nostro corpo, diabete gestazionale ecc.
 
Alla messa al bando dei Pfas (in parlamento giace da anni il Disegno di Legge Crucioli) si oppone la potente lobby capitanata da Solvay, unico produttore nazionale, che fa quadrato attorno a queste produzioni dai lauti profitti, pur consapevole  che per la totalità del settore industriale in cui vengono impiegati i PFAS, esistono le alternative più sicure.

Pfas nelle acque potabili di tutto il mondo, e nei pesci dei mari.

Il primo studio riguarda le acque potabili, sia del rubinetto che in bottiglia, naturali o gassate, ed è stato condotto da un team sino-inglese, composto da ricercatori delle università di Birmingham, nel Regno Unito e di Shenzhen, in Cina, che hanno poi pubblicato i risultati su ACS Environmental Science &Technology – Water. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 15 Paesi, 41 acquedotti inglesi e 14 cinesi, e 112 campioni di bottiglie di acque minerali in vetro e in plastica, naturale (89) o gassata (23), di 87 marchi.
 
Ebbene, i Pfas sono presenti con percentuali da al 63% al 99%. Con concentrazione in media da 9,2 nanogrammi per litro (ng/l) a  2,7 ng/l.
Nel secondo studio, pubblicato su ACS Environmental Science & Technology, invece, i ricercatori della facoltà di ingegneria dell’Università di Harvard (Boston) hanno voluto controllare i pesci che vivevano ad alcuni chilometri da una base militare di  Cape Code, dove  impiegano  grandi quantità di schiume e altre sostanze antincendio con Pfas. Hanno così scoperto che, pur diminuendo con la distanza, i PFAS sono presenti nel 90% dei  pesci in concentrazioni superiori ai limiti anche quando questi vivono a otto chilometri di distanza, unitamente a  composti di vario tipo usati nell’industria farmaceutica e in agricoltura.

È possibile trovare cosmetici senza Pfas?

Il giornale francese Vert, dopo gli allarmanti studi scientifici, ha condotto una ricerca sui principali rivenditori di prodotti di bellezza e ha trovato più di un centinaio di articoli venduti online che menzionano almeno un Pfas, compreso PFOA,  nella loro composizione. Creme anti età L’Oréal della linea Revitalift: creme giorno notte idratante con SPF30 e il siero idratante levigante con proprietà antirughe, la matita per gli occhi Yves Saint-Laurent Beauty, creme idratanti di Biotherm, rossetto L’Absolu Rouge Drama Matte di Lancôme,  fard Blush Subtil di Lancôme, crema solare Fluide Minéral Teinté SPF 50+ di Avène, ombretti e trucchi del marchio italiano low cost Kiko Cosmetics come una palette di trucco per sopracciglia e una maschera purificante, eccetera.
 
Le aziende (e le donne) adorano i cosmetici con Pfas per la loro resistenza straordinaria e la capacità di idrorepellenza: le donne inconsapevoli  mentre le aziende sapendo che la letteratura scientifica ha evidenziato i rischi di tumori, malattie della tiroide o problemi di fertilità anche nell’uso dei cosmetici, in quanto i Pfas  possono essere assorbiti anche dalla pelle e arrivare nel sangue.
 
Lo conferma anche un recente studio dell’ Università di Birmingham pubblicato sulla rivista Environment International.  
I pericoli maggiori sono per i bambini e le adolescenti perché i Pfas agiscono come interferenti endocrini, che possono alterare il sistema ormonale. I nomi più noti:  gli ombretti di Natasha Denona, il mascara M.A.C, la matita Charlotte Tilbury e il siero Laneige.  
È possibile evitare cosmetici con Pfas? Sì, controllando  l’elenco degli ingredienti, INCI, che è obbligatorio secondo le normative europee, o affidarsi ai marchi certificati bio, come Cosmébio, Ecolabel europeo ed Ecocert, che contengono oli vegetali: sostituiscono i Pfas rendendo i cosmetici resistenti all’acqua e con un effetto levigante.

Solvay gongola. Con Greenpeace, Lino Balza escluso come parte civile. Cosa c’è dietro.

FATTI FUORI DAL PROCESSO AD ALESSANDRIA
Talvolta  si usano titoli ad effetto. Il nostro non è  titolo civetta: è l’esempio che la realtà può superare la fantasia. Se pronunci  Lino Balza -ad Alessandria e non solo- tutti  pensano subito al polo chimico di Spinetta Marengo. E viceversa. E’ una associazione di termini automatica, da oltre mezzo secolo. Nomina omina. Se nel 2024 inizia un nuovo processo contro Solvay, dunque, si può immaginare che non sia ammesso Lino Balza? No, non si può immaginare. Sarebbe una situazione tipica della narrativa kafkiana ispirata all’incomprensibilità e all’assurdità, talvolta comica,  dell’esistenza umana,  sconfinando nella farsa
 
Eppure, in questo surreale episodio, chi ha escluso Lino Balza dal processo non è boemo o ucraino, non si chiama Franz Kafka Nikolaj Vasil’evič Gogol’-Janovskij bensì il genovese Andrea Perelli, giudice del Tribunale di Alessandria con incarico di Giudice Sezione G.I.P. – G.U.P.  Detto per inciso, Perelli, 39 anni, è il più giovane della Sezione per anzianità di servizio, ma non è un pivello: laurea all’Università di Genova, dottorando nel 2016 (anche rappresentante dei dottorandi), magistrato ordinario a trentadue anni, tirocinio a Genova, docente di commissione, autore di articoli, relatore a convegno eccetera. E non è un ingenuo, come vedremo.
 
La sua ordinanza, dalla prosa non pari all’acchittata compostezza con papillon, al processo ha ammesso oves et boves tutte le  300 parti civili persone fisiche: indistintamente CHIUNQUE ad eccezione di Lino Balza: “Non vanta diritto” (sic) perché, udite udite, “non presenta un collegamento qualificato con l’area che si assume inquinata”.
 
Ebbene, in quella “assunta area” Lino Balza 76 anni fa è nato e vi abita tuttora, ha lavorato per 35 anni nel polo chimico, sindacalista e ambientalista con il fardello per rappresaglia di 7 cause in pretura, 4 in appello, 2 in cassazione (tutte vinte), compreso il tentato licenziamento, aggiungendo il corollario di mobbing, cassa integrazione, tre trasferimenti, uffici confino, dequalificazione professionale e provvedimenti disciplinari minori [*]. Da quella fabbrica si è portato dietro il tumore maligno con i suoi supplementi,  nonché  i veleni che ancora oggi persistono nelle certificate analisi del suo sangue, insieme a quelli aggiunti dagli imputati. In più, da sopravvissuto pensionato, scrittore e giornalista, abita in quell’area dove resta pur sempre l’animatore (e in Italia) della lotta per la salute collettiva (anche del Perelli), contro l’ecocidio Solvay e a favore delle Vittime di Solvay, insieme alle mamme che si  disperano per i Pfas nel sangue dei figli. Scomodo ad azienda e magistratura.  
 
Solvay in sede dibattimentale si opporrà alla pletora di persone fisiche ammesse (“con la sola eccezione di Balza Lino”: ha tenuto a sottolineare Perelli Andrea) quali parti offese… semplicemente “per essere o essere stati residenti, o figli di residenti,  entro un’area di otto chilometri  individuata dagli studi di Arpa di Alessandria a rischio di neoplasie o quantomeno per metus (paura, n.d.r.) di vivere o aver vissuto in tale zona”. Peraltro, la presunta “zona rossa” degli otto chilometri (“con la sola eccezione di Balza Lino”)  è assai inventata perché non esiste alcuna “certificazione” dell’Arpa che delimiti un’area a rischio. Tant’è che Arpa non ha centraline dovunque ma dove ha cercato ha sempre trovato Pfas:  non solo nei sobborghi e nel capoluogo ma anche in Comuni della Provincia, per esempio a Montecastello che dista ben  oltre i fantomatici  otto chilometri, a tacere il fiume Bormida. In base al criterio territoriale e psichico, la popolazione potenzialmente parte offesa -oggi e domani- ammonterebbe a decine di migliaia di persone. Comprendendo la presunta incompatibilità ambientale di giudici e giurati, col rischio di trasferimento del processo.    
 
SOLVAY GONGOLA.
Dalla clamorosa udienza del GUP, Solvay porta a casa che  sono stati fatti fuori dal processo i due più temibili avversari di Solvay: Greenpeace e Lino Balza, che chiedono subito la chiusura delle produzioni  inquinanti  dello stabilimento di Spinetta Marengo. Infatti, attualmente Greenpeace è l’associazione più impegnata ai massimi livelli a denunciare le fonti di inquinamento da Pfas su tutto il territorio nazionale, a cominciare da Alessandria, e a chiedere la loro messa al bando in Italia. Ebbene, non si sa se ridere o piangere, Greenpeace è stata esclusa… “per non aver svolto attività strettamente legata al territorio di interesse”.  
 
E Lino Balza, che paradossalmente abita a molto meno dei fatidici otto chilometri?  Per l’azienda belga, “Linò Balzà, ça va sans dire, est l’ennemi numéro 1”  dalla notte dei tempi, ancor prima del primo processo e ancor più dopo [**]. In più, è oltremodo scomodo alla vigente Procura. Proprio la Procura l’aveva escluso fra le parti offese. Presto spiegato: con ripetuti (11 su un totale di 20) esposti, depositati e anche pubblici [***], aveva per anni pressato il procuratore capo Enrico Cieri a intervenire d’autorità per le tutele della salute pubblica (si pensi, fra tutte, alle donazioni e trasfusioni di sangue infetto), a  contrastare gli illeciti ecosanitari, a procedere contro il management della multinazionale  (e non solo contro i due direttori), e soprattutto per il reato di dolo. E, di conseguenza, aveva criticato la Procura per il blando capo di imputazione, disastro ambientale colposo e illecito amministrativo, che esclude alle Vittime il risarcimento per le morti e le malattie (a parte l’eventuale elemosina del “metus”). [SI LEGGA IN DETTAGLIO L’ARTICOLO CHE SEGUE IL PRESENTE].
 
IL PATTEGGIAMENTO?
In aula, alla lettura della “strana” ordinanza del GUP,  tra gli avvocati si è cercato una connessione con le insistenti voci di un patteggiamento (rectius nel linguaggio forense) premiale per l’imputato e le parti civili. E hanno presunto la disponibilità della Procura come preannunciata nella di lei imbarazzata e sconcertante audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta: praticamente l’assoluzione a priori ad “un imprenditore che crediamo abbia ottemperato agli adempimenti di legge, salvo inadeguatezze  che valgono il rimprovero di una colpa”. Una tiratina di orecchi. Clicca qui.
 
Altro segnale avvertito è il cambio degli avvocati della difesa con Riccardo Lucev  e Guido Carlo Alleva. Lucev è esperto in diritto penale della responsabilità medica e addirittura Officer del Criminal Law Committee della International Bar Association. Guido Carlo, soprannominato con Giulia Alleva  “avvocati del vino” (la rinomata “Tenuta Santa Caterina” per miliardari) è DOC in quanto storico difensore dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny nei processi Eternit.  A confronto, i risarcimenti  nel caso Solvay, stringi stringi, sarebbero irrisori in un patteggiamento?  “Ça va sans dire,   avevano ragionato a Bruxelles,  ci verrà a fagiolo “tomber à pic” l’esclusione dalle parti civili di Lino Balza, così attivo ad opporsi al patteggiamento di un’elemosina ma a favore di una class action. Infine, l’azione della Procura nel patteggiamento, per quanto scalpore possa fare, pour nous  sarebbe un ombrello, anzi un paracadute: “Il suffit de mettre un parachute, ça va sans dire”. “Notre avantage”, e per Regione e Sindaco, sarebbe palese: si allenterebbe il fiato sul collo da parte dell’opinione pubblica che li addita come complici di Solvay e chiede monitoraggi di massa per la popolazione e addirittura ordinanze di chiusura degli impianti. Non li si può tenere a bada all’infinito. Ça va sans dire.
 
In conclusione. A Solvay, ça va sans dire, il patteggiamento servirebbe a derubricare ulteriormente i reati ma soprattutto a prendere in tranquillità il tempo necessario per la sua strategia post 2026. Un modesto patteggiamento potrebbe essere un’alternativa all’incertezza della richiesta di trasferimento (“rimessione alla sede”) del processo (trasmissione degli Atti a Milano) “per incompatibilità ambientale”: eventualità che in aula a loro volta gli avvocati della difesa discutevano con preoccupazione.
 
La richiesta di patteggiamento, spiegavano gli avvocati, può essere formulata fino alla presentazione delle conclusioni in udienza preliminare, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Andrea Perelli sarebbe assai favorevole, poco o tanto che sia stato intimidito dal trascorso tentativo di ricusazione di Solvay.   Dunque già nella prossima udienza del 20 dicembre potrebbe esserci una delle due sorprese [****].
 
[*] “L’avventurosa storia del giornalismo di Lino Balza” in 4 volumi.
[**] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume primo. “Pfas. Basta!”, in tre volumi.
[***] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume secondo.
[****] “Ambiente Delitto Perfetto”, volume terzo.
Tutti i libri sono disponibili a chi ne fa richiesta.
 
 

6 (+ 1) ragioni affinchè Lino Balza debba partecipare al processo per rinchiodare 39 prove che condannano Solvay e imputati.

La gravissima ordinanza del GUP, che ha escluso Lino Balza dal processo, ha colto di sorpresa tutti gli avvocati, compresi quelli della difesa. Però, a prescindere  dal merito  di essere la controparte storica da oltre mezzo secolo, nella fattispecie  Lino Balza riproporrà in sede dibattimentale -a pieno titolo, di diritto e di fatto- di costituirsi parte civile quale persona offesa e danneggiata nel procedimento penale [*] contro gli imputati Bigini Stefano e Diotto Andrea: per le seguenti ragioni soggettive. Nonchè  per le seguenti ragioni oggettive che la ordinanza di Andrea Perella, nascondendosi dietro le omissioni della procura,  impedirebbe  siano portate nel processo quali prove -di dolo a parere di Lino Balza- a carico di Solvay e dei suddetti imputati.
I requisiti di costituzione che contengono “l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili” sono contenuti in estrema sintesi in sei capitoli: dalla lettera A) alla G). In particolare, inoltre, sono richiamate le responsabilità attive o omissive, comunque consapevoli, dell’imputato Stefano Bigini, nei paragrafi da 1) a 15).  E degli imputati Stefano Bigini Andrea Diotto nei paragrafi 16) 17)E dell’imputato Andrea Diotto nei paragrafi da 18) a 39)Tutti i paragrafi erano compresi nei 20 (venti) esposti depositati (con ricevuta) alle Procure di Alessandria: di cui 11 (undici), che riprendono i precedenti, all’attuale procuratore capo; sollecitando interventi della Procura per le situazioni ambientali e sanitarie denunciate  e con esplicita richiesta di partecipare in giudizio, riferentisi  al periodo di attività dei due direttori ora imputati Stefano Bigini e Andrea Diotto.
A)     Al centro dell’inquinamento provinciale  di Solvay, a meno di sei chilometri dal polo chimico spinettese, lo storico e attuale domicilio di Lino Balza, con relative utenze telefoniche acqua luce gas ecc.,  è sito in Alessandria via Dante 86 a poche centinaia di metri dalla centralina Arpa (c/o Istituto Volta) che rileva l’inquinamento Solvay (Pfas). Allo stesso indirizzo recapita l’associazione “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, di cui è il responsabile nazionale.
B)      Nella provincia e nel comune di Alessandria, e in particolare presso il sobborgo di Spinetta Marengo, epicentro provinciale dell’inquinamento terra-acque-atmofera di Solvay, già dall’epoca in cui era dipendente del locale stabilimento chimico (Solvay ex Edison-Montedison) e fino all’epoca attuale, Lino Balza ha sempre esercitato –senza soluzione di continuità- le proprie attività di noto militante sindacale e ecologista, in particolare riferite al polo chimico di Spinetta Marengo, tramite presenza pressoché quotidiana  per organizzazione di dibattiti, assemblee, servizi con giornali e Tv locali e nazionali, per confezionare video su scarichi e discariche, per consulenze e promozione fra i cittadini delle costituzioni a parti offese, per organizzare le indagini epidemiologiche (es. con l’assessorato e con l’Università di Liegi) eccetera. Impossibile  essere esaustivi per questa mole di lavoro, memoria storica,  che riempie  i suoi libri e alimenta il suo Sito frequentatissimo a livello nazionale www.rete-ambientalista.it. Per limitarci al periodo che riguarda l’imputazione di Stefano Bigini e Andrea Diotto, si evidenziano alcune date.
 Nel 2008, direttore Stefano Bigini, Lino Balza, ha subìto tireodectomia totale per tumore maligno della tiroide contratto in sede lavorativa e abitativa, danno reiterato e aggravato nell’attuale contaminazione degli indistruttibili Pfas. Infatti,  il livello pericolosissimo  per le esistenti condizioni di salute, calvario sotto costanti cure e controlli, emerge dai  risultati de “L’indagine
 

Pfas nell’aria anche quando le produzioni sono ferme. E nuova finta diffida della Provincia.

Fermare le produzioni per brevi periodi non risolve l’inquinamento dei Pfas: la fermata deve essere definitiva per consentire una bonifica in tempi lunghissimi. Infatti, la sospensione della produzione nello stabilimento Solvay-Syensqo di Spinetta Marengo a giugno-giugno-luglio 2024, decretata con diffida  dalla Provincia, non ha eliminato nell’aria i Pfas: né a maggio-giugno-luglio né in seguito. L’hanno stabilito le centraline Arpa del sobborgo di Spinetta Marengo  (via Genova), del capoluogo Alessandria e del Comune di Montecastello. Il circolo è vizioso: i Pfas, quando non direttamente in falde e fiumi, vengono depositati in discariche o scaricati dalle ciminiere, dal cielo si depositano al suolo, di lì pieno zeppo, essendo forever chimicals indistruttibili, defluiscono anche decenni dopo in acqua o tornano in aria. Un ciclo eterno  che, però, intercetta  tragicamente respirazione e alimentazione umana.
 
Il monitoraggio dei PFAS con campionamento attivo su filtri del PM10 (frazione inalabile delle polveri con diametro  10 micron) è stata condotto su base mensile tramite campionatori presenti presso le stazioni di controllo. Presso la stazione di Spinetta – via Genova sono rilevate le concentrazioni maggiori di cC6O4, con valori variabili in un range da 0,476 a 1,534 ng/m3; viene rilevata anche la presenza costante degli isomeri della miscela ADV/MFS, la sommatoria di MFS risulta presente in un range tra 0,075 e 0,842 ng/m3. Presso il sito di Montecastello i campioni da maggio a  luglio evidenziano cC6O4 con concentrazioni variabili 0,019 a 0,036 ng/m3.  Presso la stazione di Alessandria – Volta sono state rilevate concentrazioni di cC6O4 da gennaio a maggio 2024 in un range di valori da 0,009 a 0,031 ng/m3.
 
Addirittura, a Spinetta, nei mesi di giugno e luglio è stata riscontrata positività per PFOA, con concentrazioni tra 0,006 e 0,008 ng/m3 (limite di quantificazione 0,004 ng/m3), quando il Pfoa ufficialmente non è più prodotto.
Così, la Provincia di Alessandria ha fatto di nuovo finta di intervenire. Sviando il discorso. Dopo quella dello scorso 28 agosto, ha trasmesso a Solvay  una seconda diffida per l’inosservanza delle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) relativamente alle vasche per il trattamento del percolato, e per l’assenza delle canalette perimetrali agli invasi. Tempi di intervento rispettivamente 15 e 30 giorni. In caso di inosservanza eventualmente “si procederà ad una terza diffida e alla contestuale sospensione dell’attività per un tempo determinato”. Non si pensi definitivamente. C’è sempre una quarta diffida, quinta eccetera.
 
Non è una minaccia per Solvay: garantisce per incompetenza (Responsabile Regionale di Fratelli di Italia… per il Comparto Difesa) il neo assessore provinciale all’Ambiente, Maurizio Sciaudone.

Dal cielo sui pesci piovono PFAS. Solvay boicotta i controlli del CNR.

Solvay boicotta i controlli che il “Consiglio nazionale delle ricerche -istituto di ricerca sulle acque CNR cerca di realizzare  con l’ASL di Alessandria, per un progetto operativo  “Biomonitoraggio integrato area Spinetta marengo-Alessandria”. Infatti -è la denuncia-  “non fornisce gli standard analitici o le miscele tecniche (nel caso gli standard non siano disponibili) per svolgere analisi aggiuntive. E non rende pubblici i dossier tossicologici, di nuove sostanze e dei composti utilizzati in passato ed in uso, in suo possesso”.
 
Il sabotaggio è finalizzato ad occultare la presenza di ADV, C6O4 e Aquivion®PFSA negli scarichi, ad evitare l’ampliamento  delle analisi di vegetali e uova e del biomonitoraggio umano del sangue ma anche delle urine.  

L’endocrinologo: «Come i Pfas ci avvelenano».

Il professor Luca Chiovato è stato uno dei primissimi, in Italia, ad occuparsi dei distruttori endocrini, creando all’Irccs Maugeri di Pavia un Laboratorio di ricerca dedicato ai Pfas: proprio quello a cui si rivolse Solvay un quarto di secolo fa: dunque ufficialmente consapevole della propria condotta delittuosa.   
Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Pavia, oltre 350 pubblicazioni scientifiche e più di 1.000 punti di impact factor, membro di lungo corso della Società Italiana di Endocrinologia, Luca Chiovato è dal punto di vista scientifico uno dei più titolati a trattare di Pfas. Lo fa in questa analitica intervista https://www.vita.it/lendocrinologo-cosi-i-pfas-avvelenano-il-nostro-corpo/  incentrata sulle conseguenze delle sostanze perfluoroalchiliche sul sistema endocrino-metabolico (“principalmente gli assi gonadici e della tiroide”), nella quale afferma che l’associazione tra Pfas e tumore della tiroide è  ormai esclusa da ogni controversia dopo il definitivo studio caso-controllo multicentrico (Usa, Olanda, Israele), pubblicato nel 2023, che ha stabilito il  rapporto tra Pfos e carcinoma papillare della tiroide.
 
Dunque, è completo il grado di pericolosità dei Pfasdiminuzione della fertilità, riduzione numero spermatozoi, tumori del testicolo e malformazioni congenite, come il criptorchidismo nell’uomo, ipertensione arteriosa durante la gravidanza, neonati sottopeso, mancata discesa dei testicoli nel bambino, sviluppo mentale dei neonati, pubertà precoce e tumori femminili ormono-dipendenti, come quelli di mammella e utero,  abbassamento della risposta anticorpale in adulti e bambini, innalzamento dei livelli di colesterolo, aumento dei rischi di cancro e malattie alla tiroide, lesioni al fegato, colite ulcerosa, neoplasie ai reni e ai testicoli, colite ulcerosaobesità, diabete tipo 2, dislipidemia, ecc. 
 
Un quadro clinico, non ci sono antidoti per i Pfas, reso ancor più drammatico dalle caratteristiche dei Pfas: l’emivita, vale a dire il loro tempo di decadenza  nell’ambiente è di 41-92 anni e l’emivita di eliminazione nell’uomo è di 3-7 anni. Unica soluzione: metterli al bando.

Italia Nostra denuncia i Pfas nelle acque umbre.

La denuncia di Italia Nostra è stata presentata con una interrogazione in consiglio regionale, malgrado le rassicurazioni dell’Usl Umbria2, che ha avviato quest’anno con Istituto Superiore di Sanità e ISPRA uno screening per la valutazione dei rischi di esposizione agli Pfas della popolazione del sito di interesse nazionale Terni- Papigno – Conca Ternana. Le analisi Arpa restituiscono un quadro preoccupante dei Pfas con ben 5 classi di composti.

Fiumi di Pfas, pesticidi e diserbanti.

In Polesine ben 47 superamenti dello standard di qualità . Con il rapporto “Stato delle acque superficiali del Veneto”, l’Arpav ha rilevato azoxystrobin, metolachlor, metazaclor, boscalid, ampa, nomi sconosciuti a chi non lavori in agricoltura, pesticidi, funghicidi e diserbanti, ma che in pianura scorrono a fiumi nei fiumi e nei canali. Senza contare, soprattutto, la presenza dei Pfas:   sopra i limiti in tutti i punti di prelievo “nel Po con ogni probabilità, di origine esterna alla Regione del Veneto”, nota Arpav anche se si sa bene che vengono dallo stabilimento chimico Solvay di Spinetta Marengo.