“Bomba ecologica. Emergenza pozzi a Spinetta. Il sindaco ne vieta l’uso. Cromo esavalente nelle falde della Fraschetta. Nel mirino il polo chimico”.
Sono i titoloni sui giornali e TV.
Dove sta la novità, la sorpresa? La dottoressa Rini, capo laboratorio dello zucchericio, fin dagli anni ’80 denunciava ripetutamente sui giornali che l’acqua in falda era inquinata al punto da essere inutilizzabile nella lavorazione delle barbabietole. Un allarme che io stesso negli anni ho ripreso più volte, pubblicando sulla stampa le foto dei bidoni nascosti, rivendicando l’Osservatorio della Fraschetta e contestando l’inutile progetto Linfa. L’ho ancora ripetuto la settimana scorsa all’assemblea di Pozzolo Formigaro. Oggi, prima che si esaurisca di nuovo l’ondata emotiva, invito di nuovo gli enti preposti ad andare a vedere che cosa c’è sotto e attorno allo stabilimento ex Montedison e ora Solvay e Arkema. Non ci sono barriere che tengano. Spinetta è come Bussi in Abruzzo, di cui parlano tutti i telegiornali. Nel sottosuolo all’interno della fabbrica stanno percolando nelle falde i veleni sversati, non solo il cromo. Bisogna fare i carotaggi e le analisi. Cosa è stato depositato nel bunker antiaereo di cui si chiacchiera dal dopoguerra? Bisogna andare a vedere. Le colline sullo sfondo dello stabilimento non sono naturali nella piana di Marengo: sono depositi di rifiuti. Bisogna andare a scavare. Provvederanno ASL e ARPA? Lo pretenderà la massima autorità sanitaria comunale, cioè il sindaco di Alessandria, preoccupato di interrompere i cicli produttivi e non altrettanto dell’acquedotto? E gli altri sindaci della Fraschetta? Per i reati commessi, per le misure di emergenza, per i risarcimenti: sarà tempestivo l’intervento della Magistratura? Il Comune si costituirà parte civile? Sono queste le domande inquietanti che poniamo nel timore che un nuovo velo venga tra qualche giorno a coprire le vergini grida di allarme e sdegno.
Lino Balza