
In questo momento storico, il ritorno al nucleare viene promosso dal governo come inevitabile, efficiente e moderno: il “Nucleare di nuova generazione” (in particolare gli Small Modular Reactors SMR) una tecnologia che sarà pronta tra il 2035 e il 2045, con investimenti di miliardi, costi incerti, tempi lunghissimi, insomma incapace di contribuire nel decennio cruciale della crisi climatica e geopolitica.
“Invece” ribadisce Di Giovanni Ghirga, medico di ISDE ITALIA, “per questi strettissimi tempi climatici, esistono già soluzioni concrete, scalabili, mature: energie rinnovabili come il solare e l’eolico, ormai ampiamente competitive sul piano economico e rapidamente installabili; reti intelligenti in grado di bilanciare in tempo reale la produzione e il consumo, integrando anche piccoli impianti distribuiti sul territorio; accumuli distribuiti, come batterie domestiche e sistemi di stoccaggio a livello di quartiere o di distretto, i quali stabilizzano la rete e garantiscono continuità energetica; idrogeno verde prodotto con energie rinnovabili, essenziale per decarbonizzare i settori industriali più difficili, come la siderurgia e la chimica; infine, l’elettrificazione capillare, cioè la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con tecnologie che funzionano a energia elettrica, come pompe di calore, veicoli elettrici, impianti elettrici per serre e irrigazione, alimentate però da fonti rinnovabili nei settori del riscaldamento, dei trasporti e dell’agricoltura”.
Di contro, inoltre, ogni reattore è un potenziale bersaglio in un mondo dove i conflitti ibridi, i droni kamikaze e i cyberattacchi sono ormai strumenti ordinari di pressione geopolitica, con rischio potenziale di contaminazione radioattiva permanente dell’aria, del suolo, dell’acqua. Anche i reattori più “avanzati” non eliminano il problema delle scorie radiotossiche per decine di migliaia di anni: ancor più voluminose e più reattive sul piano chimico e fisico, con implicazioni serie per lo stoccaggio e il confinamento.
Infine, si instaura anche una dipendenza geopolitica nessun Paese europeo è autosufficiente nell’estrazione o nella lavorazione dell’uranio. Inoltre, i Paesi fornitori, come Russia, Kazakhstan, Niger, Algeria, non offrono garanzie di stabilità o alleanze democratiche. Spostano semplicemente la dipendenza dal gas a un’altra fonte instabile … e la chiamano “indipendenza”.