
Il Ponte sullo Stretto, per anni venduto come un progetto di grande progresso civile, verrà fatto rientrare tra le spese militari. In caso i russi attaccassero la base Nato di Sigonella da Tripoli via Mar Nero e Turchia, le nostre truppe si paracaduteranno sul ponte, visto che non è consigliabile percorrere coi carri armati la Salerno-Reggio Calabria né tantomeno usare la linea ferroviaria.
Non ci sarà solo il ponte sullo Stretto, anche la nuova diga foranea del porto di Genova -mega-opera da 1,3 miliardi (già lievitati a 1,6 coi lavori nemmeno arrivati al 10%)- contribuirà a coprire le spese militari che l’Italia s’è impegnata in sede Nato a portare al 5% del Pil entro il 2035, una quota delle quali (1,5%) potrà essere rappresentata da infrastrutture a valenza anche militare.
“È un’infrastruttura ‘dual use’. Progettata per scopi mercantili, in caso di crisi (bellica) sarà utile perché consente lo sbarco di portaerei leggere, navi Nato e strumenti e truppe”, ha spiegato Carlo De Simone, sub-commissario all’opera (il titolare è Marco Bucci presidente della Regione Liguria), durante una trasmissione tv. Poco importa che le più grandi portaerei Nato abbiano dimensioni assai inferiori a quelle delle portacontainer abituali ospiti delle banchine genovesi e che quindi potrebbero comodamente approdare sotto la Lanterna senza spendere miliardi di euro per la diga. Neanche a La Spezia, a 50 miglia nautiche, abbia sede una delle maggiori basi della Marina militare.
Il dual use, potenziale viatico di nuovi esborsi e opacità, farà di Genova un obiettivo sensibile dal punto di vista militare.