Rispondo come medico e politico.

 Egregio sig. Balza,
                                 ho letto con attenzione la lettera aperta (https://www.rete-ambientalista.it/2025/05/30/fermare-subito-le-produzioni-inquinanti-di-solvay/) che è stata pubblicata sul sito del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”, coinvolgendomi, come medico e come Presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente del Comune di Alessandria, sul problema PFAS.
Ricopro il ruolo di Presidente dal luglio 2022, la mia Commissione ha
affrontato il problema dei PFAS numerose volte, tanto che più del 50%
delle convocazioni è stato dedicato ai composti perfluoroalchilci. In
audizione abbiamo ascoltato più volte: dirigenti del Comune, medici
dell’Ospedale di Alessandria, avvocati delle parti civili nel processo
in corso per presunto disastro ambientale colposo,  rappresentanti
dell’ASL di Alessandria, dell’Arpa di Alessandria e Torino,
dell’Università del Piemonte Orientale, delle associazioni
ambientaliste. Nella prima seduta abbiamo invitato l’ing. Claudio
Lombardi, già assessore all’ Ambiente del Comune, per cercare di dare
continuità al suo lavoro.

Grazie ai lavori della Commissione siamo riusciti a portare in
Consiglio comunale, approvandola all’unanimità, la proposta popolare di
deliberazione presentata da 300 cittadini della Fraschetta, poi
trasformata in un atto di indirizzo e in un ordine del giorno. Sempre in
Consiglio comunale ho presentato una mozione, approvata all’unanimità,
che sollecitava Camera e Senato a produrre una legge quadro sui PFAS.
Negli ultimi mesi in Commissione è passato anche l’approvazione
dell’istituzione dell’Osservatorio sulla qualità dell’ambiente.

Si poteva fare di più? Certamente sì, visto la gravità della
situazione ambientale-sanitaria, che mi preoccupa come medico e come
politico.  Siamo ben consapevoli che se il problema PFAS è il più
urgente da affrontare, ma l’inquinamento della zona data da oltre un
secolo. La presenza ubiquitaria di numerosi composti chimici come il
cromo esavalente, ma l’elenco sarebbe ben più lungo, non è mai stata
affrontata con un’opera di bonifica ambientale.

Riteniamo però che rispetto alla legislatura precedente si siano fatti
numerosi passi in avanti. Le Commissioni comunali non hanno un ruolo
esecutivo, ma di proposta, di controllo, di approfondimento dei
problemi.Stiamo lavorando ad alcune iniziative importanti e alla luce anche
della recente sentenza del Tribunale di Vicenza e delle prese di
posizione di numerosi Ordini dei medici, italiani ed europei, cercheremo
di arrivare a risultati concreti.

La saluto cordialmente, Adriano Di Saverio

Dalla “battaglia di Marengo” alla “battaglia di Spinetta Marengo”.

La battaglia napoleonica di Marengo del 14 giugno 1800 contro gli austriaci viene rievocata ad Alessandria ogni anno. La battaglia di Spinetta Marengo contro i belgi di Solvay viene commemorata ogni giorno negli ospedali e nei cimiteri, ma anche in piazza ad esempio il 14 giugno con il presidio organizzato dal gruppo “Vivere in Fraschetta”, il Comitato che anch’esso si oppone al tentativo di “strozzare” il processo bis per disastro ambientale (il primo sancito dalla Cassazione) tramite   un assolutorio patteggiamento con la Procura da consumarsi addirittura davanti al GUP Giudice Udienza Preliminare.
 
Tra le parti civili, rifiutano apertamente l’idea di patteggiamento Greenpeace, Legambiente, Movimento di lotta Maccacaro, CGIL, ISDE, Comitato Stop Solvay e gli altri Comitati, tra cui Vivere in Fraschetta. Stessa intenzione per il WWF. Ambigue Pro Natura e Medicina democratica. Mentre pesa come un macigno l’accordo (l’elemosina di 100mila euro di Solvay stigmatizzata da tutti) per l’uscita del Comune di Alessandria dal processo: infatti ha lo scopo di fare da apripista ai patteggiamenti con Regione Piemonte e Governo.
 
“Vivere in Fraschetta” raggruppa in particolare i pensionati iscritti alla CGIL nei sobborghi di Alessandria, tant’è che si è rivolta per un intervento al segretario Maurizio Landini, perorando che siano fermate le produzioni inquinanti della Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo. Il 14 giugno, con indosso la maglietta “No Pfas” ha appunto organizzato un presidio per denunciare ancora una volta che nel territorio si registrano i livelli più alti di contaminazione in Italia ad opera dell’unica fabbrica attiva nel Paese.  Non si può continuare a vivere in un territorio inquinato dove la popolazione neppure è sottoposta a monitoraggio di massa, pur in presenza di storiche indagini epidemiologiche che evidenziano  il costante superamento delle  soglie di malattie e mortalità.  

Stop Pfas, anche in ambito sanitario. Senza eccezioni.

“L’unico modo efficace per proteggere i cittadini della UE dall’esposizione ai PFAS è quello di interrompere l’uso dei PFAS. Anche in ambito sanitario”. Lo scrivono associazioni e professionisti del settore medico, tra cui medici, infermieri, operatori sanitari da tutta Europa, in una lettera alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, al vicepresidente esecutivo per l’industria Stéphane Séjourné e alla commissaria all’ambiente Jessika Roswall.
 
Tra i firmatari, soggetti che si occupano della salute delle persone, bambini in particolare: dal Dipartimento di oftalmologia del Centro medico universitario di Leiden, Paesi Bassi, all’International Network on Children’s Health Environment & Safety (INCHES), dalla Società islandese dei medici per l’ambiente al Centre for Sustainable Hospitals danese all’Associazione dei medici di sanità pubblica olandesi; e poi oltre un centinaio di professionisti della salute: pediatri, medici di base, infermieri, anestesisti, endocrinologi…
La lettera giunge mentre l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) discute della proposta di restrizione per circa 10.000 composti della famiglia dei PFAS avanzata da 5 Paesi UE (Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia). Questo dossier “prevede deroghe fino a 13,5 anni per alcuni dispositivi medici”.
 
Deroghe che considerando che la restrizione non entrerà in vigore prima della fine di questo decennio, “le aziende avrebbero fino a 20 anni per eliminare gradualmente i PFAS da alcuni dispositivi medici”.
 
Ebbene, afferma il documento “noi rifiutiamo fermamente l’uso dell’assistenza sanitaria come giustificazione per l’inattività sulla crisi dell’inquinamento da PFAS”.
 
E a chi risponde (l’industria) che nel settore sanitario non esistono alternative, ricordano il lavoro di “colleghi che hanno già iniziato a eliminare gradualmente i PFAS nella loro pratica quotidiana”. Ricordano ad esempio che molte sale operatorie in Europa “hanno già smesso di usare i gas anestetici e sono passate all’anestesia endovenosa” eliminando così le emissioni di gas fluorurati dalle loro pratiche grazie ad una procedura “altrettanto sicura, con meno effetti collaterali”. Un altro esempio di pratiche virtuose PFAS-free è la nuova direttiva olandese che promuove la prescrizione “consapevole del clima”: che incoraggia i medici nella prescrizione di “inalatori a polvere secca invece di inalatori dosati a base di propellenti che si basano sui gas fluorurati”.
Non ci sarebbe dunque ragione, affermano i firmatari della lettera, per fare della filiera dei dispositivi medici un’eccezione al bando dei PFAS“Sosteniamo pienamente la proposta di restrizione universale, compresi i periodi di transizione concessi per i dispositivi medici essenziali. Questa restrizione è necessaria per guidare l’innovazione nel settore e per incentivare e accelerare lo sviluppo di alternative più sicure e sostenibili”

Allarme Pfas? Cambiamogli il nome.

L’ “Unione internazionale della chimica pura e applicata” (IUPAC, l’ente che raggruppa organizzazioni accademiche, singoli scienziati e 70 aziende del settore) vorrebbe cambiare la definizione dei Pfas per evitare blocchi alla produzione, ovvero crollo degli enormi profitti,  come POTREBBE avvenire per la Solvay (Syensqo) di Spinetta Marengo alla luce sinistra dei dati ambientali e sanitari, anzi, come DOVREBBE avvenire secondo le mobilitazioni delle organizzazioni, associazioni e comitati, ma anche di Stati europei, che chiedono di mettere al bando le cancerogene  sostanze perfluoroalchiliche che si accumulano indistruttibili nell’organismi, benchè nessuna sia indispensabile ma tutte sostituibili.
L’intento dello IUPAC, nel quale si intravede la “longa manus” della lobby chimica, è ridurre i parametri, relativi alle caratteristiche chimico-fisiche della famiglia dei Pfas, necessari per vietarli. Il trucco per mantenere il “far west normativo” consisterebbe nel cambiare un atomo per ottenere una molecola diversa, più “leggera”, ma che comunque manterrebbe le stesse devastanti peculiarità della precedente: bioaccumulo, persistenza, mobilità nell’ambiente. La mossa dello IUPAC rientra nella strategia di allungare i tempi di sopravvivenza delle produzioni incriminate, come sta facendo Solvay nel corso del processo penale di Alessandria strozzandolo tramite la manovra del patteggiamento assolutorio con Procura e Parti civili. Insomma, a mano a mano che un Pfas viene dichiarato ufficialmente cancerogeno (Pfoa) è pronto un sostituto (cC6O4, ADV): “a catena corta”, peggio del precedente.
Nello IUPAC è fortemente impegnato il coordinatore italiano, Pierangelo Metrangolo, professore ordinario di chimica al Politecnico di Milano, ma soprattutto, da ben 20 anni responsabile della partnership con Solvay Solexis sui nuovi materiali chimici, impegnandosi a brevettare diversi Pfas, cavillandoli in gruppi e sottogruppi, sofisticandoli  in base a proprietà fisico-chimiche e profili di tossicità, comunque tutti mai definiti “innocui” ma, al più, “meno pericolosi” “meno bioaccumulabili” “meno tossici” “meno cancerogeni”. “L’astuto” accorgimento sarebbe non vietarli ma ridurne le quantità ingerite e inalate. Sul concetto di Metrangolo la più entusiasta (che potremo ascoltare nel processo di Alessandria, se non passerà il rito alternativo) è Patrizia Maccone, lei quanto meno non sospettabile di conflitto di interessi essendo trasparente manager di Syensqo Solvay dopo essere stata responsabile del settore fluoropolimeri di Ausimont.
La manovra dello IUPAC si contrappone alle ricerche sviluppate negli ultimi trent’anni dalla letteratura scientifica internazionale, e infatti  contro di essa  si è schierato il gruppo di scienziati indipendenti pubblicando una lettera sulla rivista scientifica Environmental Science&Technology a difesa dell’attuale definizione di Pfas, adottata dalla Commissione europea: “Il tentativo dello IUPAC è dettato da ragioni politiche ed economiche, piuttosto che scientifiche”

Fibre anticolesterolo. Anche anti Pfas?

Non esistono interventi per ridurre i Pfas una volta entrati nell’organismo umano, dove è scientificamente assodato che gli “inquinanti eterni” sono associati al cancro, all’alterazione del sistema endocrino e all’aumento del colesterolo nel sangue.  E ampiamente dimostrato che l’esposizione ai Pfas può aumentare il colesterolo totale e quello Ldl (colesterolo cattivo). Nell’ambito di uno studio relativo al colesterolo, pubblicato su “Environmental Health”, un team di scienziati canadesi, mentre indagava sull’assunzione di fibre alimentari per ridurre il colesterolo nel sangue, ha notato che, in coloro che assumevano un integratore di fibre, alcuni Pfas specifici si sono ridotti drasticamente dopo l’intervento.
 
L’ipotesi, tutta da dimostrare in futuro, è che le fibre alimentari potrebbero ostacolare l’assorbimento o il riassorbimento dei Pfas formando un gel che riveste l’intestino e intrappola sostanze come gli acidi biliari, che hanno una struttura chimica simile a quella dei vari Pfas. Queste fibre gelificanti si trovano comunemente in alimenti come avena e orzo.

Solvay manovra da sempre il parlamento italiano.

Sono consapevoli che l’unica soglia sicura per la salute è “lo zero tecnico”. Ovvero il divieto assoluto di uso e produzione dei Pfas. Eppure, la potente lobby chimica della Solvay manovra da sempre il parlamento italiano. Piuttosto che la messa al bando di produzione e uso, la Commissione affari sociali del Senato (con il visto della Commissione bilancio) ha, infatti, dato il suo via libera al decreto legislativo che fissa a 20 nanogrammi per litro i livelli consentiti dei Pfas ((PFOA, PFOS, PFNA e PFHXS): una soglia superiore anche dieci volte rispetto ai limiti restrittivi adottati in altri paesi europei, come la Danimarca (2 nanogrammi per litro) o la Svezia (4 nanogrammi per litro). Nonchè ha fissato 10 microgrammi per litro per il TFA (acido trifluoroacetico).
 
Questo benchè l’Italia annoveri gli epicentri più gravi del disastro ambientale europeo legato ai PFAS, in particolare in Veneto (350mila persone esposte) e in Piemonte (che ospita a Spinetta Marengo l’unico stabilimento produttivo). Con tassi di cancro e mortalità superiori alla media nelle aree contaminate. Ma campioni positivi si trovano in ogni regione italiana. E, nonostante l’emergenza i controlli sui PFAS nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche.
 
In questo deficitario contesto, si calerà la direttiva europea 2020/2184 che impone dei limiti normativi a partire dall’inizio del 2026, limiti superati dalle più recenti evidenze scientifiche: quelle ad es. diffuse dall’EFSA, tant’è che l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato che i limiti in via di adozione sono inadeguati a proteggere la salute umana. Infatti, hanno già adottato valori più bassi numerose nazioni europee (Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione belga delle Fiandre),  e gli Stati Uniti … a rischio Trump.

Forever Pollution Project contro la campagna della lobby Pfas.

La situazione europea è talmente intollerabile che 94 organizzazioni europee, che rappresentano milioni di persone, hanno inviato una lettera a Ursula von der Leyen esortandola ad “agire con audacia e chiarezza” contro quello che è diventato il “veleno del secolo” e probabilmente “la più grave crisi di inquinamento che l’umanità abbia mai affrontato”, dunque per vietare i PFAS.
Di fronte c’è la lobby di Solvay & Co. Infatti, Il gruppo europeo di giornalisti Forever Pollution Project ha indagato sulla campagna orchestrata di lobbying e di disinformazione da parte dell’industria PFAS e dei suoi alleati, con l’obiettivo di annacquare la proposta dell’UE di vietare “per sempre le sostanze chimiche” e spostare l’onere dell’inquinamento ambientale sulle società. L’indagine transfrontaliera e interdisciplinare ha calcolato per la prima volta il costo sbalorditivo della “bonifica” della contaminazione da PFAS in Europa se le emissioni rimangono senza restrizioni: 2 trilioni di euro in un periodo di 20 anni, una fattura annuale di 100 miliardi di euro. Questo però solo se smetteremo immediatamente di produrli e diffonderli. Costo a carico pubblico o dell’inquinatore?
Quando si parla di “bonifica” bisogna usare le virgolette, in quanto una bonifica definitiva è impossibile perché i Pfas (molecole a “catena lunga” o, peggio, “corta” o “ultrasonica”) sono praticamente indistruttibili in qualsiasi matrice ambientale (aria acqua suolo pioggia ciminiere rifiuti discariche fogne depuratori falde fiumi agricoltura cibi e bevande), ineliminabili con filtri o incenerimenti, e in definitiva ineliminabili nel sangue umano (già presenti nel feto). Da qui la definizione di forever chemicals, sostanze chimiche eterne. Quello che si può fare è bloccarne la diffusione, mettere in sicurezza le popolazioni. 
Dunque, la soluzione ecologica e sanitaria ed economica è: immediatamente chiudere le fabbriche che li producono ed eliminare i Pfas dall’infinità di oggetti che usiamo nella vita quotidiana (dalle padelle antiaderenti al fino interdentale, passando per   imballaggi alimentari, tessuti antimacchia abbigliamento impermeabile, frigoriferi, condizionatori e perfino inalatori per l’asma eccetera), a tacere gli utilizzi nel settore militare.
Forever Pollution Project ha mappato la diffusione dei PFAS in Europa individuando 23mila siti contaminati, 20 impianti di produzione ancora attivi e più di 21mila siti ritenuti pericolosi. Alla diffusione di questi dati è seguito il tentativo di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia di inserire una “restrizione universale” nel regolamento europeo sulle sostanze chimiche (REACH, Registration evaluation authorisation and restriction of chemicals).
E immediatamente c’è stata la levata di scudi degli lobbisti finanziata dai miliardi del settore chimico (Fluoropolymers Plastics Group: Syensqo Solvay e Arkema in Europa) ma anche dei settori di batterie, tecnologie mediche e farmaceutiche, semiconduttori e altri ambiti manifatturieri, e soprattutto del settore degli armamenti.
Le tattiche usate sono sempre le stesse: studi orientati, finanziati e diffusi dall’industria del settore, lobbying diretto, creazione di reti di alleati a supporto delle aziende, impiego di consulenti e grandi studi legali privi di attendibilità scientifica. Insomma, assomiglia, in tutto e per tutto, alle campagne di boicottaggio nei confronti della legislazione sul tabacco, sui combustibili fossili o sul gas. La lobby insiste particolarmente sulle “deroghe” di esenzione dal bando totale: Solvay Syensqo sui fluoropolimeri di Spinetta Marengo.
Neppure l’appello delle 94 organizzazioni europee pare destinato a fare breccia nella chioma di Von der Leyen, troppo impegnata a fare la guerra alla Russia (anzi, i Pfas sono un business per gli armamenti). Non a caso alcuni paesi, come Francia, Danimarca e Paesi Bassi, stanno già introducendo divieti più rapidi per specifici prodotti contenenti PFAS. Per le acque potabili i limiti attuali delle leggi italiane sono di 0,50 microgrammi (µg/l) per il “Pfas totale” e di 0,10 microgrammi per la “somma di Pfas”, mentre in Danimarca il limite di legge in vigore è di 0,002 microgrammi per Pfoa, Pfos, Pfna, Pfhxs. ll Governo danese stanziando 54 milioni di euro è stato il primo in Europa ad approvare un Piano d’Azione Nazionale per prevenire, contenere e bonificare le contaminazioni da PFAS.  La Francia ha approvato una legge che proibisce l’uso di Pfas per cosmetici, prodotti a base di cera, impermeabilizzanti per abbigliamento, vestiti e prodotti tessili.
Per quanto riguarda in Italia l’attività di lobbing della Solvay sui decisori politici (parlamento, comune, regione ecc.) per influenzare il processo decisionale, stiamo ampiamente documentando.

Longa manus di Solvay sulla politica, dalla destra alla sedicente sinistra.

La potenza PFAS della lobby chimica capitanata da Solvay, in grado di condizionare pesantemente il Parlamento, è di evidenza plastica nel tergiversatore Ordine del giorno presentato alla Camera dai deputati. https://www.camera.it/leg19/995?sezione=documenti&tipoDoc=assemblea_allegato_odg&idlegislatura=19&anno=2025&mese=03&giorno=10.
Viene a malapena citato lo storico avvelenamento aria-acqua-suolo del territorio di Alessandria ad opera dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo: unico sito di produzione PFAS in Italia, della quale la chiusura -immediata- è invece la “conditio sine qua non” per avviare seriamente lo stop della tragedia ecosanitaria dei cancerogeni PFAS. Di conseguenza, non si chiede una legge nazionale di messa al bando –immediata- della produzione.
D’altronde tra i deputati firmatari primeggia Sergio Costa, ex poliziotto, generale dei carabinieri forestali, vicepresidente della Camera, il quale, da “ministro dell’ambiente nei governi Conte I e II”, annunciò più volte e solennemente addirittura di “fissare il limite zero Pfas”, salvo affossare il Disegno di legge di Mattia Crucioli, senatore del suo stesso partito, che metteva al bando in Italia la produzione Pfas (Solvay, Spinetta Marengo) e il suo uso industriale e nei consumi, nonché stabiliva le procedure di bonifica (https://www.edocr.com/v/kv5mnoyz/bajamatase/crucioli-ddl). Costa fu dai Comitati ridicolizzato e contestato in piazza  “Con la salute dei nostri figli non si scherzi”, eppure attualmente è coordinatore nazionale del comitato “Pianeta 2050”, piattaforma interna al M5S che si occupa di politiche ambientali, agricole, alimentari e protezione animali. (sic).

Occultati centinaia di morti sul lavoro.

Carlo Soricelli curatore dell’osservatorio di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it :
Da 18 anni denuncio che vengono occultati centinaia di morti sul lavoro ogni anno, ma nessuno di voi è mai venuto a vedere se quello che scrivo è vero, anche quest’anno già oltre 150: sono agricoltori lavoratori i nero, appartenenti a categorie diverse da INAIL, itinere ecc. ma prima o poi dovrete confortarvi e venire fuori dal vostro guscio e rispondere ai cittadini del vostro silenzio. rispetto al 19 giugno del 2024 siamo a soli-9 morti, ma nel 2024 ci sono stati ben 1486 morti, l’anno più tragico da quando ho aperto l’Osservatorio, tanto per fare un confronto il 19 giugno del 2008 i morti sui luoghi di lavoro escluso itinere furono 288 con un aumento del 37% rispetto ai 490 di quest’anno. Ma vi racconteranno balle per nascondere che c’è una lobby potentissima sulla Sicurezza e sul fallimento della politica su questo fronte. Ma sapete che muoiono anche i non assicurati a INAIL?

Il “grande fratello G7” e il nuovo “Ministero della verità” di Orwell.

La dichiarazione orwelliana del G7 ha descritto gli attacchi militari di Israele contro l’Iran come “autodifesa”. Distorcendo il linguaggio per adattarlo ai fini politici, il comunicato normalizza l’aggressione e offre una copertura diplomatica alle ripetute violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Invece di condannare la pericolosa escalation israeliana, il G7 ricorre a vaghi appelli alla “de-escalation”, avallando di fatto l’impunità sotto l’egida della neutralità.

Vistosamente assente dalla dichiarazione era qualsiasi riferimento all’uso della fame da parte di Israele come arma contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza, alla violazione da parte di Israele dell’accordo di cessate il fuoco in Libano o ai suoi bombardamenti pluriennali sulla Siria. Di fatto, il G7 si è ora allineato pienamente alle guerre senza fine di Netanyahu.

Il programma nucleare iraniano è stato recentemente confermato dal capo dell’intelligence statunitense, in una testimonianza al Congresso, in cui ha affermato che l’Iran non sta costruendo un’arma nucleare… Continua cliccando qui Jamal Kanj