per la salvezza della Solvay serve un piano industriale

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Il futuro dello stabilimento chimico della Solvay di Spinetta Marengo sta in una vera bonifica, altrimenti chiuderà. Per la salvezza serve un piano industriale quale quello messo a punto da Medicina democratica per la Solvay di Rosignano (Livorno).
Infatti il conflitto che in Alessandria oppone la multinazionale belga alle Parti civili e al Pubblico ministero ha la sua ragione di essere notevole.
E’ nell’eventualità di una condanna anche a 15 anni di reclusione per i suoi otto dirigenti. E’ soprattutto nella preoccupazione per i costi economici che discendono dalla condanna. Non quelli dei risarcimenti alle parti lese: per un colosso internazionale sono inezie, in conto rischi e facilmente assorbibili rispetto agli utili astronomici di una impresa leader mondiale. Il vero costo, invece, una bella botta per gli azionisti di Bernard de Laguiche, sarebbe la condanna a pagare la bonifica di un milione di metri cubi di veleni tossici e cancerogeni, una ventina, tra i quali il cromo esavalente non è neppure il più micidiale, sotterrati sotto e accanto alla fabbrica. Bonificare significa togliere dal terreno la massa velenosa che altrimenti continuerà a sciogliersi nella gigantesca falda acquifera sottostante. Una spesa considerevole anche per azionisti che in dieci anni hanno pur collezionato utili stratosferici. Quando i belgi nel 2002, al termine di una lunga e complessa contrattazione, hanno comprato lo stabilimento bacato e conveniente, sapevano perfettamente, come tutti, dal primo cittadino all’ultimo operaio, meglio di tutti: come dimostrano la documentazione sequestrata e le intercettazioni telefoniche, sapevano questa drammatica situazione di inquinamento. Ecco che, piuttosto che estrarre i veleni dai terreni, piuttosto che estrarre i miliardi dalle loro tasche, hanno ordinato ai propri dirigenti di nascondere discariche e analisi e imbrogliare gli enti pubblici, cioè commettere reati, scientemente, con dolo: proprio come segnano i capi di imputazione: “avvelenamento doloso delle acque e dolosa omessa bonifica”. Ecco che poi, nel 2008, scoppiato il bubbone pubblico, avviato il procedimento penale, hanno proposto una bonifica finta, assai meno costosa (dai 2,5 ai 12 milioni, secondo le indiscrezioni di stampa). Hanno subito trovato una sponda giusta in Lorenzo Repetto, allora presidente dell’Amag, per un finto piano di bonifica costoso per gli enti pubblici e inutile: una impossibile “sciacquatura” delle acque avvelenate prelevate dalla falda, come raccogliere con un cucchiaio l’acqua dal lago. E’ inquietante il ruolo di faccendiere che emerge anche dalle intercettazioni, ma altresì sconcertò la compiacenza del Comune (sindaco Fabbio) a questo “piano Amag” di cui ora tutti ridono ma allora sputtanato solo da noi. Ora Solvay e alcuni sindacalisti e politici dicono: la vera bonifica non è possibile, costa troppo all’azienda che minaccia di chiudere la fabbrica. Il classico ricatto occupazionale. Dura da sempre: da quanti decenni rivendicammo l’Osservatorio ambientale della Fraschetta con al primo punto la richiesta delle indagini idrogeologiche ed epidemiologiche? Se i politici ci avessero ascoltato, oggi non saremmo a questo punto. A questo punto è comprensibile la disinvoltura della dispendiosa campagna mediatica “Operation adoucir les journalistes” orchestrata da Paolo Bessone, ovvero la foga con cui Solvay si sta battendo in Corte d’Assise per evitare una onerosa condanna ai suoi azionisti, ingaggiando in aula più famosi avvocati d’Italia e umiliando ammalati e parenti dei defunti. Mentre attende con preoccupazione che la Magistratura apra il secondo filone processuale per i gravissimi inquinamenti da PFOA, PFIB ecc. a danno di lavoratori, cittadini e ambiente, come documentato dai nostri esposti anche con le analisi del sangue dei dipendenti.