Le responsabilità della magistratura di Alessandria (a tacere degli amministratori locali).

Tony Fletcher è il supertestimone della Procura al processo di Vicenza contro Miteni. Per noi è una conoscenza vecchia di quindici anni. Lo segnalammo infatti -inutilmente- negli esposti alla Procura di Alessandria, nonché ai giornali. Come segue.  

“”Abbiamo segnalato per primi la questione eco sanitaria con alcuni ricorsi (Alessandrini, Berto, Ferrarazzo, lavoratori poi licenziati) alla Procura relativi alla presenza di PFOA tanto nel sangue dei lavoratori quanto nelle acque dei fiumi Bormida, Tanaro e Po, nonché delle falde superficiali e forse non solo. Nella copiosa documentazione del ricorso, si fa proprio riferimento agli studi americani citati da Tony Fletcher, professore alla London School of Hygiene end Tropical Medicine. Lo scienziato, definito uno dei tre maggiori epidemiologi mondiali, pur nella sua veste di consulente di parte (della Dupont, azienda produttrice di PFOA che ha già indennizzato per 101,5 milioni di dollari) ci conferma il drammatico allarme su un prodotto accertato da anni negli animali come cancerogeno, mutageno e teratogeno, ma si dichiara attendista per quanto riguarda analoghi effetti sugli esseri umani: ‘Fra circa 18 mesi concluderemo gli studi’. La nostra Associazione ritiene invece, in base agli studi internazionali, che se il prodotto perfluorurato è cancerogeno per gli animali non può non esserlo per gli umani, come dimostrano le metodologie comunemente utilizzate nella ricerca medica e farmaceutica. Tanto più che il ‘principio di precauzione’ impone di sospendere un prodotto quando sospetto, senza attendere di conteggiare a posteriori i morti e gli ammalati. Perciò abbiamo chiesto che la Solvay di Spinetta Marengo interrompa immediatamente l’utilizzo del PFOA e il suo rilascio in aria e acqua. Siamo invece completamente d’accordo con il professor Fletcher, avendola invano già richiesta a Procura e Asl, sulla necessità di analisi del sangue di massa per il PFOA: come hanno fatto in USA per 70.000 persone.””

Pfas, risarcimenti miliardari per gli inquinanti Killer.

“Chi inquina paghi” è un vecchio slogan che rischia sempre di rimanere tale. Ma non per quanto riguarda i PFAS.  A cominciare dagli USA. Tre dei principali gruppi chimici statunitensi, ChemoursDupont e Corteva, sono stati costretti ad un accordo di 1,2 miliardi di dollari di risarcimenti per aver contaminato con i Pfas fonti d’acqua di tutti gli Stati Uniti.  Anche il gigante industriale 3M ha firmato un miliardario accordo di principio per risolvere tutte le richieste di risarcimento relativi ai PFAS nell’acqua potabile. La 3M è stata oggetto di cause legali per i Pfas anche in Europa: nel 2022   ha accettato un accordo di 571 milioni di euro con la Regione belga delle Fiandre per gli scarichi di PFAS intorno allo stabilimento di Zwijndrecht vicino alla città di Anversa. Il governo olandese ha chiesto indennizzi alla 3M per i danni nel fiume Shelda occidentale che sfocia nel Mar del Nord. Così 3M ha dichiarato di cessare i Pfas entro il 2025.

E in Italia? Miteni e Solvay sono sotto processo. Miteni ha dichiarato fallimento prima di essere costretta a risarcire. Solvay anche dal secondo processo penale non rischia reclusioni a spese di chi detiene i cordoni della borsa, però ad Alessandria potrà essere costretta ad aprirli in sede civile a seguito di cause collettive -class action- delle Vittime, lavoratori e cittadini.

Prodotti in Italia i Pfas, vietati negli Stati Uniti.

Prima di Fletcher, Robert Billot, l’avvocato americano che per primo ha sconfitto le multinazionali produttrici dei Pfas ha testimoniato al processo in corso a Vicenza contro Miteni, i cui capi di imputazione non riguardano le conseguenze sanitarie dell’ecocidio, cioè i risarcimenti agli ammalati e ai morti tra la popolazione coinvolta. Pur significativa in sede penale, la testimonianza di Billot sarà determinante in sede civile ad Alessandria per inchiodare le responsabilità di Solvay a Spinetta Marengo. (continua)

Non solo gli inquinatori sapevano e nascondevano, ma anche le istituzioni sapevano e…

Come da testimonianza dell’avvocato Robert Billot, ben prima del 1976 gli studi evidenziano i pericoli sanitari dei Pfas, pur se le multinazionali e i loro medici chiudevano i dati nei cassetti. Non solo le aziende sapevano, anche le Istituzioni sapevano. Sapevano ben prima che scoppiasse nel 2013 il caso Veneto dopo la chiusura della Miteni.  Già dagli anni ’80 Lino Balza denunciava ondate di scarichi in Bormida ai quali Asl e magistratura non diedero il nome di Pfas. Già nel 2002 la CGIL con volantino denunciava ai lavoratori dello stabilimento per nome queste sostanze tossiche e cancerogene. Già nel 2009 Balza aveva sfidato Solvay col suo medico Giovanni Costa sui giornali e aveva denunciato e documentato in Procura gli studi scientifici internazionali e, soprattutto, che i Pfas erano stati rilevati nel sangue dei lavoratori della Solvay di Spinetta Marengo e secretati dall’azienda. Però solo nel 2022 la magistratura di Alessandria, dopo otto esposti, ha provveduto al sequestro delle cartelle cliniche!  (continua)

I risarcimenti Pfas alle Vittime.

“Chi inquina paghi” è un vecchio slogan che rischia sempre di rimanere tale in Italia? In Usa si stanno accumulando cause legali – intentate da governi statali, gruppi di difesa ambientale, servizi idrici e altri. E in Italia? Chi ha fatto profitti enormi sulle spalle dell’ambiente e della salute dei cittadini pagherà? Miteni e Solvay sono sotto processo penale. Miteni ha dichiarato fallimento prima di essere chiamata a risarcire. Solvay, a sua volta, anche dal secondo (imminente?) processo penale -con debole imputazione: disastro colposo e non doloso- da un lato non rischierà reclusioni a carico di chi detiene i cordoni della borsa ma “sacrificherà” con miti pene due direttori retribuiti allo scopo, e dall’altro tenderà a scaricare i costi della bonifica (se e quando) sullo Stato. E per quanto riguarda i risarcimenti alle Vittime: ammalati e morti, lavoratori e cittadini? Il rischio del danno e della beffa è atroce. Ecco allora che ci apprestiamo ad avviare in tribunale ad Alessandria in loro favore cause civili: cause collettive, class action. (continua)

Suona la grancassa della propaganda Solvay.

Solvay di Spinetta Marengo ha presentato in anteprima alla stampa il cantiere dell’ impianto a Carboni Attivi per il trattamento delle acque industriali di raffreddamento e meteoriche, nonché dell’impianto ad Osmosi Inversa per il trattamento dei reflui acquosi di processo. Essi garantirebbero “la rimozione pressoché totale dei fluorotensioattivi PFAS”. Riproponiamo pari pari la spiegazione della bufala che pubblicammo sul Sito l’anno scorso (e censurata dai giornali): “La più grossa delle ‘bufale Pfas’ propinate a giornali e istituzioni dalla multinazionale Solvay è (continua)

Anche la propaganda inquina.

Solvay di Spinetta Marengo si affida alla propaganda per arginare la sempre più insistente richiesta di cessazione immediata dei famigerati PFAS. Attualmente, da un lato punta sull’iniziativa “Fabbriche aperte”, col terzo rendez-vous di fumo senza arrosto: “una visita guidata alla barriera idraulica, all’impianto di Trattamento Acque di Falda (TAF) e un successivo laboratorio di ascolto e dialogo”, rinfreschi e applausi dei giornalismi inclusi, “al fine di rafforzare  lo spazio di confronto tra l’azienda e la popolazione locale per comprendere come funziona la rete di pozzi che costituisce la barriera idraulica a protezione dello stabilimento e del territorio circostante”.

Dall’altro, l’Arpa pubblicizza sui giornali che “Il Laboratorio Specialistico Piemonte Sud Est si arricchisce di una apparecchiatura d’avanguardia, di importanza fondamentale per poter tracciare le vie di diffusione di queste sostanze non solo nelle matrici liquide, e nell’acqua, ma anche nei suoli. Quel “si arricchisce” è di involontario quanto macabro umorismo. Non a caso applaude il sindaco di Alessandria Giorgio Abonante all’unisono con l’assessore regionale all’ambiente Matteo Marnati, entrambi, come noto, da sempre oltremisura “impegnati   nella direzione della ricerca per il controllo dei livelli di inquinamento sul nostro territorio”. Come Solvay, peraltro. Una mano lava l’altra.

Mamme, bambini e donne incinte non utilizzate acqua del rubinetto.

«Nel cimitero di Zimella ci sono le tombe di sette bambini maschi morti per aborto tardivo spontaneo negli ultimi anni, mentre fra il 1960 ed il 2000 i casi analoghi erano stati in tutto due. Ma non è tutto, perché i problemi si manifestano in maniera grave dopo dieci anni di esposizione legata all’uso dell’acqua.”

Cinque anni fa aveva fatto rabbrividire questa testimonianza di un medico di base, Elisa Dalla Benetta, che confermava le ricerche del professor Carlo Foresta dell’Università di Padova: i Pfas sono interferenti ormonali e, abbattendo la produzione di testosterone, possono causare infertilità, problemi al sistema riproduttivo e tumori. Dunque bambini che muoiono a causa di aborti tardivi spontanei, ragazzi che vivono situazioni di confusione in merito alla loro identità sessuale, donne che affrontano l’idea della gravidanza con il timore di trasmettere ai propri figli problemi drammatici.

Ora, giugno 2023, «Va raccomandato alle donne in stato di gravidanza residenti nelle zone inquinate dai Pfas di non bere acqua di rubinetto». È possibile che in essa le sostanze perfluoro-alchiliche superino i livelli tollerabili dai neonati.” Ad affermarlo è il Consiglio regionale del Veneto. La mozione fatta propria dal Consiglio cita l’autorità europea per la salute alimentare Efsa, anche quando dice: «I bambini di età inferiore ai sei mesi sono maggiormente esposti alla contaminazione da Pfas attraverso il latte materno», così come l’accademia nazionale americana Nasem, che parla di aumento di rischio di basso peso neonatale ed ipertensione in gravidanza per le donne con concentrazioni derivanti dalla somma dei Pfas nel sangue.

Lo studio compiuto dal Coordinamento malattie rare della Regione ha evidenziato possibilità nettamente più alte della media per le donne in gravidanza che hanno a che fare con l’inquinamento da sostanze perfluorate di contrarre pre-eclampsia (+27%) e diabete gestazionale (+44%) e che c’è una probabilità più elevata del 29% che i bimbi abbiano un basso peso e che ci siano rischi significativi di anomalie al sistema nervoso e difetti congeniti al cuore.

Non solo i Pfas anche i Bisfenoli e uccidono.

Ancora una volta rilanciamo l’allarme. Avevamo cominciato ad Alessandria  anni fa con esposti a Procura-Prefetto-Arpa. L’Arpa aveva confermato quanto avevamo denunciato: alla Solvay di Spinetta Marengo nel cocktail con i PFAS (PFOA, C6O4, ADV) tra gli interferenti endocrini c’è anche il Bisfenolo nelle sostanze in uso. Sul nostro Sito c’è ampia documentazione.

Questa volta riprendiamo un articolo dalla Toscana (clicca qui) dal titolo: “Allarme contenitori cibi: c’è il bisfenolo A

Pfas. Ex assessore attacca il sindaco che se ne frega dei cittadini.

Giorgio Abonante è il sindaco di Alessandria accusato di non promuovere il monitoraggio Pfas nel sangue della popolazione, e di non concludere la seconda fase dell’indagine epidemiologica avviata dall’ex assessore all’ambiente, Claudio Lombardi, anche egli in una giunta di centrosinistra. Abonante fa lo scaricabarile “Non è compito delle casse del Comune ma della Regione” (che strizza l’occhio e fa orecchi da mercante) e Lombardi lo smentisce pubblicamente di fingere: “Non ricorda neppure le migliaia di euro che ha approvato per l’indagine quando era assessore al bilancio”. Il gatto comunale e la volpe regionale non finanziano né la tranche di indagine epidemiologica né, soprattutto, le analisi di massa del sangue a tutta la popolazione. Vorrebbero farlo passare per Pinocchio ma Lombardi non ci sta.

La prima class action contro Solvay in Italia.

Quella che stiamo aprendo è la prima class action contro Solvay in Italia: vuole, in sede civile, risarcire le Vittime, malati e defunti, non tutelati in termini di risarcimenti nei processi penali: come quello concluso in Cassazione appunto contro Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria), peraltro con pene irrisorie e senza risultati di bonifica del territorio. Diversa è la situazione internazionale. Ad esempio, è attuale l’accordo, da 10,3 miliardi di dollari per risolvere le denunce di inquinamento idrico legate alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), che è stato costretto a stipulare il colosso chimico statunitense, 3M. Implicitamente è il riconoscimento di responsabilità. Come sarebbe una sentenza italiana in sede civile. Si annunciano gli altri accordi delle multinazionali Chemours, DuPont e Corteva: più di 1 miliardo di dollari per risolvere le cause legali sui PFAS. Sono circa 4.000 le azioni legali intentate da Stati ed enti locali. In Belgio la 3M ha patteggiato con la regione fiamminga per 571 milioni di euro.

E’ una calamità mondiale che in Europa colpisce in primis tutta l’Italia (punte di iceberg Veneto-Miteni e Piemonte-Solvay) l’inquinamento da PFAS, accumulabili e indistruttibili “forever chemicals” in suolo-acqua-aria, assorbiti dal sangue provocano tumori, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità, di gravidanza, malformazioni fetali eccetera. Una calamità risolvibile con la totale messa al bando (tipo DDT, CFC, Amianto) contro la quale fa muro di gomma l’astronomico business delle imprese produttrici (tutte sapevano da decenni che stavano uccidendo) e utilizzatrici: tessuti, carta, contenitori di alimenti, pellicole fotografiche, schiume antincendio, pentole antiaderenti, detergenti per la casa, biberon moquette, indumenti impermeabili, eccetera. Un futuro dunque di chiusure aziendali da provocare, però, ora, già bisogna fargli pagare i danni del passato: la distruzione ecologica e i risarcimenti alle Vittime.

Il Forum Veneto a Padova.

Il Forum Veneto Ambiente e solidarietà, a Padova, sabato 24 giugno dalle 9 alle 12, in via Da Tempo nella sede dei Beati Costruttori di pace, si confronterà sulle principali emergenze regionali: dall’inquinamento Pfas, all’offensiva inceneritori, dall’incredibile scasso provocato dalle Olimpiadi di Cortina 2026, al raddoppio dell’aeroporto  ecc.

Pfas come amianto: le aziende sapevano da decenni.

I ricercatori dell’Università della California di San Francisco hanno reso noto, sugli Annals of Global Health, un’analisi di documenti rimasti segreti, quasi sempre interni e confidenziali, di due delle principali aziende produttrici di Pfas, i colossi DuPont e 3M, che coprono il periodo dal 1961 al 2006, donati all’università da uno dei protagonisti fondamentali di tutta la vicenda, l’avvocato Robert Bilott, il primo a intentare una causa contro i giganti della chimica e a vincerla. Hanno così analizzato le tattiche utilizzate dalle multinazionali (in Italia Miteni e Solvay) per impedire che la tossicità di queste sostanze diventasse nota a tutti, persino ai propri dipendenti, e di conseguenza, arrivassero normative per disciplinarne l’uso. Le aziende conoscevano  sia i dati epidemiologici sui dipendenti sia di risultati sui modelli animali.

Ecco alcuni esempi di ciò che le aziende sapevano:

Leggi anche:

Solvay cerca in parlamento di bloccare il bando dei PFAS.

Il Disegno di Legge dell’ex senatore Mattia Crucioli presentato nella precedente legislatura detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas”. Insomma li mette al bando in Italia. Vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

Il DDL Crucioli giace sepolto in parlamento.  A loro volta, in queste ore, alcuni senatori del PD, tra cui Andrea Crisanti, hanno annunciato la presentazione di un Disegno di legge “edulcorato” che non imporrebbe la fermata immediata delle produzioni PFAS di Solvay ma “un graduale percorso di uscita per le aziende che utilizzano i Pfas fino ad uno stop definitivo per quelle non essenziali, comunque in linea con le direttive europee di prossima pubblicazione”.

Queste direttive sono quanto mai aleatorie, sapendo che questo piano europeo, pur proiettato nei tempi lunghi, sta fallendo: è quanto sostengono l’associazione ClientEarth e l’Ufficio Europeo per l’Ambiente (EEB) – una rete composta da 180 organizzazioni ambientaliste – sulla base di un rapporto che ha analizzato i progressi fatti ad un anno dalla messa a punto del progetto della Commissione europea.  Insomma, di fatto, il “DDL Crisanti” sarebbe un altro rinvio della soluzione: in linea con i governi precedenti.

Ovvero è la riprova del peso della Solvay sulla politica visto anche nella recente conferenza alla Camera dei deputati delle Associazioni e dei Comitati che hanno presentato il Manifesto europeo per l’urgente messa al bando dei Pfas e chiesto al Parlamento una ancor più urgente legge per la messa al bando dei Pfas in Italia.  Infatti alla conferenza era completamente assente la maggioranza del Parlamento, cioè il governo. Mentre la minoranza presenta il “DDL Crisanti”.

A Lione il sindaco di Alessandria lo caccerebbero.

Il polo chimico Solvay Arkema.

Pfas nelle acque di Lione: vietato mangiare pesce e uova della zona. E Alessandria? A differenza di quello italiano, il governo francese ha annunciato un piano per la messa al bando dei Pfas. A livello locale ha ordinato ad Arkema di smettere di utilizzarli entro la fine del 2024 e di monitorare l’acqua potabile e i prodotti alimentari. L’area industriale incriminata è quella di Pierre-Bénite: nell’aria, nel suolo, nell’acqua del Rodano vengono scaricati i Pfas. Sul Rodano si “specchiano”, una di fronte all’altra Arkema e Solvay, che non a caso le due sono coinquiline nel polo chimico di Spinetta Marengo. Pensare male si fa peccato però spesso ci si azzecca. Arkema e Solvay scaricano assieme in Bormida.

A differenza che a valle di Spinetta, non si deve mangiare il pesce pescato a valle della Pierre-Bénite e non si devono mangiare le uova provenienti dai pollai privati di 17 comuni. A differenza di Alessandria, l’autorità metropolitana di Lione sta preparando uno studio sulla salute e sull’ambiente, con una campagna di analisi del sangue. “Tutti sapevano fin dal 2011: è un caso di banditismo ambientale e sanitario”.  36 querelanti individuali, oltre a 9 associazioni e sindacati, tra cui l’Ong ambientalista “Notre affaire à tous”, hanno portato il caso davanti al tribunale giudiziario di Lione nell’ambito di una procedura sommaria per reati ambientali che consente ai tribunali di “adottare qualsiasi misura utile, fino alla chiusura di un sito”. Il sindaco potrebbe entro l’estate unirsi nell’azione collettiva di bonifica del suolo (a differenza del sindaco di Alessandria).

Pfas distruttori della tiroide.

In due recenti articoli open access pubblicati dal gruppo di ricerca coordinato da Maurizio Manera, docente della Facoltà di Bioscienze e tecnologie agro-alimentari e ambientali di Teramo, emergono evidenze circa gli effetti -nefrotossici, immunotossici e distruttori endocrini associati all’esposizione dei Pfas- sulla ultrastruttura della tiroide.  Nello studio – pubblicato nella rivista “International Journal of Environmental Research and Public Health” – sono state utilizzate delle carpe esposte a due concentrazioni di acido perfluoroottanoico (PFOA): dopo soli 56 giorni di esposizione a PFOA, anche a una concentrazione di rilevanza ambientale, sulle carpe si sono verificati danni sulla ultrastruttura del rene e, in particolare, della tiroide.

PFAS: ecco come provocano ipertensione arteriosa.

La pesante contaminazione da PFAS, che ha interessato l’Area Rossa della provincia di Vicenza, ha determinato un aumento della prevalenza dell’ipertensione arteriosa e, conseguentemente, del rischio cardiovascolare. Il gruppo di ricerca guidato dal Prof. Gian Paolo Rossi del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova ha fornito la prova del contaminante. La ricerca Aldosterone Biosynthesis Is Potently Stimulated by Perfluoroalkyl Acids: A Link between Common Environmental Pollutants and Arterial Hypertension pubblicata su «International Journal of Molecular Science», ha destato ampia eco internazionale.

Greenpeace: acqua contaminata dai Pfas. Regione Lombardia: è potabile.

La replica dell’associazione ambientalista a gestori e Regione Lombardia: non è vero che le analisi erano state fatte tutte sull’acqua di falda pre trattata. Nuova richiesta di accesso agli atti. Clicca qui.

Greenpeace Italia torna ribadire che, in base alle evidenze scientifiche, i PFAS sono pericolosi per la salute umana anche a concentrazioni molto basse; pertanto, l’unico valore cautelativo è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria. All’estero questo approccio è realtà: negli Stati Uniti l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) indica come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per i PFAS non esistono soglie di sicurezza. Anche la Danimarca ha adottato da alcuni anni valori estremamente cautelativi per l’acqua potabile pari a 0,002 microgrammi per litro e 2 nanogrammi per litro per la somma di quattro PFAS.

I Pfas finiscono nel fiume Adige.

In Trentino, nella discarica Maza ad Arco i Pfas ci sono, in quantità. Secondo lAppa (Agenzia provinciale protezione dell’ambiente) la falda acquifera non sarebbe compromessa perché la barriera idraulica e il sistema di raccolta del percolato funzionerebbero. Il danno sarebbe stato contenuto, a differenza di quanto accaduto in Valle del Chiese dove una falda è compromessa e ora monitorata (l’altro caso di inquinamento importante da Pfas si ha nell’area ex Gallox a Rovereto.) Invece non è vero: la Maza non è stata oggetto di bonifica e dunque i Pfas ci sono, almeno dall’aprile 2019, quando venne fatto un rilevamento sul percolato in uscita (concentrazione di 7800 nanogrammi/litro di Pfas). Il depuratore di Rovereto non riesce a bloccarli. E dove finiscono? Nello specifico nel fiume Adige.

Una legge limiti zero.

IN ITALIA È IN ATTO UN CRIMINE AMBIENTALE E SANITARIO

CHIEDI AL GOVERNO ITALIANO LA MESSA AL BANDO DEI PFAS

Clicca qui. Greenpeace

L’Italia è teatro del più grave caso di contaminazione da Pfas del continente europeo. Perché il governo non interviene? Una seria minaccia per la nostra salute. Ma le aziende li usano ovunque. Mentre la nostra salute è a rischio, il governo dov’è? La nostra richiesta: chiediamo al governo di varare subito una legge che introduca il divieto di uso e di produzione dei Pfas in tutta Italia. L’ambiente e tutta la popolazione italiana deve essere protetta e tutelata dai Pfas. Non c’è altro tempo da perdere.

L’unico valore cautelativo della salute è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.  Eppure non esiste una legge che ne vieti la produzione e l’utilizzo in Italia.

Eppure in Italia nella scorsa legislatura è stato presentato in Senato da Mattia Crucioli un Disegno di Legge che vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

La puntata precedente di questo servizio del Movimento di lotta per la salute Maccacaro ha illustrato le situazioni Pfas in Lombardia, Toscana e Trentino

Anche in Lombardia l’emergenza PFAS è fuori controllo.

In Toscana ancora dati shock per i PFAS.

Pfas “inquinante perfetto” in Trentino.

Proseguiamo il servizio analizzando il Costo sociale dei Pfas, le Legislazioni internazionali che tentano di fronteggiare la calamità mondiale, il fallimento del Piano europeo di fronte alla controffensiva degli industriali inquinatori, in particolare della Solvay che non intende fermare le produzioni di Spinetta Marengo e blocca la Legge di messa al bando dei Pfas in Italia, viceversa le lotte delle Associazioni e dei Comitati, anche contro le complicità politiche istituzionali, i controllori e i controllati culo e camicia,  mentre addirittura le popolazioni neppure vengono sottoposte a monitoraggi sanitari, non ricevono in sede penale risarcimenti per i danni alla salute se non ricorrono a Cause civili.    

I profitti dei Pfas alle imprese, ma i costi sociali alle collettività.

Il costo del ripristino dei suoli e delle acque 

+  il costo del biomonitoraggio dell’inquinamento

+  il costo delle cure sanitarie dovute all’esposizione

=  IL COSTO SOCIALE

Se il COSTO SOCIALE DEI PFAS fosse pagato dall’azienda produttrice, ovvero se questi costi fossero incorporati nel prezzo di vendita, Solvay dovrebbe mettere in vendita i PFAS a circa 19mila euro al chilo. Invece il costo industriale degli PFAS è mille volte più basso: appena 19 euro al kg. Perché il prodigio? Perché il COSTO SOCIALE DEI PFAS è pagato dalla collettività. La collettività paga 1° sulla propria pelle e 2° con le proprie tasche.

Questi calcoli li ha realizzati l’ong belga ChemSec: a livello globale Il costo sociale degli PFAS ammonta a 17.500 miliardi di dollari ogni anno, mentre i profitti raggiungono quota 4.000 miliardi.

A conti fatti (a prescindere dai costi etici: morti e malattie che non hanno prezzo), all’umanità converrebbe vietare la produzione e l’uso dei Pfas. E’ quanto si era proposto per l’Italia il Disegno di Legge presentato dall’ex senatore Mattia Crucioli. Invece…

Limiti PFAS negli Usa.

Per i PFAS la legge dovrebbe prescrivere “LIMITI ZERO, cioè divieto di produzione, come già per amianto e DDT. Contro le leggi si battono le aziende produttrici, che per decenni hanno prima nascosto e poi negato e poi sminuito la tossicità e la cancerogenità degli “inquinanti eterni”, e che infine ne stanno promettendo le impossibili bonifiche.

L’Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale americana, intende entro l’anno fissare il valore limite nell’acqua potabile dei “forever chemicals’ a 4 parti per mille, cioè un valore al limite di quanto gli strumenti siano in grado di misurare in modo affidabile, ma comunque ancora troppo alto per tutelare adeguatamente la salute. Infatti la ricerca scientifica ritiene che non esistano limiti sicuri per la salute per gli PFAS nell’acqua potabile.

I grandi inquinatori chimici osteggiano la legge che li espone a risarcimenti miliardari nei confronti degli enti locali e dei cittadini.

Il piano europeo sta fallendo.

Mentre in Italia, teatro del più grande caso di inquinamento da Pfas nel continente europeo, queste sostanze attualmente non sono neppure inserite tra i parametri da monitorare nelle acque destinate al consumo umano e la politica non se ne occupa, in Europa hanno chiesto di vietarne uso e produzione Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia. E la Danimarca, partendo dai dati sulla sicurezza alimentare elaborati da Efsa nel 2020, ha già introdotto un limite per la somma di quattro sostanze Pfas (Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs) pari a 2 nanogrammi per litro.

L’Unione Europea enuncia che sta per fissare nuovi parametri e nuove soglie per le concentrazioni di Pfas nell’acqua, nel cibo, nell’aria, nella terra e nel sangue degli esseri umani e viventi (animali compresi). Prevede di stabilire entro il 12 gennaio 2024 i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento. Ma la direttiva del 2020 non tiene conto dei più recenti parametri Efsa e non centra la soglia zeroInsomma questo piano europeo, pur proiettato nei tempi lunghi, sta fallendo: è quanto sostengono l’associazione ClientEarth e l’Ufficio Europeo per l’Ambiente (EEB) – una rete composta da 180 organizzazioni ambientaliste – sulla base di un loro rapporto che ha analizzato i progressi fatti ad un anno dalla messa a punto del progetto. Nell’aprile 2022, infatti, la Commissione europea aveva annunciato di voler sostanzialmente vietare numerose sostanze chimiche nocive presenti nei prodotti di largo consumo, pubblicando una tabella di marcia da cui emergeva che in un tempo relativamente breve migliaia di esse, a cominciare dai PFAS, dovrebbero appunto essere messe al bando. Purtroppo i progressi fatti nel corso di un anno si dimostrano ben poco rassicuranti. Secondo ClientEarth e EEB “la maggior parte dei fascicoli sono ancora in bozza e allo stato attuale centinaia di migliaia di tonnellate di sostanze tossiche all’anno sono destinate a sfuggire ai divieti”.

La colpa?  Nelle “pressioni esercitate dall’industria chimica” che condizionano atteggiamento della Commissione europea: di par suo incline a regolamentazioni lente e deboli, vanificando il piano che – se concretizzato – vieterebbe “più sostanze chimiche dannose che in qualsiasi altra parte del mondo”.

Il macigno di Solvay e Confindustria su governo e parlamento.

L’Italia si è ancor più accomodata sul rallentatore (supermotion) europeo, tira e molla. Infatti, il Disegno di Legge “Crucioli” non è stato ripresentato mentre il piano, del decreto legislativo del 23 febbraio scorso sulle acque destinate al consumo umano, prevederebbe l’insediamento a giugno del Censia (centro nazionale per la sicurezza delle acque) che recepirebbe e renderebbe disponibili sul territorio le linee guida tecniche sui metodi analitici per quanto riguarda il monitoraggio dei parametri  (Pfas – totale e somma di Pfas) compresi i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento, che la Commissione europea prevede  di stabilire entro il 12 gennaio 2024. Infine, entro il 31 dicembre 2024 il disegno di legge in discussione in parlamento dovrebbe divenire effettivo.

L’influenza della Confindustria (cioè Solvay) in parlamento è stata decisiva sul decreto scorso e intende ancor più esserlo per il disegno di legge. Solvay a Spinetta Marengo è determinata a non fermare nell’immediato le lucrosissime produzioni di PFAS (C6O4) e a non migrare verso sostanze alternative se non in tempi lunghi e fissati da lei. Nel contempo sa, al di là della propaganda, che i metodi di osmosi inversa e carboni attivi per bonificare i Pfas sono inefficaci e addirittura pericolosi (Co2) e comunque hanno costi troppo elevati per le proprie casse. Dunque prende tempo e fa proselitismo istituzionale e mediatico“Potenziare, con il coinvolgimento del sistema universitario ed industriale, la ricerca scientifica su tutti gli aspetti del fenomeno (diffusione di utilizzo, effetti sulla salute, sostanze alternative, etc.); promuovere, stanziando risorse pubbliche adeguate, la ricerca di molecole in grado di sostituire i Pfas;  incentivare, stanziando risorse pubbliche adeguate, la sperimentazione delle tecnologie che consentiranno di abbattere efficacemente e a costi sostenibili i Pfas; promuovere, sulla base dei risultati delle sperimentazioni, l’approvazione delle Bat (migliori tecnologie disponibili) per l’abbattimento dei Pfas e dei limiti di scarico; introdurre limiti allo scarico dei Pfas esclusivamente a seguito dell’individuazione, nell’ambito della sperimentazione, delle tecnologie e delle metodologie adottabili ed approvate a livello europeo dalle opportune Bat”.

Come si vede, Solvay a Spinetta Marengo è determinata a non fermare nell’immediato le lucrosissime produzioni di PFAS (C6O4): “Per i Pfas andiamo verso lo zero tecnico. Il percorso è per la dismissione dei fluoropolimeri entro ottobre 2026”. “La bonifica è a buon punto”. “Il sistema di tutela ambientale dentro e fuori lo stabilimento è ok”. “Altre vasche a carboni attivi e osmosi inversa grandi come campi di calcio” ecc.   Per il resto, la strategia futura è altrettanto volutamente confusa: “Impianto prototipi Aquivion con innovativa tecnologia di produzione di materiali per membrane polimeriche, che si integra in una filiera dell’idrogeno verde sostenibile, rinnovabile e carbon free, che punta anche allo sviluppo per l’automotive”. “A Bollate nuovo laboratorio ‘Dry Room’ per batterie al litio, nell’ambito di ricerca, sviluppo e commercializzazione di polimeri speciali utilizzati nella fabbricazione di batterie al litio, in stretta sinergia operativa con lo stabilimento produttivo Solvay di Spinetta Marengo”. L’unica cosa concreta sono i finanziamenti pubblici.

La riprova del peso della Solvay sulla politica si è visto nella conferenza alla Camera dei deputati (clicca qui) delle Associazioni e dei Comitati che hanno presentato il Manifesto europeo per l’urgente  messa al bando dei Pfas (clicca qui) e chiesto al Parlamento una ancor più urgente legge per la messa al bando dei Pfas in Italia (alla stregua del Disegno di Legge “Crucioli”). Infatti alla conferenza era completamente assente la maggioranza del Parlamento, cioè il governo.

Da sempre evitati gli esami del sangue della popolazione per evitare l’incriminazione della Solvay. Perciò: via alle cause civili.

Per questa strategia di temporeggiamento, a livello piemontese Solvay sa di poter contare da sempre sulle amministrazioni di tutti i colori politici e sindacali. In Piemonte i monitoraggi del sangue dei Pfas ai cittadini non sono mai stati effettuati, mentre quelli ai lavoratori li ha fatti privatamente l’azienda e ne ha secretato gli enormi valori finchè rivelati da noi alla magistratura.  Dopo che noi abbiamo organizzato e gli abbiamo sbattuto in faccia lo studio condotto dall’Università di Liegi (Belgio), che ha evidenziato l’avvelenamento dei Psas nel sangue dei lavoratori della Solvay e dei cittadini di Spinetta Marengo, ebbene l’assessore regionale alla Sanità e il sindaco di Alessandria si erano incontrati per fare il punto sul “caso Solvay” e concordare le iniziative. Come ha ricevuto dal sindaco Giorgio Abonante (centrosinistra) garanzie che non intende emettere -come gli competerebbe- ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti dello stabilimento, l’assessore Luigi Icardi (centrodestra) aveva illustrato le seguenti iniziative.

La Regione ha destinato all’Asl di Alessandria un finanziamento di 340 mila euro per effettuare nuovi campionamenti su matrici animali ed alimentari. Ha deliberato un piano di biomonitoraggio sulla popolazione (in programma nei primi mesi del 2023) che prevederà, nei soggetti a rischio, oltre alla ricerca dei Pfas, anche la valutazione di alcuni parametri sanguigni, quali ad esempio il colesterolo. Per tale iniziativa è stato previsto un primo finanziamento di 70 mila euro. E’ evidente, anche per quelle ridicole cifre, che non sono previste analisi del sangue a tappeto su tutta la popolazione di Spinetta e Alessandria. Mancano perfino i medici di base, altro che indagini epidemiologiche.

In questo squallore, un minuscolo spiraglio di luce perviene dal Progetto H2020 – Scenarios, inserito nel programma Horizon 2020 Framework Programme che ha visto un contributo di quasi 12 milioni di euro complessivi e che comprende 19 organizzazioni di 10 Paesi europei, oltre a Israele, Usa e Canada, e vede come partner strategico l’Azienda Ospedaliera di Alessandria. Secondo questo progetto pilota, un campione di 80 abitanti del Montecastello, Comune distante chilometri dalla Solvay e che è stato costretto alla chiusura dell’acquedotto per avvelenamento da PFAS, sarà sottoposto ad analisi del sangue e delle orine. Un progetto pilota lontanissimo da un monitoraggio di massa della popolazione alessandrina.

Il livello di complicità della classe politica si è recentemente ripetuto nel corso di un Consiglio comunale di Alessandria, dove i consiglieri si sono trovati su ciascun banco un fiore con il nome di un cittadino morto di cancro per colpa della Solvay e, commossi, hanno subito provveduto ad un minuto di silenzio dedicato ai morti “un fiore per ogni vita volata via”. Poi hanno votato -all’unanimità- per l’“Osservatorio ambientale della Fraschetta” (di cui neppure hanno letto la nostra elaborazione degli anni ’80) e un emendamento di “indirizzo a tutti gli enti locali e nazionali” ai quali sbolognare la patata bollente, cioè, rispettivamente, alla Regione di sottoporre tutta la popolazione agli esami del sangue per risarcirla dei danni alla salute, e al Parlamento di chiudere le produzioni della Solvay di Spinetta Marengo. “Occorrono tempo e pazienza” ha raccomandato il sindaco Abonante ai cittadini che intanto si ammalano e muoiono “non sono cose che si possono fare in pochi mesi”. Soprattutto che non vuole fare lui.

Invece non c’è tempo e pazienza.  Così facciamo partire in sede civile le cause contro Solvay per risarcire le Vittime: ammalati e morti fra i lavoratori e i cittadini. A questo punto è automatico che partirà il monitoraggio della popolazione. Come avvenne nel 2004 negli Stati Uniti per DuPont: in pochi mesi 70 mila persone effettuarono le analisi del sangue.  

Discriminazioni nei controlli sierologici in Veneto.

Se le istituzioni piemontesi hanno sempre evitato di effettuare le analisi del sangue della popolazione, al fine di evitare l’incriminazione della Solvay, in Veneto la Regione ha comunicato l’avvio a maggio dei controlli ai cittadini della “Zona arancione”: per accedere al dosaggio dei PFAS devono contattare la centrale Screening Pfas dell’azienda Ulss di competenza.  Il costo della prestazione è di 90 euro a persona.

Si tratta di una discriminazione in quanto il dosaggio è previsto in maniera attiva e gratuita ai soli cittadini dell’“Area Rossa” e non a quelli di altre aree del territorio regionale. L’Area Rossa è stata individuata quale area di massima esposizione sanitaria a partire dai risultati del primo studio di biomonitoraggio condotto dalla Regione del Veneto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, mentre i cittadini dell’Area Arancione erano risultati contaminati con concentrazioni sieriche di Pfas inferiori rispetto ai residenti dei Comuni dell’Area Rossa.

Dunque per molti cittadini della Zona Arancione questi screening a 90 euro sono economicamente improponibili: si dovrebbero sottoporre intere famiglie che, se hanno figli al di sotto dei 9 anni e componenti al di sopra dei 65 anni, devono anche pagare la prestazione per intero.

Per quanto riguarda i cittadini della “Zona Rossa”, l’attività di sorveglianza offerta alla popolazione ha riguardato 106 mila persone che hanno ricevuto un invito per il primo turno (round) di chiamata, 22 mila al secondo round.

Controllati e controllori culo e camicia. Le testimonianze di Billot e Balza.

Lo Spisal di Vicenza era il servizio di prevenzione igiene e sicurezza dell’Ulss dipendente dalla Regione Veneto, competente sul controllo negli ambienti di lavoro. La documentazione inedita che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare ha contenuti dirompenti. Perché dimostra che Spisal era informata dei livelli di Pfas presenti nel sangue dei lavoratori, tuttavia non erano stati effettuati controlli tali da individuare criticità nella gestione dei reparti della Miteni di Trissino. A nascondere la tragicità della salute dei lavoratori, il medico della Miteni, Giovanni Costa, nella sconcertante corrispondenza si dimostra “culo e camicia” con l’azienda: toni tra confidenti, scambi di dati e informazioni, reazioni preoccupate o ironiche, anticipazioni reciproche sugli esiti dei dati dei monitoraggi di dipendenti della Miteni e della popolazione della zona rossa.

Clicca qui e clicca qui.

Se a Spisal sostituiamo Spresal dell’Asl di Alessandria dipendente dalla Regione Piemonte, e a Miteni di Trissino sostituiamo Solvay di Spinetta Marengo, non fatichiamo a intravvedere la coeva situazione di Alessandria. In comune troviamo il dottor Giovanni Costa.

 Lino Balza può testimoniare e documentare in tribunale di aver denunciato pubblicamente le responsabilità del Costa già dal 2009 con l’accusa di occultare la gravità della condizione sanitaria dei lavoratori e dei cittadini ingannando l’ignavia dell’Arpa. Costa, pur conoscendo tutti gli studi (quarantennali) e i divieti e i risarcimenti internazionali nonchè i livelli ematici di avvelenamento riscontrati fra i lavoratori, invece di chiedere per primo il bando della sostanza inesistente in natura, vende la sua autorità per reiterare rassicurazioni – mentendo anche in scandalose assemblee con i lavoratori- che essa non provoca malattie, tumori/ malformazioni/ alterazioni sessuali…  ma sarebbe pressoché innocua o benefica all’uomo. L’abbiamo invano sfidato ad un confronto pubblico tramite un fondamentale documento (depositato in Procura) articolato in 24 dettagliatissimi punti / capi di imputazione quanto meno morali…

Il ruolo di Giovanni Costa, da affrontare sul piano penale (doloso o colposo?), viene a galla anche dalla testimonianza al processo di Vicenza di Robert Bilott, l’avvocato statunitense che ha fatto emergere il primo caso al mondo di inquinamento PFAS. Nel 1999 viene fatto uno studio sullo Pfoa e gli effetti sulle scimmie a cui lavorano i colossi del settore (Dupont, 3M e la stessa Miteni). Emergono gravi danni. 3M decide di bloccare la produzione di Pfoa. Dupont resta senza fornitore negli Stati Uniti, e chiede a Miteni, altro fornitore, le sue intenzioni. La risposta è “Andiamo avanti, anzi incrementiamo“. Questo significa che già nel 2000, Ausimont (che a Spinetta sta cedendo l’attività a Solvay) e Miteni a Trissino sapevano della pericolosità delle sostanze chimiche. In particolare Giovanni Costa, medico delle aziende tanto a Spinetta che a Trissino, c’era lui nello studio sulle scimmie. Sempre lui era il responsabile delle analisi del sangue sui dipendenti. Dunque non può non essere coinvolto nei filoni d’indagine sui danni alla loro salute. 

Billot: Miteni conosceva i rischi ma addirittura aumentò la produzione. Ora via alle class action.

Quando 3M, fornitore americano, si tirò indietro decidendo di non voler più produrre quelle sostanze perché tossiche, l’azienda di Trissino fece il contrario: confermò alla DuPont che ne avrebbe aumentato la produzione.

Nella sua testimonianza al tribunale di Vicenza, l’avvocato Robert Billot depone: «Mi ha chiamato Wilbur Tennant nel 1998 perché le sue mucche continuavano ad ammalarsi. È poi emerso che a confine della proprietà c’era una discarica della DuPont che riversava nel terreno e nelle acque di un ruscello gli scarti contaminati da Pfoa e Pfos, sostanze che utilizzava per produrre il teflon dal 1951 e che comprava dalla 3M in Minnesota». Fin dai primi anni gli scienziati si erano preoccupati del loro impatto, essendo prodotti antropici molto forti composti da fluoro e carbonio. «Nei primi anni ’60 iniziarono gli esperimenti sugli animali che mostrarono diversi problemi. Fu poi 3M nel 1975 a campionare per la prima volta il sangue dei suoi dipendenti, trovando la presenza di Pfoa e Pfos. Due anni dopo si accorse che non solo erano presenti, ma aumentavano nel tempo. Per questo decise di informare DuPont, che iniziò a campionare anche i suoi lavoratori. Intanto nel 1981 uno studio sui ratti di 3M mostrò delle problematiche agli occhi. Così DuPont, facendo una verifica tra i bambini nati da poco da sette donne dipendenti, ne trovò due con malattie legate alla vista che avevano Pfoa nel sangue. Non comunicarono i sospetti ai loro lavoratori, dissero soltanto loro di non donare il sangue».

Gli studi andarono avanti, DuPont e 3M si resero conto che gli animali sviluppavano tumori. Le sostanze erano tossiche e 3M decise di dire tutto all’Epa, l’agenzia americana per la protezione ambientale. Siamo nel 1999 e viene organizzato un meeting con le aziende che producono o utilizzano queste sostanze, tra cui Ausimont di Spinetta Marengo. Lì erano state esposte le preoccupazioni in merito ai Pfas e venne formato un gruppo di scienziati che iniziò degli studi sulle scimmie: gli effetti furono gravi. Dalle parole di Bilott si apprende che tra questi c’era anche il dottor Giovanni Costa della Miteni e dell’Ausimont«Visti i risultati 3M decise di sospendere la produzione. Miteni no, decise invece di incrementarla per far fronte alla richiesta di DuPont».  

Nei primi anni 2000 anche Miteni e Solvay iniziarono campionamenti di sangue dei dipendenti, sempre sotto la responsabilità del dottor Costa. «In quei campioni si vedeva la presenza di Pfoa e un particolare aumento di colesterolo. Quest’ultimo sarebbe solo uno degli effetti causati dai Pfas nel sangue a detta dei dodici studi epidemiologici americani realizzati tra il 2005 e il 2012 da quello che venne chiamato il Gruppo Scientifico C8. Oltre al colesterolo indicavano anche cancro ai testicoli e al rene, colite ulcerosa, problemi in gravidanza e disfunzione della tiroide» conclude il legale statunitense.

Insomma, mentre in Usa si sospendono le produzioni, in Italia si raddoppiano. Mentre in Italia cadono nel vuoto gli allarmi partiti da Alessandria, in USA – racconta Billot – la ‘class action’ avviata nel 2001 si chiuse nel 2004 con un accordo tra le parti civili: «DuPont e 3M hanno accettato una commissione di esperti indipendenti che ha valutato i rischi per la salute umana. In pochi mesi 70 mila persone hanno effettuato le analisi del sangue grazie ai 70 milioni di dollari erogati da DuPont. Poi è iniziato uno screening sulla popolazione a rischio dal 2005 al 2012 e ora possiamo dire che il Pfoa può causare tumore ai testicoli, tumore ai reni, colite ulcerose, gravi problemi alla tiroide, alti livelli di colesterolo e compromettere la fertilità nei maschi ecc.».

Tanto ad Alessandria che a Vicenza, accanto ai processi penali, è necessario aprire cause civili per risarcire le Vittime.

Clicca qui in video anche un commento su Byoblu.

IN ITALIA È IN ATTO UN CRIMINE AMBIENTALE E SANITARIO

CHIEDI AL GOVERNO ITALIANO LA MESSA AL BANDO DEI PFAS

Clicca qui.

 

L’unico valore cautelativo della salute è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.  Eppure non esiste una legge che ne vieti la produzione e l’utilizzo in Italia.

Eppure in Italia nella scorsa legislatura è stato presentato in Senato da Mattia Crucioli un Disegno di Legge che vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

La situazione legislativa sarà oggetto della prossima puntata nel servizio, che partirà dalle analisi degli iceberg piemontesi e veneti: Solvay di Spinetta Marengo e Miteni di Trissino.

Questa puntata illustra invece le situazioni Pfas in Lombardia, Toscana e Trentino, utili anche da confrontarsi con le responsabilità in particolare della Regione Piemonte e del sindaco di Alessandria.

Anche in Lombardia l’emergenza PFAS è fuori controllo.

Secondo i parametri vigenti negli Usa e in Danimarca l’acqua non sarebbe considerata potabile. Maglia nera alla provincia di Lodi. A Milano poco meno di un campione su tre è risultato contaminato.

Una nuova indagine di Greenpeace Italia sui PFAS, acronimo inglese di PerFluorinated Alkylated Substances (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, che contengono almeno un atomo di carbonio): micidiali perché idrorepellenti, stabili e resistenti alle alte temperature, micidiali incolori e inodori perchè una volta dispersi in natura -dalle calotte polari al latte materno delle orse, dal nostro cibo, nell’aria che respiriamo e anche nella pioggia – non si biodegradano mai tanto da essere definiti inquinanti eterni” (forever chemicals), micidiali per bioaccumulo nella catena alimentare perché tossici e cancerogeni (tiroide, fegato, sistema immunitario, obesità, diabete, colesterolo ecc.). Incolori e inodori, sono utilizzatissimi: dai cosmetici ai capi di abbigliamento impermeabili, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi in carta ecc.

Lo studio è stato condotto grazie a numerose richieste di accesso agli atti (FOIA) indirizzate a tutte le ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e agli enti gestori delle acque potabili lombarde: dei circa 4mila campioni analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19% del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di PFAS, compreso il cC6O4 della Solvay di Bollate.  Un inquinamento che rischia di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari. Si può dire, quindi, con certezza che sono migliaia i cittadini lombardi che, dal 2018, hanno inconsapevolmente bevuto acqua contenente PFAS, usata anche per cucinare o irrigare campi e giardini.

Secondo i parametri vigenti negli Usa e in Danimarca una parte dell’acqua della Lombardia non sarebbe considerata potabile.

Greenpeace Italia ha fornito una mappatura (disponibile su questo sito) per controllare gli esiti delle indagini e verificare quanti campioni di acqua a uso potabile non rispettano i valori limite più cautelativi proposti in altre nazioni come negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli vigenti in Danimarca (il 13,4%). Il record negativo è detenuto dalla provincia di Lodi, con l’84,8% dei campioni risultato positivo alla presenza di PFAS; seguono le province di Bergamo e Como, rispettivamente con il 60,6% e il 41,2%. L’area milanese si attesta a metà classifica, con un quinto delle analisi positive. Tuttavia, in termini assoluti, la provincia di Milano (dove si registra anche un numero più elevato di analisi effettuate) ha il triste primato del maggior numero di campioni in cui sono stati rilevati PFAS (ben 201), seguita dalle province di Brescia (149) e Bergamo (129). Particolari criticità emergono anche nei comuni di Crema (CR), Crespiatica (LO), Pontirolo Nuovo (BG), Rescaldina (MI) e nella zona di Cantù-Mariano Comense (CO). 

In particolare, per i record di Milano, Crema, Bormio clicca qui.

Greenpeace Italia chiede alla Regione Lombardia di individuare tutte le fonti inquinanti, al fine di bloccare l’inquinamento all’origine e riconvertire le produzioni industriali che ancora utilizzano queste sostanze. «È necessario varare un piano di monitoraggio regionale sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, rendendo disponibili alla collettività gli esiti delle analisi, e garantire il diritto della cittadinanza a disporre di acqua pulita e non contaminata», chiarisce Giuseppe Ungherese. La Regione deve, in particolare, «mettere in sicurezza gli acquedotti avviando una serie di controlli capillari e promuovendo un piando di riconversione industriale, quindi vietare l’uso di queste sostanze per quali esistono alternative più sicure e di minore impatto ambientale». Nel mentre, “Governo, Parlamento e Ministeri competenti devono assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i PFAS, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili dell’inquinamento».

In Toscana ancora dati shock per i PFAS.

Come sempre in ogni verifica che si effettua in Toscana, e da anni ormai. L’Arpat ha pubblicato l’ennesimo dossier “Monitoraggio ambientale corpi idrici superficiali: fiumi, laghi, acque di transizione”, come parte di tutta una serie di analisi, verifiche e controlli che sono iniziati lo scorso anno e termineranno l’anno prossimo (triennio 2022/24). Il set completo dei dati ammonterà a varie decine di migliaia di analisi, sia chimiche che biologiche”.

“Con il 2022 inizia il nuovo ciclo triennale di monitoraggio su acque superficiali interne. La programmazione delle attività e il set di parametri da ricercare sulle stazioni di monitoraggio seguono i criteri dettati dalla direttiva europea, dal decreto di recepimento, e successivi decreti nazionali e delibere regionali di attuazione, e tengono conto delle linee guida del Sistema nazionale delle agenzie di protezione ambientale, Snpa”. Viene monitorata la matrice acqua, alla quale si aggiungono i sedimenti nelle acque di transizione e il biota, ovvero la ricerca di sostanze pericolose in organismi che occupano l’apice della catena alimentare in ecosistemi fluviali. Il monitoraggio sulle circa 250 stazioni dislocate in fiumi, torrenti, laghi e foci, viene dunque suddiviso in tre anni, all’interno dei quali si cerca di distribuire uniformemente sia i punti da controllare sul territorio sia il set di parametri da ricercare nel rispetto dei criteri, sufficientemente stringenti, dettati dalla linea guida Snpa per l’individuazione di pressioni e impatti sugli ecosistemi fluviali, lacustri e di transizione.

Se l’ARPA della Toscana sta facendo il suo lavoro, non altrettanto dall’opinione pubblica viene attribuito alla politica regionale: “Se si sa che l’inquinamento proviene chiaramente della industrie (tessile, conciaria e cartaria) può la Regione continuare a tacere invece di imporre prodotti privi di Pfas?”. A maggior ragione perché l’Ars Toscana (agenzia regionale di sanità) in un dossier dal titolo Welfare e salute in Toscana 2021 scrive: “Relativamente alla qualità delle acque destinate alla potabilizzazione, i monitoraggi del triennio 2017 – 2019 confermano i dati negativi degli anni precedenti. Dal 2004 nessun corpo idrico ha raggiunto la classificazione A1 (qualità buona), nel periodo 2017-2019 il 15 per cento dei punti sono classificati A2, il 53 per cento A3 e il 32 per cento subA3, ovvero categorie che richiedono interventi progressivamente più consistenti per la potabilizzazione. Il 96 per cento dei campioni monitorati presenta residui di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) e nel 16 per cento si sono osservati superamenti degli standard di qualità ambientale”.

Pfas “inquinante perfetto” in Trentino.

L’attenzione sui Pfas è stata riaccesa da un’inchiesta del quotidiano francese Le Monde: dai monitoraggi eseguiti dal 2018 ad oggi, in tutto il territorio provinciale sono state allarmate le acque sotterranee  nella  zona industriale di Rovereto dove è stata individuata come sorgente significativa l’area ex Gallox, e nella zona di Condino e Storo dove si ipotizza che la sorgente sia imputabile a un’ex fonderia, sulla quale sono in corso specifici accertamenti. Riguardo al comune di Arco sono stati previsti una serie di monitoraggi nelle acque sotterranee a valle della discarica della Maza.

Alla luce dei recenti dati, fanno sapere dalla Provincia, sono state tempestivamente avvisate le strutture competenti in materia sanitaria (Comune e Azienda provinciale per i servizi sanitari) per i controlli e le valutazioni in ordine alle problematiche connesse.

Le indagini andranno allargate e approfondite nella consapevolezza che i PFAS sono un inquinante ‘perfetto’ in quanto inodori, incolori, insapori e indistruttibili, non si riescono a percepire se non con un’apposita analisi chimica.

Come i Pfas hanno contaminato l’Italia.

Partendo da Spinetta Marengo, come il Po è diventato il fiume più contaminato d’Europa.

  • Sono le ore 7 di un mattino estivo e nel parcheggio dell’Istituto sulle Acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Brugherio i ricercatori Sara Valsecchi e Stefano Polesello caricano due auto per una nuova missione. Destinazione: Piemonte. Una Panda bianca parte alla volta del fiume Po per raccogliere le acque che arrivano nel mar Adriatico, mentre in una Renault Kangoo verde, Valsecchi e Polesello si dirigono verso Alessandria dove i fiumi Bormida e Tanaro confluiscono nel Po. “Il cC6O4 ormai qui è ovunque, lo troviamo nelle uova degli uccelli selvatici che abitano sul Bormida, ma anche nei terreni agricoli vicino allo stabilimento di Solvay”, spiega Valsecchi mentre etichetta le provette di acqua raccolta dallo scarico. Clicca qui il video e leggi:
  • Cosa sono i Pfas
  • La contaminazione Pfas in Italia
  • I Pfas e la salute
  • I processi per inquinamento ambientale
  • I Pfas nel cibo
  • Le possibili soluzioni 

La lettura dura 29 minuti ed è importante e abbastanza completa. Ci permettiamo di integrare l’informazione, sottolineando che, nel 2009, è il primo di una serie di esposti a firma di Lino Balza alla Procura della Repubblica di Alessandria che ha denunciato la presenza nel sangue dei lavoratori Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria) di PFOA, ADV e cC6O4. E abbiamo individuato con un video lo scarico Solvay in Bormida. In pari data, abbiamo condotto una campagna nazionale per la messa al bando dei PFAS, denunciando anche ai massimi livelli sanitari la presenza del veleno nel sangue dei lavoratori, a loro volta addirittura donatori di sangue. Il libro “Ambiente Delitto Perfetto” e il Sito del Movimento di lotta per la salute Maccacaro ne parlano diffusamente.

Dunque, come dimostrato dalla nostra denuncia del 2009, malgrado la denuncia il cC6O4, brevettato nel 2011, è stato prodotto senza autorizzazione fino al 2020: un decennio in cui Solvay arriva a produrne 40 tonnellate l’anno. Alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie, dunque, hanno mentito il direttore dello stabilimento Andrea Diotto e Claudio Coffano responsabile delle autorizzazioni ambientali della Provincia di Alessandria.

Infine, in Italia nella scorsa legislatura è già stato presentato in Senato da Mattia Crucioli un Disegno di Legge che vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

Il dossier “Pfas. Basta!”, di oltre 400 pagine, è disponibile per chi ne fa richiesta.

Solvay a testa bassa per far fallire il piano europeo di bando ai PFAS.

Il piano europeo ideato con il fine di vietare le sostanze chimiche dannose sta fallendo: è quanto sostengono l’associazione ClientEarth e l’Ufficio Europeo per l’Ambiente (EEB) – una rete composta da 180 organizzazioni ambientaliste – sulla base di un loro rapporto che ha analizzato i progressi fatti ad un anno dalla messa a punto del progetto. Nell’aprile 2022, infatti, la Commissione europea aveva annunciato di voler sostanzialmente vietare numerose sostanze chimiche nocive presenti nei prodotti di largo consumo, pubblicando una tabella di marcia da cui emergeva che in un tempo relativamente breve migliaia di esse, a cominciare dai PFAS, dovrebbero appunto essere messe al bando. Purtroppo i progressi fatti nel corso di un anno si dimostrano ben poco rassicuranti. Solvay non ha interrotto le produzioni di Spinetta Marengo, il sindaco di Alessandria non ha emesso ordinanza di fermata degli impianti.

Anche i Bisfenoli e non solo i Pfas uccidono.

Il Bisfenolo è ingrediente chiave per plastiche e resine.  Come è noto, dopo i nostri esposti a Procura-Prefetto-Arpa, l’Arpa aveva confermato quanto avevamo denunciato: alla Solvay di Spinetta Marengo nel cocktail con i PFAS (PFOA, C6O4, ADV) tra gli interferenti endocrini c’è anche il Bisfenolo nelle sostanze in uso. In un quarto esposto, clicca qui, avevamo segnalato la risposta della sorpresa Arpa: la Solvay ammetteva l’uso del Bisfenolo AF (non si sa se autorizzato e tanto meno monitorato n.d.r) ma non del Bisfenolo A. A nostra volta, ribadivamo che “Dal punto di vista di danni alla salute, non vi è alcuna differenza tra Bisfenolo A e Bisfenolo AF [tra 2,2-Bis(4-idrossifenil) propano e 2,2-Bis(4-idrossifenil) esafluoropropano, secondo la Nomeclatura IUPAC International Union for Pure and Applied Chemistry]”.

Ebbene, dopo un accurato esame delle evidenze scientifiche e alla luce dei contributi ricevuti da una  pubblica consultazione,  le conclusioni della nuova valutazione dell’ Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) hanno confermato l’allarme tossico e cancerogeno del Bisfenolo A e hanno abbassato la Dose giornaliera di tollerabilità (Dgt ovvero la quantità che può essere ingerita quotidianamente per tutta la vita senza rischi sensibili per la salute) di circa 20mila volte. Dai 4 microgrammi (4 milionesimi di grammo) per chilogrammo di peso corporeo al giorno stabiliti nel 2015 a 0,2 nanogrammi (2 miliardesimi di grammo).

La UE aveva già vietato la produzione di  biberon in policarbonato. Alcuni stati europei avevano già introdotto ulteriori restrizioni nazionali: la Francia ha bandito il Bisfenolo in tutti gli imballaggi e i materiali a contatto con gli alimenti, Danimarca e Belgio hanno bandito il bisfenolo A in materiali a contatto con alimenti per lattanti e bambini piccoli, la Svezia lo ha vietato in rivestimenti e vernici di articoli e imballaggi per alimenti destinati a lattanti e bambini piccoli.  

In Italia il bisfenolo è utilizzabile nella fabbricazione industriale di prodotti in policarbonato per beni di consumo comuni, quali stoviglie di plastica riutilizzabili, bottiglie per bevande, attrezzature sportive, CD e DVD, ovvero in resine epossidiche per il rivestimento interno dei tubi dell’acqua e dei contenitori in latta di alimenti e bevande, e anche nel rivestimento degli scontrini di vendita.

Pfas e Bisfenoli indeboliscono le ossa dei ragazzi.

L’esposizione agli interferenti endocrini, le sostanze chimiche capaci di alterare gli ormoni, riduce la densità   minerale e rende più fragili le ossa dei ragazzi, proprio nel momento importante in cui i nostri corpi costruiscono le ossa, con conseguenze che si potrebbero protrarre per tutta la vita: l’osteoporosi. È il risultato di uno studio del Maine Medical Center Research Institute di Portland, in Usa, pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism.

La ricerca ha mostrato che nei ragazzi che avevano più alti livelli di interferenti endocrini nel sangue si riscontrava una minore densità minerale ossea: a ogni raddoppio dei livelli di PFOA riscontrati nel sangue corrispondeva una riduzione del 24% del punteggio alla densitometria ossea, il cosiddetto z-score.

Solvay e Du Pont in tribunale.

Lo Stato del Kentucky sta portando in tribunale Du Pont, la Regione Piemonte NON sta portando Solvay in Tribunale, il sindaco di Alessandria NON emette ordinanza di chiusura degli impianti tossico cancerogeni, noi stiamo portando Solvay in tribunale anche con cause civili, alla stregua di class action.

Il Kentucky chiede risarcimenti “per pagare tutti i costi passati e futuri sostenuti dalla comunità per indagare, monitorare e rispondere alla contaminazione da PFAS, così come per tutti i danni causati alla collettività”. DuPont de Nemours e due delle sue società derivate, Chemours e Corteva, sono gli imputati. I tre hanno sborsato collettivamente miliardi di dollari per risolvere cause simili nel corso degli anni.

Il sito si trova a circa 120 miglia a monte del fiume Ohio ed è stato al centro del film del 2019 “Dark Waters”.  Così come il fiume Bormida è stato per il film documentario sulla Solvay di Spinetta Marengo (clicca qui) della TV belga RTBF.  

Come Solvay a Spinetta Marengo, per anni la DuPont ha consapevolmente scaricato nel fiume Ohio dal suo impianto nel West Virginia.  Nel monitoraggio del 2019, mezzo secolo di PFAS sono stati trovati in tutto lo Stato e nell’acqua potabile finita nei sistemi che supportano un totale di 1,7 milioni di persone. Da allora ne sono stati trovati altri, sia nelle acque superficiali che nei campioni di pesce.

Cause simili sono state intentate in tutti gli USA per i PFAS: il Minnesota ha risolto nel 2018 una causa contro 3M che ha contaminato l’acqua potabile per una spesa di circa 720 milioni di dollari in progetti e risorse naturali.  Nel film Erin Brockovich – Forte come la verità, si affronta il concetto di class action negli Stati Uniti.

Con analogo fine, a fianco del procedimento penale prossimo venturo, le cause civili che stiamo approntando sono a risarcimento delle Vittime e dei loro Famigliari, sia Lavoratori della Solvay che Cittadini di Alessandria. Allo scopo saranno indette le assemblee.

I Pfas provocano obesità.

Uno studio danese, pubblicato sulla rivista Obesity, condotto da Philippe Grandjean, ricercatore in medicina ambientale presso l’Università della Danimarca meridionale a Odense, svela la correlazione tra l’esposizione ai Pfas e l’obesità. Il team di Grandjean si è concentrato su un campione di 400 tra uomini e donne affetti da obesità, provenienti da 8 Paesi, e variando la loro dieta (frutti di mare, carne, frutta, uova e acqua) ha scoperto la correlazione tra l’aumento di peso e i Pfas nel sangue: in media i soggetti hanno riacquistato 1,5 chili quando nel sangue era presente una concentrazione doppia di Pfoa. Cioè l’esposizione ai perfluorurati altererebbe il metabolismo lipidico e la differenziazione degli adipociti (le cellule del tessuto adiposo) attivando specifici recettori (recettori PPARg). Altri meccanismi descritti coinvolgerebbero gli ormoni tiroidei”. In pratica, lo squilibrio indotto nel sistema porta a un eccesso di cellule che immagazzinano di trigliceridi e questa attivazione permanente altera anche l’alternanza di fame e sazietà.

Buttate via le padelle antiaderenti.

Pericolosissime per i PFAS quando surriscaldate o rigate a causa del Teflon (politetrafluoroetilene PTFE) secondo gli studi scientifici e le linee guida delle agenzie di protezione ambientale, come l’americana EPA (Environmental Protection Agency) o l’EEA (Agenzia Europea per l’ambiente). Per le loro caratteristiche di inalterabilità nel tempo, i Pfas vengono definiti “forever chemicals”, indistruttibili. 

Il Teflon è il composto più diffuso: non solo per padelle antiaderenti ma anche nei tessuti impermeabili e traspiranti per abbigliamento o vernici antimacchia, nonché come materiale da laboratorio per la sua capacità di resistere ad acidi, basi e sostanze organiche. Il Teflon è “inventato” dalla Dupont nel 1938 e in Italia diventa l’impianto più rappresentativo del polo chimico di Spinetta Marengo (AL).  

Gli effetti dannosi dei PFAS (diversi tipi di cancro, infertilità e malformazioni fetali ecc.) erano già stati scoperti fin dagli anni ’70 e ’80 da studi su animali e evidenze cliniche raccolte da aziende come 3M, DuPont e Solvay, che però omisero di avvisare le autorità statali o di diffondere i dati alla comunità scientifica. Finchè a fine anni ’90, con una prima causa intentata contro DuPont, l’avvocato Robert Billot ha avviato una delle più grandi class action della storia USA, che ha portato alla luce l’avvelenamento delle falde acquifere e degli ambienti di lavoro causato dall’acido perfluoroottanico (PFOA), una sostanza utilizzata nella produzione del Teflon. Con la class action in Italia si aggiungerà un altro capitolo alla storia raccontata nel libro di Billot e nella trasposizione cinematografica di Cattive acque (2019).

Pfas e sviluppo del “fegato grosso”.

Uno studio svolto dallo statunitense National Health and Nutrition Examination Survey e pubblicato su Environmental Science and Pollution Research ha confermaton le connessioni tra l’esposizione a Pfas e lo sviluppo della malattia steatosi epatica non alcolica (o Nafld), il cosiddetto “fegato grosso”, negli anziani, ovvero l’accumulo eccessivo di grasso all’interno delle cellule del fegato (come succede nel diabete e nell’obesità). Si sviluppa così una sofferenza epatica con infiammazione e fibrosi (indurimento del fegato), una condizione che viene chiamata Nash (sigla inglese che significa “steatoepatite non alcolica”).

Per i Pfas, Greenpeace riaccende i riflettori sulle responsabilità istituzionali.

Nonostante le prime allerte siano state trasmesse al Ministero dell’ambiente e all’Istituto superiore di sanità già nel 2007, a tacere il nostro esposto alla Procura di Alessandria, ancora oggi non sono stati affrontati né i danni diretti de tossici e cancerogeni PFAS ai lavoratori e ai cittadini né il rischio sanitario derivante dal consumo di alimenti provenienti dalle zone inquinate. Su questo aspetto si concentra il J’accuse di Greenpeace nel suo rapporto shock sulle  «indagini parziali o mai fatte» per non parlare delle «negligenze istituzionali» vere e proprie. Greenpeace rimarca che il problema della diffusione dei Pfas, sostanze che vengono usate in mille ambiti industriali, riguarda tutta la penisola. Una riprova in tal senso è la mappa dei siti inquinanti in Europa coordinata dal quotidiano transalpino Le Monde in seguito ad una inchiesta realizzata da un pool di giornalisti investigativi del Vecchio continente.

I Pfas del comparto toscano del cuoio.

Come in Veneto, Piemonte, Lombardia, Trentino eccetera i Pfas sono utilizzati per produzioni industriali e commerciali: in Toscana, stando alla relazione al Parlamento della Commissione, il comparto conciario e tessile e cartario lavora e scarica le famigerate molecole eterne tossiche e cancerogene per l’ambiente e per gli esseri viventi, con la loro nefasta capacità di bio accumulo che non  consente lo smaltimento se non in centinaia di anni, e con le conseguenze per l’uomo: tumori, malformazioni genetiche  ecc.

 Arpat infatti ha fornito gli esiti degli ultimi controlli sul depuratore Consorzio Aquarno che tratta i reflui industriali provenienti dal Distretto conciario situato sulla riva destra dell’Arno (aree industriali dei comuni di Santa Croce sull’Arno, Fucecchio frazione Ponte a Cappiano, Castelfranco di Sotto) che confluisce nel canale Usciana. Nell’acqua del canale le analisi dell’Arpa evidenziano le sostanze perfluoroalchiliche Pfas (Pfba, Pfbs, Pfp e A, PfxxA, Pfos e Pfoa) già rilevate anche nelle acque del canale a monte dello scarico.

I giornali non mancano di evidenziare le critiche che piovono sulla Regione Toscana che non prende provvedimenti nei confronti delle industrie del cuoio.

Greenpeace: il governo vieti produzione e uso dei PFAS.

Greenpeace, a voce di Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento dell’associazione, sprona  “il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili”. Greenpeace parla di “Emergenza sanitaria e ambientale fuori controllo” e rilancia l’allarme PFAS “a seguito dell’inchiesta giornalistica “The Forever Pollution Project” che denuncia la contaminazione da Pfas diffusa in numerose nazioni europee Italia compresa. Infatti in Italia le zone con i più alti livelli di inquinamento rilevati sono alcune aree del Veneto, della Lombardia, della Toscana, e alcune zone del Piemonte, limitrofe allo stabilimento della Solvay specializzato nella produzione di Pfas”. “Questo quadro allarmante” sottolinea Greenpeace “è ottenuto grazie ai monitoraggi capillari che, però, non tutte le regioni effettuano: per cui si ipotizza una situazione ancora più grave”.

Con Greenpeace sono Legambiente, Movimento di lotta Maccacaro e Comitato Stop Solvay. Nella trascorsa legislatura, dall’ex senatore Mattia Crucioli è state presentato il Disegno di Legge che detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas”. Insomma li mette al bando in Italia. Vieta la produzione (della Solvay di Spinetta Marengo AL), l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo.

A maggior ragione, come ricorda Greenpeace, perchè l’Echa (Agenzia europea per le sostanze chimiche) ha pubblicato una bozza per vietare la produzione e l’uso di migliaia di Pfas in UE, avviando così un processo per fermare la contaminazione di questi inquinanti. Nonche L’Epa (Agenzia per la protezione dell’ambiente) degli Stati Uniti ha proposto lo zero tecnico (il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare).

Infine, anche Greenpeace denuncia che la lobby della chimica, con la Solvay in testa, lavora a spron battuto per annacquare la proposta di divieto europeo dei Pfas (e il DDL Crucioli in Italia). Infatti l’inchiesta “The Forever Pollution Project” ha scoperto che più di 100 associazioni industriali, think tank, studi legali e grandi aziende stanno lavorando per influenzare la commissione europea e gli stati membri per indebolire il divieto PFAS, a cominciare dal nostro parlamento sul Disegno di Legge.

Interpellanza alla Camera sui PFAS.

Presentata dall’onorevole Enrico Cappelletti (M5S) che chiede al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin di intervenire per monitorare e contrastare la contaminazione dell’acqua, del suolo e dell’aria in tutto il territorio italiano di queste sostanze che gli studi scientifici associano all’insorgenza di tumori, malattie metaboliche, infertilità maschile e interferenze con la salute riproduttiva delle donne, eccetera, sostanze persistenti e bioaccumulabili  largamente utilizzate  per la produzione industriale di materiali idrorepellenti come tessuti, vernici, attrezzature antincendio, confezioni di alimenti, ecc. La situazione italiana è stata oggetto di indagini dell’ONU e della Commissione interparlamentare Ecomafie.

Se intendesse veramente intervenire, non sfugga al Ministro il Disegno di Legge presentato nella trascorsa legislatura dall’ex senatore Mattia Crucioli, che detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas”. Insomma li mette al bando in Italia. Vieta la produzione (della Solvay di Spinetta Marengo AL), l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, infine dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

“Interpellanza” sui PFAS alla Presidente del Consiglio.

Presentata (clicca qui) dal “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”.  All’onorevole Giorgia Meloni si mettono a disposizione (nostri Sito www.rete-ambientalista.it e Dossier di 380 pagine) tutte le informazioni scientifiche utili sui PFAS che rappresentano la 2^ calamità ecosanitaria mondiale, in primo luogo italiana. Si rammenta che i governi prima del Suo non hanno tutelato la salute degli italiani, benchè la nostra campagna nazionale contro i fuorilegge PFAS fosse iniziata 15 anni fa, suggellata dal 2008 anche da nostri esposti alla Magistratura di Alessandria con riferimento alla Solvay di Spinetta Marengo, prima dell’insorgere dell’altro epicentro nazionale emerso dopo la chiusura della Miteni di Trissino (VI), e l’esplosione del caso fino all’ONU, passando per la Commissione Ecomafie. 

In sostanza, si chiede alla presidente Meloni di ordinare al suo governo di ripresentare il Disegno di Legge di messa al bando dei Pfas.

Nuovo esposto sui PFAS alla Procura della Repubblica di Alessandria.

Presentato al Procuratore capo Enrico Cieri dal “Movimento di lotta per la salute Maccacaro” (16° esposto, 7 aprile 2023, via PEC): clicca qui. Oggetto: emissioni inquinanti in atmosfera. Infatti, come conosciuto nei monitoraggi, dalle 72 ciminiere dello stabilimento e dai 15.000 punti di perdite incontrollate fuoriescono sostanze inquinanti tossiche e cancerogene PFAS: PFOA, ADV, C6O4, Acido Fluoridrico, Acido CloridricoNH3, Alcoli, Anidride fosforica (P2O5), Composti Iodurati (C4F8I2), Zn, Idrossido di Potassio (KOH) NOx, CO2, SOx, Polveri. Composti fluorurati (c2f4, c3f6, c4f8): 107 kg/giorno; 40 t/anno.

In questo micidiale cocktail, per il PFOA, l’ADV e il cC6O4 di produzione Solvay di Spinetta Marengo, che dal cielo ricadono sulla popolazione ogni giorno per 5 microgrammi per ogni metro quadrato, richiamiamo l’attenzione della Procura su

  1. Pubblicazione scientifica di ARPA e UNIVERSITA’ di Torino “Prevenzione in Corso”, fascicolo 9, gennaio 2022. (clicca qui).
  2. Studio ARPA Deposimetri a Spinetta Marengo: i risultati delle prime attività sperimentali gennaio 2023 (clicca qui).

Rimarcate le responsabilità nel disastro ecosanitario delle amministrazioni locali: Comune, Provincia, Regione. In particolare del sindaco che non emette ordinanza di chiusura delle produzioni inquinanti. 

Discariche e inceneritori: è battaglia sui Pfas.

Dice Solvay: a Spinetta Marengo usiamo i filtri scaricando i reflui in aria e acqua. Noi diciamo: non c’è depuratore che tenga, non c’è filtro che tenga i PFAS. E poi i filtri vanno smaltiti: bruciarli inquinano comunque. Infatti la presenza nei rifiuti dei temutissimi tossicocancerogeni derivati del fluoro preoccupa mezz’Italia, e già sono al centro di uno scontro a Venezia, per il maxi cosiddetto “termovalorizzatore” di Fusina, dove vorrebbero incenerire 190.000 tonnellate annue di fanghi contaminati da diossine, idrocarburi, metalli e soprattutto dai famigerati Pfas della Miteni di Trissino. Ma non c’è solo l’eredità della Miteni: ad Arzignano, centro del polo conciario della Valchiampo, si adoperano Pfas in grandissima quantità per la impermeabilizzazione delle pelli, al punto che il sindaco chiede alla Regione di estendere le indagini sanitarie sulla presenza nel sangue dei Pfas a tutti i residenti (provvedimento sconosciuto in Piemonte).